Quando l'associazione professionale può recuperare il credito del singolo professionista

Fabio Valerini
28 Ottobre 2020

La seconda sezione della Corte di cassazione interviene nuovamente sulla delicata e controversa questione di sapere se e a che condizioni l'associazione professionale sia autonomamente legittimata a chiedere il pagamento del compenso per le attività svolte da un singolo professionista associato a beneficio del cliente.

Nel caso di specie era accaduto che un'associazione professionale di avvocati avesse promosso un'azione per ottenere il pagamento dei propri onorari in relazione ad un contenzioso promosso nell'interesse di un soggetto beneficiario dell'amministrazione di sostegno.

Legittimazione autonoma. Ebbene, la Cassazione consolida quell'orientamento secondo cui è vero che la possibilità dei professionisti di svolgere l'attività in forma associata deve avvenire nel rispetto del principio di personalità della prestazione: l'incarico eventualmente affidato direttamente alla società potrà, infatti, essere svolto soltanto dai soci professionisti con le competenze richieste dalla natura della prestazione.
Tuttavia, è anche vero che il principio di personalità della prestazione «può contemperarsi con l'autonomia riconosciuta allo studio professionale associato, al quale può essere attribuita la titolarità dei diritti di credito derivanti dallo svolgimento dell'attività professionale degli associati allo studio, non rientrando il diritto al compenso per l'attività svolta tra quelli per i quali sussiste un divieto assoluto di cessione».

Rilevanza degli accordi interni. Ma ciò a patto che «tra gli associati emerga una specifica volontà di attribuire il diritto di esigere il compenso allo studio associato».
Da quanto sin qui affermato deriva un'importante conseguenza processuale che nel caso esaminato è stata determinante per escludere la legittimazione dell'associazione al recupero del credito.
La conseguenza è che l'associazione che agisce per il recupero del credito non potrà limitarsi ad una mera affermazione dell'esistenza dell'associazione come se la costituzione dell'associazione fosse di per sé sufficiente per far nascere il diritto di agire a tutela del credito dell'associato (come sembra – leggendo la motivazione – viceversa essere accaduto proprio nel caso di specie).
Non è sufficiente la mera affermazione dell'esistenza della associazione poiché il giudice deve accertare quale sia la disciplina dei rapporti interni tra associazione e associati e, quindi, l'esistenza o no di una scelta degli associati di attribuire all'associazione la legittimazione ad acquisire anche la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti.
Ed infatti, la Cassazione ribadisce oggi che «il giudice di merito deve accertare tale circostanza analizzando lo statuto dell'associazione” verificando se l'ordinamento interno dell'associazione e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute abbiano effettivamente inteso riconoscere all'associazione “la legittimazione a stipulare contratti e acquisire la titolarità di rapporti poi delegati ai singoli aderenti e da essi personalmente curati, così che laddove gli associati abbiano deciso per tale soluzione, sussiste la legittimazione dello studio professionale associato rispetto ai crediti per le prestazioni svolte dai singoli professionisti a favore del cliente che ha conferito l'incarico».

L'amministratore di sostegno risponde dei debiti? Da ultimo un cenno ad una questione che pure viene affrontata dalla sentenza e che riguarda la possibilità di agire nei confronti dell'amministratore di sostegno per ottenere il pagamento del compenso per attività svolta a favore dell'amministrato.
Ebbene, per la Cassazione occorre ribadire la regola secondo cui «il rappresentante non può essere chiamato a rispondere dei debiti assunti dal rappresentato, quand'anche l'amministratore di sostegno abbia il compito di sostituirsi al beneficiario nel compimento dell'attività negoziale ovvero nell'adempimento delle obbligazioni».
Semmai – precisa la Suprema Corte – nei confronti dell'amministratore di sostegno si potrebbe ipotizzare (in astratto) una sua «responsabilità per inadempimento rispetto ai doveri gestori scaturenti dall'incarico conferito»: in ogni caso, però, «solo l'effettivo titolare del diritto di credito rimasto inadempiuto potrebbe dolersi di un'eventuale negligenza».

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it