Covid-19 ed ATP conciliativo nella responsabilità sanitaria: cosa succede se il CTU deposita la relazione senza tener conto della sospensione legale dei termini processuali?
29 Ottobre 2020
Un danneggiato da responsabilità sanitaria propone, nella vigenza della Legge Gelli-Bianco, ricorso di ATP conciliativo ex art. 696-bis c.p.c. nei confronti della struttura sanitaria. Il Giudice: - conferisce l'incarico al CTU; - concede al CTU. ed alle parti i termini di cui all'art. 195, comma 3, c.p.c. rispettivamente per: (-) la trasmissione alle parti della bozza della relazione del Consulente; (-) la trasmissione al Consulente delle osservazioni delle parti; (-) il deposito dell'elaborato peritale; - non fissa alcuna udienza di prosieguo. Il secondo e terzo termine scadono nel periodo di sospensione legale dei termini processuali di cui agli artt. 83, comma 2, D.L. 17 marzo 2020 n. 18 e 36, comma 1, D.L. 8 aprile 2020 n. 23). Il CTU trasmette alle parti la bozza della sua relazione nel primo termine concesso ove esclude la responsabilità sanitaria. Il danneggiato, confidando nella sospensione legale dei termini processuali, non invia al CTU le sue osservazioni. Il CTU, invece, non tiene conto della sospensione legale dei termini processuali, e deposita il suo elaborato definitivo entro la data del terzo termine inizialmente concesso. Le domande sono le seguenti: - la sospensione legale dei termini processuali si applica anche ai procedimenti di ATP conciliativo? - in caso positivo quali sono i rimedi esperibili avverso il mancato rispetto di tale sospensione da parte del CTU?
Il problema del quesito, purtroppo, nel periodo di emergenza epidemiologica Covid-19, si è verificato in numerosi (rectius: troppi) casi sia nei processi civili, sia nei procedimenti di ATP conciliativo di cui all'art. 696-bis c.p.c. La presente risposta, pertanto, si prefigge il doppio obiettivo di esaminare funditus il problema ed offrire delle soluzioni pratiche agli operatori.
La regola generale è quella della sospensione dei termini processuali (e da qui in poi, per brevità, sospensione) di tutti i procedimenti civili dal 9 marzo 2020 all'11 maggio 2020 disposta, a seguito dell'emergenza epidemiologica Covid-19, dagli artt. 83, comma 2, primo alinea D.L. 17 marzo 2020 n. 18 e 36, comma 1, primo alinea D.L. 8 aprile 2020 n. 23. Le uniche eccezioni a tale regola generale sono espressamente previste dall'art. 83, comma 3, D.L. 17 marzo 2020 n. 18. L'ATP conciliativo, anche quello obbligatorio in tema di responsabilità sanitaria, è un procedimento civile che non rientra espressamente nell'elenco tassativo di procedimenti esclusi dalla sospensione. La sospensione, pertanto, si applica anche ai termini di cui all'art. 195, comma 3, c.p.c. rispettivamente per: - la trasmissione alle parti della bozza della relazione del Consulente; - la trasmissione al Consulente delle osservazioni delle parti; - il deposito dell'elaborato peritale (M. Liguori, Covid-19 e d.l. 8 aprile 2020 n. 23: stop di 64 giorni a tutti i processi, 10 aprile 2020, in Ridare).
La sospensione mira certamente a preservare le parti del processo civile da conseguenze sfavorevoli, sul piano processuale, derivanti dall'omesso compimento di atti durante un periodo di grave emergenza sanitaria, nel quale preminente è l'interesse pubblico a ridurre e rallentare la diffusione del contagio e vigono speciali ed inedite restrizioni allo svolgimento di numerose attività e alla stessa libertà di circolazione delle persone fisiche. La sospensione relativa agli atti di parte nel processo civile, però, riflette interessi disponibili e, pertanto, non preclude di per sé il valido ed efficace compimento dell'atto ad opera della parte, tramite il difensore o il CT di parte (Trib. Bologna 6 maggio 2020). Questo comporta che nel procedimento di ATP conciliativo se le parti, nonostante la sospensione, inviano al CTU le loro osservazioni, tale comportamento può ritenersi concludente come rinuncia implicita alla sospensione e, quindi, all'ulteriore periodo di tempo loro spettante, salvo espressa tempestiva richiesta di voler comunque utilizzare, a fini difensivi, la sospensione.
Tale soluzione appare perfettamente in linea con il principio del giusto processo che deve avere una durata ragionevole. Il rispetto di tali fondamentali diritti sanciti da norme di rango superiore (artt. 6, paragrafo 1, Convenzione Europea, 47, comma 2, Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea e 111, comma 2, Cost.), infatti, impone al Giudice di evitare ed impedire comportamenti (anche dello stesso Giudice) che siano di ostacolo ad una sollecita definizione del processo, tra i quali rientrano certamente quelli che si traducono in un inutile dispendio di energie processuali e formalità da ritenere superflue perché non giustificate dalla struttura dialettica del processo ed in particolare dal rispetto effettivo del principio del contraddittorio (artt. 101 c.p.c. e 111, comma 2, Cost.), da effettive garanzie di difesa (art. 24 Cost.) e dal diritto alla partecipazione al processo, in condizione di parità (art. 111, comma 2, Cost.), dei soggetti, nella cui sfera giuridica l'atto finale è destinato ad esplicare i suoi effetti (conf., per i principi espressi, Sez. Un. 15 giugno 2015 n. 12310; Sez. Un. 8 maggio 2014 n. 9936; Sez. Un. 23 settembre 2013 n. 21670; Sez. Un. 22 marzo 2010 n. 6826; Sez. Un. 3 novembre 2008 n. 26373; Sez. Un. 9 ottobre 2008 n. 24883).
Nel caso in esame, però: - la parte non ha inviato al CTU le sue osservazioni in quanto ha confidato, come su esposto correttamente, nella sospensione; - il CTU, invece, ha depositato il suo elaborato definitivo prima che scadesse il termine concesso alla parte (e prorogato ex lege) per l'invio delle osservazioni. Il CTU, con il suo comportamento, non ha consentito alla parte di: - esaminare nel termine concesso (e prorogato) la bozza della relazione; - controllare le risultanze della visita e delle indagini espletate; - svolgere utilmente le proprie difese e, quindi, esporre al CTU i motivi di dissenso. Deve ritenersi, pertanto, che la relazione definitiva di ATP conciliativo è nulla per violazione: - del secondo termine ex art. 195, comma 3, c.p.c., prorogato ex lege dalla sospensione; - del principio del contraddittorio (artt. 101 c.p.c. e 111, comma 2, Cost.) che deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo; - del diritto di difesa della parte (art. 24 Cost.) che, analogamente, deve realizzarsi nella sua piena effettività durante tutto lo svolgimento del processo.
Tutte le nullità relative all'espletamento della CTU medico legale (cui è equiparabile l'ATP conciliativo) hanno carattere relativo e, pertanto, devono essere eccepite ritualmente e tempestivamente nella prima istanza o difesa successiva al deposito, ex art. 157, comma 2, c.p.c., restando altrimenti sanate. E' ius receptum, infatti, che “la nullità della consulenza tecnica d'ufficio…avendo carattere relativo, resta sanata se non eccepita nella prima istanza o difesa successiva al deposito, per tale intendendosi anche l'udienza di mero rinvio della causa disposto dal giudice per consentire ai difensori l'esame della relazione, poiché la denuncia di detto inadempimento formale non richiede la conoscenza del contenuto dell'elaborato del consulente” (Sez. Un. 21 marzo 2017 n. 7158; conf., tra le tante, Cass. 18 maggio 2018 n. 12337; Cass. 2 maggio 2018 n. 10406; Cass. 5 dicembre 2017 n. 29099; Cass. 8 marzo 2017 n. 5787; Cass. 20 gennaio 2017 n. 1425; Cass. 11 ottobre 2016 n. 20466; Cass. 29 settembre 2016 n. 19280; conf., in dottrina, Monteleone, Diritto processuale civile, II ed., Padova, 2000).
Il mancato invio da parte del CTU della bozza di relazione alle parti ed il deposito della CTU medico legale (cui è equiparabile l'ATP conciliativo) prima della scadenza del termine concesso alle parti per la trasmissione al CTU delle osservazioni costituiscono, pertanto, ipotesi di nullità relative. E' ius receptum, infatti, che:
Tale nullità, nel processo civile ordinario, viene solitamente ed utilmente eccepita dalla parte interessata nella prima udienza utile successiva al deposito della CTU medico legale. Nel procedimento di ATP conciliativo: - se il giudice dopo il conferimento dell'incarico al CTU e l'assegnazione dei termini di cui all'art. 195, comma 3, c.p.c., fissa una successiva udienza, può ivi essere utilmente eccepita dalla parte interessata la nullità ovviamente dopo il deposito della CTU medico legale; - se, invece, come avviene di solito il giudice dopo il conferimento dell'incarico al CTU e l'assegnazione dei termini di cui all'art. 195, comma 3, c.p.c., non fissa alcuna udienza (come pare sia avvenuto nel caso in esame), sono prospettabili due soluzioni.
La prima è quella di eccepire la nullità tempestivamente, ritualmente e motivatamente - e, cioè, con la specificazione delle ragioni dell'invalidità (Cass. 22 gennaio 2010 n.1098; Cass. 14 gennaio 2003 n. 365) - nello stesso procedimento di ATP conciliativo mediante istanza ad hoc da indirizzare al giudice del procedimento e depositare con modalità telematiche. Questa soluzione è veloce, economica e funzionale in quanto consente: - di sottoporre immediatamente il problema allo stesso giudice, senza costi aggiuntivi; - al giudice di porre rimedio nello stesso procedimento; - alla parte di terminare il procedimento con un'altra CTU valida e pertanto: (-) se favorevole iniziare una (presumibilmente) fondata causa di merito; (-) se sfavorevole: a. rimanere inerte ed abbondonare l'idea di ottenere un qualsiasi risarcimento; b. iniziare comunque una causa di merito con piena conoscenza dei rischi di rigetto della domanda per la relazione sfavorevole del CTU.
La seconda è quella di eccepire la nullità tempestivamente, ritualmente e motivatamente nell'atto introduttivo del giudizio di merito, sia esso ricorso ex art. 702-bis c.p.c., sia esso atto di citazione ex art. 163 c.p.c.. Questa soluzione, però: - in primis è meno veloce della prima, non economica e non funzionale in quanto costringe la parte ad instaurare un giudizio di merito al buio - e, cioè, senza conoscere l'esito dell'accertamento tecnico che pur aveva richiesto nel procedimento di ATP conciliativo in funzione proprio del successivo giudizio di merito e, quindi, quando non è prevedibile l'esito della lite - con tutti i relativi costi e rischi (di rigetto della domanda); - in secundis contrasta con la ratio delle norme che prevedono il procedimento di ATP conciliativo - vuoi se facoltativo ex art. 696-bis c.p.c., vuoi se obbligatorio ex art. 8, comma 1 e 2, L. 8 marzo 2017 n. 24 - che è quella di deflazionare il contenzioso giudiziario sia mediante il tentativo di conciliazione, sia mediante la mancata instaurazione di cause infondate nel merito (e che un corretto accertamento di istruzione preventiva potrebbe scongiurare); - in tertiis potrebbe essere ritenuta tardiva dal giudice del merito nell'ipotesi in cui rilevi l'autonomia dei presupposti processuali dell'istruzione preventiva rispetto al merito e, pertanto, ritenga che i vizi relativi al procedimento di istruzione preventiva (nullità compresa): (-) debbano essere sollevati e risolti in quel procedimento; (-) non possano formare oggetto di successiva contestazione.
Il principio di precauzione - che è quello volto ad eliminare e, comunque, ridurre al massimo ogni alea possibile - impone alla parte di utilizzare la prima soluzione su prospettata e, pertanto, eccepire la nullità della CTU medico legale nel procedimento di ATP conciliativo in cui è stata ammessa e, soltanto se non accolta in tale procedimento, riproporla nel successivo giudizio di merito.
La soluzione auspicabile avverso la su indicata nullità della CTU medico legale, anche quella espletata nel procedimento di ATP conciliativo, è quella di nomina di un nuovo CTU o un nuovo collegio medico. Ciò in quanto il primo CTU ha già conosciuto il caso ed ha espresso il suo parere scritto - come su esposto, in dispregio del secondo termine ex art. 195, comma 3, c.p.c., del principio del contraddittorio e del diritto di difesa della parte - e, in questa ipotesi, non è verosimile che possa cambiare né parere, né il contenuto della sua relazione già depositata e ciò anche se: - il giudice consentisse: (-) alla parte di inviare al CTU le sue osservazioni che, in questo caso, sarebbero alla CTU definitiva; (-) al CTU di replicare alle osservazioni della parte - la parte inviasse effettivamente al CTU delle osservazioni in contrasto con il contenuto della CTU definitiva (e nulla).
Il caso, sostanzialmente, è equiparabile al deposito della sentenza da parte del giudice prima della scadenza dei termini di cui all'art. 190 c.p.c.. La sentenza, in questo caso, è nulla ed il rimedio esperibile è l'appello - con devoluzione dell'intero processo al giudice superiore - e non certo di consentire allo stesso giudice di emettere una nuova decisione vuoi dopo aver concesso alle parti nuovamente i termini di cui all'art. 190 c.p.c., vuoi dopo rimessione della causa ad esso da parte del giudice di appello. E' ius receptum, infatti, che “viola il principio del contraddittorio, determinando la nullità della sentenza emessa, il giudice che decida la causa prima della scadenza dei termini dal medesimo fissati, ex art. 190 c.p.c., impedendo, in tal modo al difensore di una parte di svolgere nella sua completezza il proprio diritto di difesa…Tuttavia il rilievo in appello della nullità, per tal motivo, della sentenza di primo grado non avrebbe potuto condurre ad una rimessione della causa al primo giudice, trattandosi di ipotesi non compresa nel tassativo elenco di quelle che, ai sensi dell'art. 354 c.p.c., tale conseguenza determinano, dovendo comunque il giudice d'appello procedere all'esame nel merito della controversia, nei limiti delle doglianze svolte” (Cass. 18 febbraio 2020 n. 4125; conf., tra le tante, Cass.2 dicembre 2016 n. 24636; Cass. 8 ottobre 2015 n. 20180; Cass. 5 aprile 2011 n. 7760; Cass. 24 marzo 2010 n. 7072; Cass. 10 marzo 2008 n. 6293; Cass. 18 ottobre 2005 n. 20142; conf. Cass.8 agosto 2003 n.11949; Cass. 18 maggio 2001 n. 6817; Cass. 9 marzo 2011 n. 5590). Del resto se fosse possibile, invece, far decidere nuovamente allo stesso giudice vuoi dopo aver concesso alle parti nuovamente i termini di cui all'art. 190 c.p.c., vuoi dopo rimessione della causa ad esso da parte del giudice di appello, appare inverosimile che lo stesso giudice, dopo il deposito della sua sentenza affetta da nullità e dopo la lettura delle difese delle parti, possa cambiare di una sola virgola la sua decisione già depositata.
Analogamente, nel caso in esame (ed in altri simili), appare inverosimile che il CTU, dopo il deposito della sua relazione affetta da nullità e dopo la lettura delle osservazioni delle parti, possa cambiare di una sola virgola il suo elaborato già depositato.
La declaratoria di nullità della CTU medico legale, anche quella espletata nel procedimento di ATP conciliativo, e l'auspicabile sostituzione del CTU portano, come necessari corollari: - la conseguente declaratoria di nullità del provvedimento di liquidazione (di acconto e saldo) emesso in favore del CTU; - il conseguente obbligo per il CTU di restituzione dell'onorario già liquidato dal giudice e pagato dalle parti; - il diritto di queste ultime di ripetere l'indebito oggettivo, ex art. 2033 c.c., con interessi dalla data del pagamento o della domanda. Nell'ipotesi di nullità della CTU, infatti, al pari della nullità del contratto, la disciplina degli eventuali obblighi restitutori è mutuata da quella su indicata dell'indebito oggettivo. E' ius receptum, infatti, che “la domanda diretta ad ottenere dal consulente tecnico la restituzione di somme corrispostegli, in relazione ad una consulenza poi dichiarata nulla, fa valere il diritto della parte alla ripetizione di un indebito oggettivo senza trovare preclusione, diretta o indiretta, nelle disposizioni dell'art. 64 cod. proc. civ. - che concernono la responsabilità aquiliana del consulente per i danni cagionati con fatto illecito…” (Cass. 8 aprile 2016 n. 6835; conf. Cass. 21 ottobre 1992 n. 11474 che è il leading case; conf., in dottrina, M. Rossetti, il danno da lesione della salute. Biologico-Patrimoniale-Morale, Padova, 2001, 445 e segg. ed in particolare, 449).
L'errore commesso dal CTU nel caso in esame è un errore gravissimo ed inescusabile. Non è in alcun modo accettabile, infatti, che l'esperto designato dal giudice - che tra l'altro è regolarmente iscritto ad un albo dei Consulenti - non conosca le regole del processo e le violi in danno delle parti e dei loro diritti anche costituzionali.
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