Le garanzie pro parte creditoris: il soddisfacimento dell'interesse erariale

02 Novembre 2020

La Pubblica Amministrazione opera al fine di soddisfare l'interesse erariale al recupero tempestivo delle somme dovute da ciascun contribuente. Tale obiettivo può essere raggiunto mediante il procedimento di riscossione volontaria, in base al quale il soggetto debitore spontaneamente provvede all'estinzione dell'obbligazione tributaria, mediante il versamento delle somme dovute. L'attività di versamento può essere rimessa anche ad un soggetto che svolge la funzione di “sostituto d'imposta” e, in tal caso, si tratta di riscossione “per ritenuta diretta”.
Il procedimento di riscossione come strumento per il soddisfacimento della pretesa erariale

La Pubblica Amministrazione opera al fine di soddisfare l'interesse erariale al recupero tempestivo delle somme dovute da ciascun contribuente (M. A. Icolari, La riscossione dei tributi in Quaderni della rivista di diritto tributario, M. Basilavecchia, S. Cannizzaro, A. Carinci (a cura di) Giuffrè, 2011). Tale obiettivo può essere raggiunto mediante il procedimento di riscossione volontaria, in base al quale il soggetto debitore spontaneamente provvede all'estinzione dell'obbligazione tributaria, mediante il versamento delle somme dovute. L'attività di versamento può essere rimessa anche ad un soggetto che svolge la funzione di “sostituto d'imposta” e, in tal caso, si tratta di riscossione “per ritenuta diretta”.

La peculiarità di tale forma di riscossione è l'intervento di un soggetto che non ha maturato il presupposto d'imposta, ma per una disposizione di legge è tenuto ad effettuare il versamento. La deroga alla formula che prescrive che il soggetto tenuto al versamento coincida con colui che abbia maturato il presupposto, appare giustificata dall'esigenza di aumentare le garanzie creditorie. La Pubblica Amministrazione, tuttavia, è dotata di un potere di “farsi giustizia da sé” per il soddisfacimento del credito erariale mediante l'attivazione di un procedimento di riscossione coattiva. La Pubblica Amministrazione procede alla riscossione coattiva delle somme iscritte a ruolo, degli interessi di mora e delle spese di esecuzione. Al pari di quanto è disciplinato nel Codice di procedura civile all'art. 479 c.p.c., anche nel procedimento avente ad oggetto i tributi, l'esecuzione forzata non può prescindere da un titolo esecutivo che, nel caso di specie, assume la denominazione di “ruolo”. Quest'ultimo è un provvedimento ablatorio a carattere collettivo contenente l'elenco dei debitori, le generalità e le somme dovute (sanzioni, imposte e interessi) [In ciascun ruolo sono iscritte tutte le somme dovute dai contribuenti che hanno il domicilio fiscale in comuni compresi nell'ambito territoriale cui il ruolo si riferisce. Nel ruolo devono essere indicati il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento ovvero in mancanza la motivazione anche sintetica della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all'iscrizione (art. 12 D.P.R. 602/73)].

Il ruolo deve, inoltre, contenere il numero del codice fiscale del contribuente, la specie del ruolo, la data in cui il ruolo diviene esecutivo e il riferimento all'eventuale precedente atto di accertamento, ovvero, in mancanza, la motivazione, anche sintetica della pretesa; in difetto di tali indicazioni non può farsi luogo all'iscrizione. I ruoli si distinguono in ordinari e straordinari, formati, questi ultimi, quando vi è fondato pericolo per la riscossione. Il provvedimento di ruolo deve essere notificato all'interessato come garanzia di conoscenza del titolo e delle pretese in esso contenute. L'ordinamento giuridico prevede iscrizioni a ruolo a titolo definitivo nelle ipotesi di imposte e ritenute alla fonte liquidate ai sensi degli artt. 36 bise 36 ter del Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 al netto dei versamenti diretti risultanti dalle attestazioni allegate alle dichiarazioni; le imposte, le maggiori imposte e le ritenute alla fonte liquidate in base ad accertamenti definitivi; i redditi dominicali dei terreni e i redditi agrari determinati dall'ufficio in base alle risultanze catastali; i relativi interessi, sopratasse e pene pecuniarie. E', altresì, prevista anche una iscrizione a titolo provvisorio nei ruoli per le imposte, i contributi ed i premi corrispondenti agli imponibili accertati dall'ufficio, ma non ancora definitivi, nonché i relativi interessi, dopo la notifica dell'atto di accertamento, per un terzo degli ammontari corrispondenti agli imponibili o ai maggiori imponibili accertati (art. 15, D.P.R. 602/73). L'Ufficio consegna il ruolo al concessionario che notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobligato nei cui confronti si procede. La cartella di pagamento deve contenere l'indicazione del tributo dovuto, l'anno di riferimento del tributo, il soggetto debitore, il numero identificativo della richiesta impositiva, la somma da versare, gli eventuali interessi da corrispondere, l'ente da cui promana l'atto (S. Castro, Il fermo amministrativo di autoveicoli, Giuffrè, 2007).

Inoltre, l'atto in esame deve contenere l'intimazione ad adempiere l'obbligo risultante dal ruolo entro il termine di sessanta giorni dalla notificazione, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata [La cartella è notificata dagli ufficiali della riscossione o da altri soggetti abilitati dal concessionario nelle forme previste dalla legge ovvero previa eventuale convenzione tra comune e concessionario, dai messi comunali o dagli agenti della polizia municipale. La notifica può essere effettuata anche mediante invio di raccomandata con avviso di ricevimento. In tal caso la cartella è notificata in plico chiuso e la notifica si considera avvenuta nella data indicata nell'avviso di ricevimento sottoscritto da una delle persone previste dal secondo comma o dal portiere dello stabile dove è l'abitazione, l'ufficio o l'azienda (art. 26 D.P.R. 602/73)].

Qualora, la cartella di pagamento sia formata sulla base dell'avviso di accertamento può essere impugnata solo per vizi propri. Con il D. L. n. 78/2010 è stato introdotto il cd. accertamento esecutivo o impoesattivo che contiene la somma oggetto della pretesa erariale e l'intimazione ad adempiere al pagamento (il provvedimento deve contenere a pena di nullità: l'intimazione ad adempiere entro il termine di presentazione del ricorso (entro sessanta giorni); l'obbligo di pagamento degli importi previsti a titolo provvisorio in caso di proposizione del ricorso; l'indicazione dell'imponibile accertato, la specificazione delle aliquote e relative imposte, i motivi giuridici a fondamento dell'atto).

Sebbene, il procedimento di riscossione debba considerarsi subordinato al principio di riserva di legge di cui all'art. 23 Cost., non può sottacersi che l'Agente della Riscossione è titolare di un potere che potrebbe definirsi “discrezionale”, nel momento in cui è chiamato a scegliere quale sia la strada più agevole per la riscossione dei tributi mediante l'adozione di garanzie.

Le garanzie funzionali alla realizzazione dell'interesse creditorio e le misure cautelari pro parte creditoris

Come accade per ogni tipologia di credito anche quello tributario può essere assistito da garanzie strumentali ad assicurare il soddisfacimento della pretesa, qualora il debitore non voglia o non possa adempiere volontariamente all'obbligazione tributaria ( A. Marinello, Incostituzionale l'applicazione retroattiva dei privilegi ai crediti tributari, in Dir. e prat. trib. 2014, 1, 121 ss.).

Quanto detto consente di intraprendere la trattazione delle garanzie reali: immobiliari, mobiliari e presso terzi (A. Guidara, Riscossione fiscale e opere d'arte in Dir. e Prat. Trib., 2019, 3, 1091).

La prima ipotesi è rappresentata dal procedimento di iscrizione ipotecaria che consente all'Agente della Riscossione di iscrivere ipoteca sui beni immobili del debitore. Premesso che l'ipoteca, al pari delle altre garanzie, rappresenta una causa legittima di prelazione, la disciplina è contenuta nell'art. 77 D.P.R. 602/73 a tenore del quale “il ruolo costituisce titolo esecutivo per iscrivere ipoteca sugli immobili del debitore e dei coobbligati per un importo complessivo del credito per cui si procede”. In quanto compatibili, all'ipoteca esattoriale verranno applicate le regole previste per l'ipoteca in campo civilistico ed i relativi principi tra cui la specialità e l'indivisibilità. Il provvedimento di iscrizione ipotecaria deve, infatti, contenere l'indicazione puntuale dei beni da assoggettare ad ipoteca per consentire al contribuente di esercitare il diritto di difesa e verificare la legittimità dell'azione amministrativa. Essa, inoltre, è indivisibile e sussiste per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte (art. 2809 c.c.). Un'altra caratteristica dell'ipoteca è la sua accessorietà, ovvero l'assenza di un'autonomia rispetto all'obbligazione garantita. Pare opportuno ai fini della presente analisi rammentare che il codice di rito prevede tre tipologie di ipoteca: legale, giudiziale e volontaria. Nella prima ipotesi il titolo è rappresentato da alcuni atti espressamente individuati dalla legge: essa, infatti, compete all'alienante sui beni alienati a garanzia del pagamento del prezzo, al condividente sui beni assegnati agli altri condividendi a garanzia del pagamento del conguaglio (art. 2817 c.c.). Nel caso di ipoteca giudiziale il titolo è costituito da una sentenza di condanna o da provvedimenti giudiziali dalla legge equiparati ad una sentenza di condanna (art. 2818 c.c.). Infine, l'ipoteca volontaria per cui la fonte è rappresentata da un contratto o da un atto unilaterale (art. 2821 c.c.) (L. Nivarra, V. Ricciuto, C. Scognamiglio, Istituzioni di diritto privato, Giappichelli, 2019).

Tuttavia, non sembra potersi far rientrare “a pieno” l'ipoteca di cui all'art. 77 DPR. 602773, in una delle tre ipotesi di cui all'art. 2808 c.c. in considerazione della particolare forza che la legge ha voluto riconoscere all'ipoteca esattoriale (A. La Malfa, Revocatoria dell'ipoteca fiscale - la Corte di Cassazione individua una nuova categoria di ipoteca e ribadisce l'irrevocabilità di quella esattoriale in Il Fallimento, 2014, 8 – 9, 901).

Fortemente dibattuta è la questione sull'obbligatorietà della comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria che ricoprirebbe la funzione di “garanzia in termini di contraddittorio” consentendo al contribuente di difendersi prima di essere raggiunto da un provvedimento invasivo e, nel caso del provvedimento ipotecario, limitativo. Più precisamente, l'Agente della Riscossione prima di notificare il provvedimento di iscrizione ipotecaria, in ossequio ad un principio di collaborazione deve procedere ad una comunicazione preventiva di iscrizione ipotecaria, in modo da consentire al contribuente di difendersi anticipatamente. L'obbligo di notificare il preavviso di iscrizione ipotecaria è previsto dall'art. 77, comma 2 bis, DPR. n. 602/73 a tenore del quale “l'agente della riscossione è tenuto a notificare al proprietario dell'immobile una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà iscritta ipoteca di cui al comma 1” (Tale norma è stata introdotta dall'art. 7, comma 2, lettera u-bis, D. L. 13 maggio 2011, n. 70, lettera inserita dalla Legge n. 106 del 12 luglio 2011).

La giurisprudenza di merito e di legittimità hanno ammesso il riconoscimento del “contraddittorio preventivo” (la L. n. 106/2011 ha disposto il divieto per legge di emettere il provvedimento costitutivo di ipoteca. Le norme in materia esattoriale possono compromettere i diritti individuali, per tale ragione è necessario ridurre la “disparità” mediante il riconoscimento e l'applicazione di una serie di principi. C. Nouvion, L'ipoteca esattoriale tra interventi legislativi e nomofilattici. Nuove tutele per il contribuente in una disciplina marcatamente favor fisci anche in sede fallimentare in Dir. e prat. trib. 2013, 5, 819 ss.), come obbligatorio a pena di invalidità dell'atto (Cass. Civ. n. 5577/2019).

L'esigenza di una comunicazione preventiva è ancorata al complesso ordinamentale amministrativistico, le cui regole sono applicabili al procedimento tributario, salvo elementi di specialità. La L. n. 241/90, in particolare dell'art. 21 bis comma 1, prevede che “il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata anche nelle forme stabilite per la notifica agli irreperibili”. La norma suddetta va letta in combinato disposto con l'art. 6, L. n. 212/2000, secondo il quale “l'amministrazione finanziaria deve assicurare l'effettiva conoscenza da parte del contribuente degli atti a lui destinati. A tal fine essa provvede comunque a comunicarli nel luogo di effettivo domicilio del contribuente, quale desumibile dalle informazioni in possesso della stessa amministrazione o di altre amministrazioni pubbliche indicate dal contribuente, ovvero nel luogo ove il contribuente ha eletto domicilio speciale ai fini dello specifico procedimento cui si riferiscono gli atti da comunicare. Gli atti sono in ogni caso comunicati con modalità idonee a garantire che il loro contenuto non sia conosciuto da soggetti diversi dal loro destinatario. Restano ferme le disposizioni in materia di notifica degli atti tributari”. Dal combinato disposto delle predette disposizioni normative emerge un riconoscimento del diritto di essere informati preventivamente all'emissione di un atto che possa produrre effetti pregiudizievoli nella sfera giuridica del destinatario. È a dirsi che l'ipoteca, oltre che rivestire la natura di garanzia reale assume anche la funzione di misura cautelare per la riscossione delle sanzioni. Quando, invero, non si è ancora formato un titolo esecutivo è riconosciuto all'Amministrazione Finanziaria il potere di adottare misure cautelari. L'istituto è normativizzato agli artt. n. 22 D. Lgs. n. 472/1997 che prevede l'ipoteca ed il sequestro conservativo tra le misure cautelari.

In tal senso “l'ufficio o l'ente, quando ha fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, può chiedere, con istanza motivata, al presidente della commissione tributaria provinciale, l'iscrizione di ipoteca sui beni del trasgressore e dei soggetti obbligati in solido”. Sull'ipoteca si è già avuto modo di trattare, mentre il sequestro conservativo è finalizzato a vincolare i beni del debitore che non può liberamente disporne. Possono costituire oggetto di sequestro beni mobili, mobili registrati, beni immobili e tutte le altre ipotesi tassativamente previste dalla legge. Il presupposto per l'adozione delle misure cautelari è il fondato timore di perdere la garanzia del proprio credito, cioè l'esistenza di un concreto pericolo di perdere le proprie garanzie, ogniqualvolta il contribuente adotti delle condotte che mettano a rischio l'integrità del patrimonio. È a carico dell'amministrazione finanziaria l'onere di provare che la condotta del contribuente potrebbe pregiudicare il soddisfacimento della propria pretesa.

Il fermo amministrativo sui beni mobili registrati e l'espropriazione presso terzi

L'Agente della riscossione può sottrarre un bene mobile registrato alla disponibilità del suo proprietario (il fermo amministrativo di beni mobili registrati ha natura di procedura alternativa all'atto di espropriazione forzata, trattandosi di una misura puramente afflittiva volta ad indurre il debitore all'adempimento. Cass. Sez. Un. n. 15354/2015) mediante il provvedimento di fermo amministrativo. Tale provvedimento è idoneo a costituire un vincolo di indisponibilità sul bene del contribuente e deve essere distinto dal fermo amministrativo disciplinato dal r. d. n. 2440 del 18 novembre 1923, provvedimento a carattere provvisorio con il quale un'amministrazione dello Stato sospende un pagamento in attesa di procedere ad una compensazione legale con un credito che la stessa amministrazione dichiara di vantare nei confronti del suo creditore. Il fermo amministrativo di cui trattasi è, dunque, una misura che l'Agente della Riscossione adotta per tutelare il proprio credito.

Il contraddittorio preventivo è normativamente previsto all'art. 86 d.P.R. n. 602/1973 per il quale “la procedura di iscrizione del fermo di beni mobili registrati è avviata dall'agente della riscossione con la notifica al debitore o ai coobligati iscritti nei pubblici registri di una comunicazione preventiva contenente l'avviso che, in mancanza del pagamento delle somme dovute entro il termine di trenta giorni, sarà eseguito il fermo, senza necessità di ulteriore comunicazione, mediante iscrizione del provvedimento che lo dispone nei registri mobiliari….” (Si tratta di una vera e proprio obbligo di astensione dall'uso del bene, che determina una limitazione del diritto di proprietà. R. Sica, Sulla inattitudine del fermo amministrativo disposto dall'Agente della Riscossione dei tributi ad interrompere l'obbligo di corrispondere le tasse automobilistiche, in Dir. e prat. trib. 2017, 5, 2271 ss.).

La Pubblica Amministrazione può procedere all'intimazione del fermo amministrativo dopo aver espletato tutte le fasi previste dalla legge. Preliminarmente deve procedere all'iscrizione a ruolo del tributo dovuto, successivamente deve notificare la cartella di pagamento ed entro un anno dalla notifica della cartella di pagamento può intimare il fermo amministrativo. Come evidenziato dalla Suprema Corte con sentenza n. 10672/2009 il preavviso di fermo amministrativo è un atto autonomamente impugnabile, anche se non espressamente contenuto nell'elencazione di cui all'art. 19 D.Lgs. 546/92, idoneo a far sorgere nel destinatario un interesse ad impugnare atteso che contiene la comunicazione ultima che decorso inutilmente il termine per pagare si provvederà all'iscrizione del fermo presso il Pubblico Registro Automobilistico senza che sia necessaria una ulteriore comunicazione.

In particolare, sorge l'interesse del contribuente alla tutela giurisdizionale per il controllo sulla legittimità sostanziale della pretesa impositiva. L'elencazione di cui all'art. 19, D. Lgs. 546/92 va interpretata in modo estensivo, in ossequio ai principi di buon andamento ed imparzialità della Pubblica Amministrazione, perché al di là della denominazione rileva la pretesa deducibile dal provvedimento. La giurisdizione, come asserito dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite è individuata in base alla natura del credito azionato, di guisa che il giudice avrà il compito di verificare se i crediti posti a fondamento del provvedimento di fermo siano crediti di natura tributaria o crediti privi della suddetta natura (ai fini della individuazione del giudice chiamato a decidere sulla controversia ciò che rileva è il rapporto sottostante. La giurisdizione si ripartisce in ragione della natura del credito posto a base del provvedimento di fermo, di guisa che il provvedimento di fermo amministrativo emanato in forza di una pretesa tributaria è impugnabile dinnanzi al giudice tributario).

Il provvedimento di fermo amministrativo è un atto autonomamente impugnabile, in quanto provvedimento suscettibile di produrre effetti immediati e diretti nella sfera giuridica del contribuente, con effetti sanzionatori, coercitivi e direttamente afflittivi. È, dunque, possibile ricorrere al giudice qualora sia portata a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa fiscale, anche se non contenuta in atti di natura provvedimentale. L'altra modalità di esecuzione è rappresentata dal pignoramento presso terzi che implica il coinvolgimento di un soggetto terzo rispetto alle parti dell'obbligazione tributaria.

Tale procedimento ha ad oggetto beni del debitore che si trovino presso terzi che non acquisendo la qualità di parte nel processo esecutivo, sono coinvolti nella procedura al fine di consentire il soddisfacimento sulle somme di denaro dovute al debitore esecutato ovvero sulle cose da lui detenute di proprietà di quest'ultimo. Se il creditore ha intenzione di procedere su tali beni deve redigere e far notificare personalmente al terzo e al debitore un atto, detto di pignoramento presso il terzo che deve contenere l'ingiunzione al debitore di non disporre dei crediti e delle cose che si trovano presso il terzo; l'indicazione del credito per il quale si procede; del titolo esecutivo e del precetto e tutte le altre indicazioni previste dalla legge.

L'impugnabilità dell'estratto di ruolo. I profili di criticità

Si è avuto modo di trattare del ruolo, come provvedimento ablatorio a carattere collettivo, ma l'indagine non può prescindere dall'analisi della natura giuridica dell'estratto di ruolo. Può accadere che il contribuente venga a conoscenza della propria situazione debitoria non per effetto di una notifica, da parte dell'Ente di riscossione, del provvedimento di ruolo, ma occasionalmente mediante un estratto di ruolo. Quest'ultimo è un atto endoprocedimentale che viene rilasciato dall'ente riscossore nel quale sono indicate tutte le somme che il contribuente deve corrispondere all'erario. Anche nel caso di specie si pone la problematica della impugnabilità, attesa l'assenza di tale atto nell'elenco di cui all'art. 19 D.Lgs. 546/92. Tali atti sono impugnabili autonomamente perché sono lesivi in via diretta e immediata della sfera giuridico patrimoniale del destinatario [Cassazione Civile, sez.VI 28 luglio 2015 n. 15957 in www.dejure.it “In tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del D.Lgs. n. 546/1992 ha natura tassativa, ma, in ragione dei principi costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento della P.A., ogni atto adottato dall'ente impositore che porti a conoscenza del contribuente una specifica pretesa tributaria, con esplicitazione delle concrete ragioni fattuali e giuridiche, è impugnabile davanti al giudice tributario, senza necessità che si manifesti in forma autoritativa, sicché è immediatamente impugnabile anche l'avviso bonario ex art. 36-ter, comma 4, del d.P.R. n. 600/1973. (Cassa con rinvio, CTR Sicilia, Sez. dist. Catania,12/04/2013)”].

Vi sono, tuttavia, degli atti ad impugnazione cd. differita che possono essere impugnati congiuntamente all'atto autonomamente impugnabile. L'art. 19, D.Lgs. 546/92 è sorta con la finalità di predeterminare gli atti impugnabili dal contribuente, in ragione della natura del processo tributario, cd. di impugnazione. Nel tempo, tuttavia, anche in ragione di un cambiamento delle esigenze dei cittadini e della necessità di riconoscere pienamente il diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost. ci si è interrogati sulla natura della norma oggetto della presente trattazione. Molto si è dibattuto sulla natura tassativa o meno di tale elenco. Nel primo caso, infatti, la norma non sarebbe suscettibile di interpretazione cd. estensiva, perché la tipizzazione rileva al fine di evitare estensioni della norma ad altre fattispecie. La predeterminazione normativa degli atti autonomamente impugnabili si pone quale indispensabile derivato della ripartizione dei poteri (legislativo, esecutivo e giudiziario) tutelata costituzionalmente e in linea con gli artt. 24 e 97 della Carta Costituzionale (M. Basilavecchia, Funzione impositiva e forme di tutela, Torino, 2013, 13, 49).

L'art. 19, D. Lgs. 546/92 deve, tuttavia, essere letto in combinato disposto con l'art. 2 D. Lgs. 546/92 che enuncia la “generalità” dell'oggetto della giurisdizione tributaria che si individua nei “tributi di ogni genere e specie comunque denominati”. La giurisprudenza è ormai concorde nel ritenere che la norma de qua non rappresenta un numerus clausus, in quanto deve ritenersi impugnabile ogni atto indipendentemente dalla forma o denominazione che rechi una pretesa nei confronti del destinatario in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente e di buon andamento dell'amministrazione di cui all'art. 24, 53 e 97 della Costituzione (CTR Lazio Roma Sez. XV, 05/06/2017 in Massima redazionale, 2017 “Devono ritenersi autonomamente impugnabili le comunicazioni di irregolarità, di talché avverso le stesse è possibile incardinare il contenzioso senza dover attendere la notifica dei conseguenti atti di imposizione”.).

L'impugnabilità di un atto deve essere valutata tenendo conto del proprio contenuto sostanziale (A. Lovisolo, Osservazioni sull'ampliamento della giurisdizione e sui poteri istruttori del giudice tributario in Diritto e pratica tributaria, 2006, 5, n. 7) e risulta ammissibile qualora sussista un interesse ad agire diretto, concreto ed attuale di cui all'art. 100 c.p.c. laddove si legittima l'azione in giudizio [Sorge, infatti, in capo al contribuente destinatario, già al momento della ricezione della notizia, l'interesse, ex art. 100 c.p.c., a chiarire, con pronuncia idonea ad acquisire effetti non più modificabili, la sua posizione in ordine alla stessa e, quindi, ad invocare una tutela giurisdizionale, comunque, di controllo della legittimità sostanziale della pretesa impositiva (e/o dei connessi accessori vantati dall'ente pubblico)] quando alla base sussista un “interesse ad agire". Tale interesse deve essere attuale e concreto [Il detto “elenco” degli atti impugnabili è suscettibile di interpretazione estensiva, sia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e di buon andamento della p.a. (art. 97 Cost.)] e consiste nell'esigenza di ottenere un risultato utile, giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l'intervento del giudice. È pur vero che l'interpretazione può essere estesa ai soli atti dai quali sia desumibile una pretesa tributaria (Cass. civ. Sez. Unite, 02/05/2016, n. 8587 in Boll. Trib., 2017, 7, 559 “L'elencazione degli atti impugnabili contenuta nell'art. 19 del D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, si riferisce in ogni caso sempre ad atti dell'Amministrazione finanziaria che, pur non rivestendo l'aspetto formale proprio di uno di quelli dichiarati espressamente impugnabili, portino comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria, suscitandone l'interesse a chiedere il controllo di legittimità in sede giurisdizionale, o comunque costituiscano pur sempre, sia pure indirettamente, espressione del potere impositivo, a differenza quindi dell'atto autorizzatorio rilasciato dal Procuratore della Repubblica ai sensi dell'art. 52, terzo comma, del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per consentire l'esame di documenti rispetto ai quali il contribuente abbia eccepito l'esistenza del segreto professionale, che pertanto non rientra tra gli atti autonomamente impugnabili di cui al citato art. 19”) e dai quali emerga la sussistenza di un rapporto tributario. Ancora una volta sono i giudici di legittimità a pronunciarsi a Sezioni Unite con la pronuncia n. 19704/2015 che ha sancito l'autonoma impugnazione dell'estratto di ruolo pur non rientrante nell'elenco di cui all'art. 19 D.Lgs. 546/92. I giudici di legittimità hanno evidenziato che qualora la piena conoscenza sia stata conseguita dal contribuente non a seguito di una formale comunicazione, non è esclusa l'impugnabilità dell'atto, dal momento che l'esercizio del diritto alla tutela giurisdizionale non può essere compresso o reso più difficile ove non ricorra la stringente necessità di garantire diritti o interessi di pari rilievo. Nuovamente, la giurisprudenza torna ad evidenziare che ai fini del riconoscimento dell'impugnabilità di un provvedimento rileva non la denominazione, né la categoria di appartenenza, ma la pretesa che in esso è contenuta. Al più un mancato riconoscimento del diritto di impugnazione comporterebbe una violazione del diritto di difesa se si tiene conto della natura della giurisdizione tributaria cd. esclusiva, che non consente che gli atti non impugnabili in tale sede siano devoluti in via residuale ad altri giudici secondo le ordinarie regole di ripartizione della giurisdizione. Si è giunti, dunque, ad una valorizzazione dell'interesse del contribuente che viene raggiunto da un atto contenente la manifestazione di una pretesa tributaria e sarà onere di quest'ultimo fornire la prova della sussistenza di un interesse equiparabile a quello che sorge per effetto della ricezione di un atto contenuto nell'elenco di cui all'art. 19 D.Lgs. 546/92.Il riconoscimento del diritto di impugnare anche atti non contenuti nell'elenco soddisfa l'esigenza di un controllo di legittimità sostanziale sugli atti emessi dall'ente impositore, non è possibile, dunque, ricondurre al criterio nominalistico e occorre verificare se si tratti di un atto sostanzialmente impositivo che, essendo prodromico alla riscossione coattiva, possa ritenersi autonomamente impugnabile. Contrariamente, la norma in esame finirebbe per diventare una mera condizione di procedibilità, tale da rendere più gravoso l'accesso alla giustizia.

Il procedimento di sospensione cautelare a favore del contribuente

Anche il contribuente può agire per garantire la propria posizione mediante l'attivazione di un procedimento di sospensione cautelare.

La peculiarità di tale procedimento è l'ambito all'interno del quale è attivabile ovvero in sede processuale. Il contribuente può congiuntamente all'atto di ricorso o con atto separato, presentare un'istanza di sospensione degli effetti del provvedimento impugnato, al fine di evitare che, nelle more dell'udienza di primo grado, possano derivare dei pregiudizi al contribuente. L'art. 47, D.Lgs. n. 546/92, consente al contribuente di presentare istanza di sospensione cautelare qualora dall'atto impugnato possa derivargli un danno grave ed irreparabile. Tale sospensione può anche essere parziale e subordinata alla presentazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione bancaria o assicurativa, nel modo o termini previsti nel provvedimento, In particolare, il ricorrente, se dall'atto impugnato può derivargli un danno grave ed irreparabile, può chiedere alla commissione provinciale competente la sospensione dell'esecuzione dell'atto stesso con istanza motivata proposta nel ricorso o con atto separato” (in caso di eccezionale urgenza il presidente, previa delibazione del merito, può disporre con decreto motivato la provvisoria sospensione dell'esecuzione fino alla pronuncia del collegio).

Il contribuente istante dovrà dimostrare la sussistenza dei presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora.

Il fumus boni iuris, indica l'astratta possibilità di fondatezza della domanda, mentre il periculum in mora è riconducibile al pregiudizio grave ed irreparabile che il contribuente potrebbe subire dalla mancata adozione di un provvedimento di sospensione.

Deve trattarsi di elementi oggettivamente sintomatici di un pericolo concreto di pregiudizio; di danno grave e irreparabile parla anche l'art. 62-bis, D.Lgs. n. 546/92, che prescrive che “la parte che ha proposto ricorso per cassazione può chiedere alla commissione che ha pronunciato la sentenza impugnata di sospenderne in tutto o in parte l'esecutività allo scopo di evitare un danno grave e irreparabile”. L'istante, una volta individuato il periculum (il pregiudizio deve essere irreparabile ovvero non devono esservi motivi anche generici per rimuoverlo) è tenuto a delineare le ragioni, di fatto e di diritto, per le quali lo stesso deve ritenersi sussistente, atteso che il periculum non può mai ritenersi sussistente in re ipsa, ma deve essere specificamente e concretamente dedotto (G. Arieta, F. De Santis, Corso base di diritto processuale civile, Cedam, 2008).

L'irreparabilità del danno deve essere rapportata al soggetto destinatario del provvedimento, in considerazione della sua capacità economica. Ne deriva, pertanto, la necessità di una individualizzazione della situazione giuridico – patrimoniale dell'istante e, dunque, una valutazione in concreto della situazione in cui versa il contribuente. Devono, pertanto, essere presi in considerazione: la situazione reddituale del contribuente, le possibili conseguenze che dall'esecuzione dell'atto possano derivare alla sua attività imprenditoriale e il quantum delle somme contestate in relazione all'attività effettivamente esercitata. Qualora, il giudice ravvisi la sussistenza dei presupposti di legge, procede all'emissione di una ordinanza di sospensione cautelare che determina la sospensione degli effetti dell'atto impugnato. Tale ordinanza ha natura di atto endoprocedimentale, strumentale all'emanazione di un altro atto, che non può costituire oggetto di impugnazione, né di reclamo. L'atto in esame deve essere motivato e gli effetti del provvedimento cautelare cesseranno con la pubblicazione della sentenza di primo grado. L'ordinanza è revocabile e modificabile, in caso di mutamento delle circostanze, prima della sentenza [in caso di mutamento delle circostanze la commissione su istanza motivata di parte può revocare o modificare il provvedimento cautelare prima della sentenza (art. 47, comma 8, D. Lgs. 546/92)].

La decisione non può mai presentarsi come un'anticipazione della decisione definitiva, né può ritenersi vincolante rispetto ad un giudizio decisorio che in nessun modo deve risultare già espresso nella fase cautelare, potendo, di converso, risultare difforme da quello in prospettiva. Nell'ipotesi di sospensione dell'atto impugnato, la trattazione della controversia deve essere fissata non oltre novanta giorni dalla pronuncia. Possono costituire oggetto di sospensione gli avvisi di accertamento, gli avvisi di liquidazione dell'imposta, i provvedimenti di diniego di esenzione, i provvedimenti di revoca di agevolazioni, i ruoli, le cartelle di pagamento, gli avvisi di mora.

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