La riduzione del canone di locazione commerciale: soluzioni e contrasti giurisprudenziali in materia di covid-19

Maurizio Tarantino
02 Novembre 2020

Il periodo emergenziale che sta vivendo l'intera nazione ha fatto emergere fenomeni concreti di difficoltà di pagamento dei canoni di locazione di immobili ad uso diverso. Al fine di interrompere il pagamento del canone, molteplici sarebbero gli strumenti giuridici a disposizione del conduttore come la risoluzione per impossibilità sopravvenuta della prestazione e la risoluzione per eccessiva onerosità. Tuttavia, come esaminato dalla dottrina, questi mezzi non garantirebbero a pieno la posizione del conduttore, il quale potrebbe avere interesse a proseguire la locazione una volta terminata l'emergenza. Diversamente, nonostante le attuali posizioni assunte dalla recente giurisprudenza in materia come l'impossibilità parziale temporanea della prestazione, un buon compromesso resta l'invito delle parti alla rinegoziazione delle condizioni contrattuali.
Il quadro normativo

A causa del Covid-19 (c.d. coronavirus), nel cimentarsi con le ripercussioni della pandemia sull'universo delle imprese e dei debitori civili, il Governo italiano ha fatto ricorso a più riprese allo strumento del decreto-legge.

Di particolare importanza il Decreto Cura Italia (n. 18/2020) che ha previsto la sospensione dell'esecuzione dei provvedimenti di rilascio degli immobili, anche a uso non abitativo, fino al 31 agosto 2020, termine poi esteso al 31 dicembre 2020 dal Decreto Rilancio (n. 34/2020). Ma i provvedimenti emergenziali non hanno fermato i procedimenti per la convalida delle istanze di sfratto.

Quanto ai procedimenti per le morosità relative al periodo del lockdown, i giudici hanno chiamato in causa le norme codicistiche che giustificano il mancato pagamento del canone o una sua riduzione nei casi di impossibilità parziale temporanea a godere del bene. Oltre a ciò, secondo alcune pronunce, l'art. 91 del d.l. n. 18/2020 giustifica il ritardo nel pagamento ma non esclude l'obbligo. Invero, l'art. 91, comma 1, d.l. n. 18/2020 prevede che: “All'articolo 3 del decreto-legge 23 febbraio 2020, n. 6, convertito con modificazioni dalla legge 5 marzo 2020, n. 13, dopo il comma 6, è inserito il seguente: “6-bis. Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti”.

Secondo i primi commentatori, l'articolo induce a interpretare la norma nel senso che la violazione delle scadenze contrattuali in tema di locazione da parte del conduttore, verificatasi nel rispetto delle misure di legge di prevenzione e contenimento del virus possa, sempre valere ad escludere la responsabilità del debitore.

Ad ogni modo, nonostante le interpretazioni e le criticità, in tale contesto appare interessante l'utilizzo, da parte dei giudici, della norma in commento (in alcuni casi) e l'utilizzo dello strumento codicistico art. 1464 c.c. (in altri casi) come risposte alla riduzione del canone in tema di Covid-19.

L'analisi dell'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione

L'Ufficio del Massimario della Corte di Cassazione nella relazione tematica n. 56 datata 8 luglio 2020 analizza le novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid in materia contrattuale e concorsuale. Invero, nell'analizzare la normativa anti-Covid, l'Ufficio della Cassazione riflette sull'applicabilità ai contratti delle norme che contemplano l'impossibilità sopravvenuta, quelle sull'eccessiva onerosità sopravvenuta e sul fatto che, nella normativa emergenziali difettino norme che contemplino non l'impossibilità tecnica di adempiere, ma quella "strettamente finanziaria”.

In particolare, sulla questione dell'impossibilità sopravvenuta, gli ermellini hanno evidenziato che, con maggiore difficoltà, possono ricondursi i contratti di locazione, anche di beni produttivi, incisi dallo scotto della pandemia, dal momento che la prestazione di concessione in godimento rimane possibile e continua a essere eseguita quand'anche per factum principis le facoltà di godimento del bene risultino momentaneamente affievolite. Nel contratto di durata, la prestazione del locatore continua ad essere resa benché l'utilità che il conduttore ne ricava sia allo stato depressa. Fare perno sulle disposizioni in materia di impossibilità sopravvenuta per smarcare in tutto o in parte il locatario dal pagamento del canone vuol dire correggere l'alterazione dell'equilibrio contrattuale, dislocando una porzione delle conseguenze finanziarie del Covid da una parte all'altra del contratto, ma sulla base di una considerazione che appare ispirata al buon senso, più che al rigore giuridico.

Quanto alla eccessiva onerosità sopravvenuta, la relazione evidenzia che l'emergenza non si tampona demolendo il contratto. Più che la liberazione del debitore-imprenditore dall'obbligazione, cruciali appaiono l'attenuazione o il ridimensionamento del contenuto di questa, ove il suo adempimento sia ostacolato o reso sfibrante dalle misure di contenimento su approvvigionamenti, circolazione di merci, organizzazione aziendale, vieppiù ove si consideri che dette misure sono turbinosamente adottate a vari livelli (nazionale, regionale, comunale) nell'ottica di contrastare il dilagare del contagio. È il caso eclatante e sintomatico - per restare alle imprese - della locazione di un locale ad uso commerciale funzionale ad un esercizio chiuso d'autorità.

Dopo questi principi generali, i giudici si soffermano proprio sull'art. 91 del d.l. n. 18/2020 (art. 3, comma 6-bis, d.l. n. 6/2020 inserito dall'art. 91, d.l. n. 18/2020 con decorrenza dal 17.03.2020, così come modificato dall'allegato alla legge di conversione, l. n. 27/2020 con decorrenza dal 30.04.2020).

In particolare, secondo la relazione in esame, la citata norma è di ardua interpretazione su due piani:

a) la responsabilità del debitore inadempiente a causa della necessità di rispettare le misure di contenimento sembrerebbe elisa già in virtù dell'art. 1218 c.c.;

b) la norma non esclude tout court la responsabilità “da adeguamento” alle misure “anti-Covid”, piuttosto stabilendo che il rispetto di queste sia “sempre valutato” ai fini del giudizio di responsabilità.

Dunque, va provato e dimostrato il nesso causale fra rispetto delle misure e inadempimento. Tuttavia, secondo il documento in esame, è sufficiente dimostrare che sono state le misure ad aver bloccato o trattenuto la prestazione, esemplificativamente in quanto hanno vietato o ritardato l'esercizio di un'attività, per smarcare il debitore dall'area della responsabilità, consentendogli di porre il rapporto contrattuale in una situazione di peculiare quiescenza. Quindi, l'obbligato per slegarsi dalla responsabilità, non può limitarsi ad allegare assiomaticamente che l'inadempimento è ascrivibile alle misure anti-contagio, dovendo, per converso, in linea con la previsione dell'art. 1218 c.c., offrire la prova circostanziata del collegamento eziologico fra inadempimento e causa impossibilitante rappresentata dal rispetto delle prescrizioni di contenimento dell'epidemia. Secondo i giudici di legittimità, la necessità di adeguarsi a siffatte prescrizioni è in linea astratta causa di forza maggiore, ma esige in linea concreta la dimostrazione da parte del debitore che l'inadempimento è derivato proprio dall'esigenza di allinearsi ad esse.

Ed ancora, la norma d'emergenza contiene anche un richiamo all'art. 1223 c.c. (risarcimento del danno); in tal caso, sembrerebbe che la norma attenderebbe alla finalità di “sterilizzare gli effetti sostanziali che deriverebbero dall'inadempimento del debitore in una situazione di fisiologia”. Per meglio dire, il legislatore avrebbe inteso regolare una causa emergenziale di giustificazione, destinata ovviamente a cessare con la fine dell'emergenza; di conseguenza, come definito dalla dottrina, una figura di debitore definibile come “immune”. Per quanto riguarda invece il creditore, pare potersi avvalere della exceptio inadimpleti contractus, sollevabile anche in caso di inadempimenti incolpevoli o causati da impossibilità sopravvenuta per cause non imputabili al debitore; in caso contrario, il creditore dovrebbe sopportare interamente le conseguenze economiche causate dall'emergenza. Difatti, qualora l'exceptio fosse preclusa, il creditore finirebbe per essere chiamato a sopportare l'intero fardello delle conseguenze economiche dell'emergenza, pagando per una prestazione che egli non ha ancora ricevuto e che vi è il rischio non riceva più. L'eccezione anzidetta è sollevabile pure in rapporto ad inadempimenti incolpevoli o determinati da impossibilità sopravvenuta per causa non imputabile al debitore (Cass. civ., sez. III, 26 luglio 2019, n. 20322).

Solo una volta cessate l'urgenza pandemica e la paralisi del rapporto indotta dall'eccezione di inadempimento opposta dal creditore, è ipotizzabile che la sua controparte contrattuale, offrendo la propria prestazione, dia impulso all'esecuzione di quella altrui, ferma e impregiudicata l'incidenza sull'efficacia del contratto dell'impossibilità temporanea ex art. 1464 c.c. connessa all'osservanza delle prescrizioni “anti-Covid”.

In definitiva, in tale contesto, se le prescrizioni sanitarie impediscono l'esecuzione di una parte della prestazione, il debitore può sempre offrire la parte possibile e il creditore può rifiutare, ma non può agire per la risoluzione o l'intero, proprio perché sussiste la causa eccezionale di giustificazione. Se poi il creditore sceglie parte della prestazione, può a sua volta sospendere parte della propria, l'importante è che venga rispettato il principio di proporzionalità sotteso all'art. 1460, comma 2, c.c.

L'istituto dell'impossibilità parziale temporanea

L'art. 1464 c.c. recita che “quando la prestazione di una parte è divenuta solo parzialmente impossibile, l'altra parte ha diritto a una corrispondente riduzione della prestazione da essa dovuta, e può anche recedere dal contratto qualora non abbia un interesse apprezzabile all'adempimento parziale”.

In dottrina, è stato osservato che la disposizione di cui all'art. 1464 c.c. condivide la medesima ratio sottesa alla norma di cui all'art. 1463 c.c., vale a dire che la prestazione cui ciascuna parte è tenuta, si giustifica in considerazione della controprestazione altrui. Se una frazione di questa viene meno, proporzionalmente viene a ridursi la controprestazione, per cui la parte interessata, ai sensi dell'art. 1464 c.c., può richiedere una riduzione del quantum da corrispondere. Qualora la riduzione della controprestazione non sia possibile, poiché questa è indivisibile, essa è dovuta per intero, salvo il diritto a ricevere un conguaglio in denaro. La circostanza che determina l'impossibilità sopravvenuta deve concretizzarsi anteriormente all'inadempimento ed alla costituzione in mora. Resta in facoltà delle parti, pattuire che una di esse si accolli il rischio di impossibilità sopravvenuta parziale; ciò posto, il creditore potrebbe non avere interesse a ricevere una porzione della prestazione originariamente preventivata, e determinarsi al recesso, facoltà riconosciutagli dall'art. 1464 c.c.

Secondo alcune pronunce, l'art. 1464 c.c. rimette unicamente al creditore la facoltà di scelta tra la riduzione della prestazione ed il recesso (Cass. civ., sez. II, 1° febbraio 1993, n. 1219), quest'ultimo da esercitarsi in ossequio al canone di buona fede. In ambito locatizio, invece, è stato sostenuto che è illegittima la pretesa di sospendere il pagamento del canone di locazione, avanzata dal conduttore esercente, nel caso specifico, un'attività di assistenza agli anziani (casa di cura), in ragione dell'estinzione (anch'essa pretesa) del rapporto per parziale impossibilità della prestazione ai sensi dell'art. 1464 c.c. per problemi inerenti, appunto, la destinazione del bene, qualora la stessa (quale casa di cura) non risulti essere, nel sinallagma contrattuale, un elemento essenziale, in mancanza di riferimenti specifici alla destinazione sia in sede di contratto sia nei successivi eventuali patti modificativi (Trib. Bari 2 novembre 2010).

Premesso ciò, dopo questi brevi cenni (di diritto privato), attualmente, volendo considerare la posizione dei conduttori di immobili ad uso diverso, che chiedono la riduzione del canone a seguito della situazione determinata dalle misure assunte per contrastare l'epidemia di Coronavirus, molti autori hanno ipotizzato l'utilizzo dell'istituto della “impossibilità parziale sopravvenuta” come prevista dall'art. 1464 c.c.

Difatti, come già sostenuto inizialmente dai primi commentatori, nella vicenda del Covid-19, la prestazione di una parte (locatore) è divenuta solo parzialmente impossibile; quindi, ritenendo violato l'obbligo del locatore di consegnare e mantenere il bene in condizione da essere utilizzato secondo l'uso contrattualmente stabilito ai sensi dell'art. 1575 c.c. Ovviamente, tenendo presente che la situazione di “impossibilità sopravvenuta parziale”, allo stato non ha le caratteristiche della definitività.

L'utilizzo degli strumenti codicistici e normativi: prime applicazioni pratiche della riduzione del canone ad uso commerciale

Oltre all'istituto dell'art. 1464 c.c., abbiamo visto che l'art. 91 del d.l. n. 18/2020 dettato in tema di “sostegno economico per famiglie, lavoratori e imprese connesse all'emergenza epidemiologica da Covid-19" dispone che il giudice chiamato a decidere in ordine alle conseguenze generate dall'inadempimento dovrà necessariamente valutare la situazione concreta, mettendo, come sostenuto da alcuni autori, l'inadempimento su un piatto della bilancia e, sull'altro, la necessità di rispettare le misure di contenimento, quali le limitazioni agli spostamenti. A questo punto ben venga una rinegoziazione del canone di locazione, ad iniziare da una richiesta di temporanea riduzione della sua misura almeno sino alla cessazione dell'emergenza.

A questo punto, l'iniziativa spetta ovviamente al conduttore, essendo lui il primo ad essere interessato a trovare soluzioni che possano soddisfare le sue nuove mutate esigenze. Difatti, come osservato più volte, il conduttore non può, unilateralmente, decidere di sospendere il pagamento dei canoni di locazione perché questo costituirebbe un vero e proprio arbitrio che porterebbe il locatore ad assumere drastiche decisioni. Tutte simili iniziative unilaterali intraprese dal conduttore, infatti, vengono dalla giurisprudenza ritenute ex se illegittime ed in grado di configurarsi quale inadempimento contrattuale ai fini della risoluzione del contratto. Pertanto, pattuire con il proprio locatore una definitiva riduzione del corrispettivo della locazione non appare affatto fuori luogo, vuoi sino alla legale scadenza del contratto in corso o vuoi con la stipula di uno nuovo: da una parte, l'attuale critico momento non consiglia i locatori di respingere le proposte “di soccorso” dei conduttori a causa del mercato e delle conseguenze negative causate dal lockdown; dall'altra parte, i rimedi governativi attualmente emanati non sono in grado, per il momento, di consentire al conduttore di attività commerciali alternative di fronte ad un rifiuto del locatore alla trattativa.

Premesso quanto innanzi esposto, si segnalano le prime risposte fornite dalla giurisprudenza di merito in relazione alla riduzione del canone di locazione richiesta dai conduttori come conseguenza del Covid-19.

a) La distribuzione del rischio (Trib. Milano 21 ottobre 2020)

Nell'ambito della procedura di sfratto di morosità nei confronti di una società, la locatrice aveva avanzato una pretesa per i mesi di marzo, aprile e maggio 2020 di circa 11 mila euro per l'attività di ristorazione esercitata dalla conduttrice. Secondo il giudicante, in forza di ordine dell'autorità (factum principis) il conduttore aveva subito una limitazione nel godimento del bene locato non sotto il profilo della sua detenzione (che era rimasta al conduttore), quanto piuttosto della sua utilizzazione secondo la destinazione negoziale. Dunque, secondo tale assunte, entrambe le prestazioni (detenzione e destinazione contrattuale) rientravano nell'obbligo del locatore di mantenere la cosa locata, nel corso del rapporto, “in istato da servire all'uso convenuto” (art. 1575 n. 2) c.c. Oltre a ciò, il giudice milanese aggiunge che a causa dell'emergenza sanitaria in corso, era da ritenersi necessaria, alla luce del principio di buona fede e correttezza nonché dei doveri di solidarietà costituzionalizzati (art. 2 Cost.), una rinegoziazione del canone di locazione al fine di riequilibrare il sinallagma, così come caldeggiato anche dalla Suprema Corte nella relazione tematica n. 56 dell'8 luglio 2020. Pertanto, una rinegoziazione dell'importo del canone - nel senso di una sua temporanea riduzione - e/o delle modalità di corresponsione del canone stesso, verrebbe a riequilibrare lo scambio, richiedendo al locatore un sacrificio ampiamente inferiore a quello cui il conduttore sarebbe soggetto ove fosse tenuto a corrispondere l'intero canone, a fronte di un'utilità significativamente ridotta, seppur temporaneamente, esercitando parte conduttrice nell'immobile locato un'attività di somministrazione al pubblico di alimenti e bevande. Oltre a ciò, la sentenza prende in considerazione la nuova ondata di lockdown. Difatti, aggiunge il giudice che qualora il conduttore fosse costretto a corrispondere interamente il canone originariamente pattuito pur non potendo esercitare l'attività imprenditoriale che generava la necessità di prendere in locazione quell'immobile ovvero potendola sì esercitare, ma con stringenti limiti – come quelli di orario, che si stanno profilando divenire sempre più concreti alla luce dei prospettati provvedimenti di “coprifuoco” nella Regione Lombardia – il locatore verrebbe a trovarsi in una posizione di eccessivo vantaggio, continuando a ricavare un lucro che verosimilmente non otterrebbe se l'immobile venisse locato nel contesto dell'attuale soluzione emergenziale, atteso il valore ridotto del bene in tale periodo. Per i motivi esposti, il Tribunale di Milano ha invitato la locatrice a formulare alla conduttrice per iscritto una proposta di rinegoziazione del canone che comprenda il periodo marzo – dicembre 2020; nonché, termine per la conduttrice per prendere posizione su tale proposta, motivando le ragioni economiche sottese alla eventuale mancata accettazione o per formulare, a sua volta, una motivata controproposta alternativa. Solo nel caso di fallimento della rinegoziazione, si procederà al mutamento del rito.

b) Doveri di solidarietà (Trib. Venezia sez. I, 30 settembre 2020).

In questa particolare vicenda, con atto di citazione, il locatore aveva intimato sfratto per morosità con riferimento al contratto di rent to buy avente ad oggetto n. 19 unità immobiliari insistenti, lamentando il mancato versamento di canoni, per le componenti rent e buy, da dicembre 2019 sino a maggio 2020 un totale di circa 137 mila euro, di cui euro circa 49 mila euro a titolo di canoni di componente rent. Parte intimata si era opposta allo sfratto, eccependo che la morosità era dipesa da eventi eccezionali alta marea avvenuti a novembre 2019, in conseguenza dei quali era stato dichiarato lo stato di emergenza per 12 mesi, e da gennaio 2020 per l'emergenza sanitaria legata all'epidemia di COVID-19. Premesso ciò, secondo il giudice non si trattava di impossibilita assoluta di godimento di una seppur significativa impossibilità parziale, dal momento che la disponibilità dei locali in sé e per sé considerata non era venuta meno. Quindi, in virtù di quanto innanzi esposto, il giudice ha ritenuto pertinente il richiamo all'art. 1464 c.c. (e non tanto l'art. 1463 c.c. citato da parte opponente) riguardante l'impossibilità parziale sopravvenuta della prestazione e che prevede in capo alla parte la cui prestazione di per sé non è divenuta impossibile (parte conduttrice) la scelta tra riduzione della prestazione e il recesso. Anche questo caso, secondo la sentenza in commento, era opportuno trovare un accordo sulla quota di riduzione. Oltre a ciò, il giudice ha avuto modo di precisare che per un verso, la novità delle questioni nonché la considerazione degli impedimenti derivanti dai provvedimenti restrittivi emanati durante i mesi di marzo, aprile, maggio 2020 (art. 91 d.l. n. 18/2020) deponevano alla stato per la sussistenza di gravi motivi ex art. 665 c.p.c.; per altro verso, invece, vi erano ragioni che deponevano per la sussistenza dei “gravi motivi in contrario” ex art. 665 c.p.c., dal momento che la notifica dell'atto di intimazione di sfratto per morosità in piena emergenza COVID era un comportamento di certo non ispirato del tutto a canoni solidaristici ex art. 2 Cost. Per i motivi esposti, il Tribunale ha rigettato l'istanza di rilascio, disposto il mutamento del rito e assegnato alle parti il termine di quindici giorni dalla comunicazione del provvedimento presente, a pena di improcedibilità della domanda, per la presentazione della domanda di mediazione.

c) L'impossibilità parziale temporanea (Trib. Roma 27 agosto 2020)

In tale vicenda, secondo il conduttore, la società resistente non aveva ottemperato all'obbligo, derivante dalla clausola generale di buona fede e correttezza, di ricontrattare le condizioni economiche del contratto di locazione a seguito delle sopravvenienze legate all'insorgere della pandemia. Dunque, con ricorso ex art. 700 c.p.c., aveva chiesto al Tribunale adito di ordinare alla resistente di non escutere la fideiussione a garanzia delle obbligazioni assunte con il contratto di locazione e la riduzione del canone di locazione del 50%, in subordine la sospensione, a decorrere dal mese di aprile 2020 e fino all'ordinanza.

Ritenuti non sussistenti i presupposti per l'emissione di un decreto inaudita altera parte, nella successiva udienza di discussione il giudicante ha riconosciuto il ricorso suscettibile di favorevole considerazione sotto il profilo del fumus boni iuris e del periculum in mora. A tal proposito, il giudicante non ignora che in base al testo normativo dell'art. 1467, comma 3, c.c. la rettifica delle condizioni contrattuali “squilibrate” può essere invocata soltanto dalla parte convenuta in giudizio con l'azione di risoluzione; tuttavia, ha ritenuto che soprattutto per i contratti commerciali a lungo termine, tale soluzione "possa in alcuni casi non essere opportuna e non rispondente all'interesse della stessa parte che, subendo l'aggravamento della propria posizione contrattuale, è legittimata solo a chiedere la risoluzione del contratto squilibrato e non anche la sua conservazione con equa rettifica delle condizioni contrattuali squilibrate". Del resto, prosegue il Tribunale, certamente la crisi economica dipesa dalla pandemia Covid e la chiusura forzata delle attività commerciali - ed in particolare di quelle legate al settore della ristorazione - devono qualificarsi quale sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale. Difatti, nel caso delle locazioni commerciali il contratto è stato stipulato sul presupposto di un impiego dell'immobile per l'effettivo svolgimento di attività produttiva, e segnatamente nel caso di specie per lo svolgimento dell'attività di ristorazione. In tali casi, dunque, secondo il giudicante, l'eventuale risoluzione del contratto per eccessiva sopravvenuta onerosità "comporterebbe inevitabilmente la perdita dell'avviamento per l'impresa colpita dall'eccessiva onerosità e la conseguente cessazione dell'attività economica". Quindi, in tal caso, in base alla clausola generale di buona fede e correttezza, sorge un obbligo delle parti di contrattare al fine di addivenire ad un nuovo accordo volto a riportare in equilibrio il contratto entro i limiti dell'alea normale.

Per i motivi esposti, secondo il giudice romano, ferma la circostanza che alcuna delle parti ha manifestato la volontà di sciogliersi dal vincolo contrattuale, le conseguenze non sono quelle della impossibilità totale temporanea né quelle della impossibilità parziale definitiva. Trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull'obbligo di corrispondere il canone sarà dunque quello di subire, ex art. 1464 c.c. una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della resistente potrà tornare ad essere compiutamente eseguita. In conclusione, oltre alla sospensione della garanzia fideiussoria, il giudice ha accolto la domanda cautelare disponendo la riduzione dei canoni di locazione del 40% per i mesi di aprile e maggio 2020 e del 20 % per i mesi da giugno 2020 a marzo 2021.

d) Gli accordi di riduzione del canone di locazione (Trib. Venezia 28 luglio 2020)

A scioglimento della riserva, con riferimento ad un'intimazione di sfratto per morosità di un contratto di locazione avente ad oggetto un immobile ad uso commerciale, il giudicante ha osservato che era alquanto chiaro che la morosità si riferiva a mensilità nelle quali la società conduttrice non aveva potuto esercitare nei locali l'attività commerciale a causa delle restrizioni imposte dalla normativa sanitaria in materia di Covid-19. Pertanto, per il periodo da marzo 2020 a maggio 2020, nella quale l'attività commerciale è stata chiusa (c.d. lockdown), non si poteva parlare di un'impossibilità assoluta di godimento dell'immobile, ma di una mera impossibilità soltanto parziale, dal momento che l'unità immobiliare era rimasta pur sempre nella disponibilità della conduttrice ed era stata utilizzata quantomeno con funzione di ricovero delle attrezzature e delle materie prime relative all'attività di ristorazione. Dunque, era pertinente non tanto il richiamo all'art. 1463 c.c., ma piuttosto alla figura dell'impossibilità parziale temporanea, che giustifica nei contratti a prestazioni corrispettive o la riduzione della controprestazione o il recesso (artt. 1256, 1258 e 1464 c.c.).

Per i motivi esposti, richiamato quanto previsto dall'art. 91 del d.l. n. 18/2020, il giudice di Venezia ha rigettato l'istanza di rilascio con conseguente mutamento del rito del successivo giudizio di merito. In tal giudizio, almeno con riferimento al periodo da marzo a maggio, secondo il giudice, sarà necessario determinare l'an e il quantum della riduzione del canone di locazione. Dunque, un possibile accordo tra le parti.

e) Assenza dei gravi motivi per l'opposizione all'esecuzione (Trib. Pordenone 3 luglio 2020)

Diversamente dalle pronunce citate, in tal vicenda, il Tribunale adìto ha ritenuto che la pandemia da Covid-19 non consente all'affittuario di un'azienda o al conduttore di un immobile di sospendere o rifiutare il pagamento del canone nell'ipotesi in cui l'attività esercitata sia risultata interdetta dai provvedimenti emergenziali. Il c.d. lockdown non ha legittimato né ha determinato il sorgere d'un automatico diritto al non adempimento dell'obbligazione di versamento dei canoni d'affitto o di locazione. Del resto, prosegue il giudice, il richiamo all'art. 91 del Decreto Cura Italia non è pertinente. Infatti, la norma si limita ad affermare l'assenza d'obblighi di risarcimento danni e/o il maturare di decadenze o penali, ma non afferma assolutamente l'automatica sospensione sine die e/o la cancellazione dell'obbligo di versamento dei canoni d'affitto/locazione.

Nella specie, l'affittuario aveva mantenuto la detenzione dei beni oggetto del contratto ed aveva pacificamente ripreso l'attività al termine del periodo nel quale la stessa era stata interdetta, così che, allo stato, pur dovendosi invitare le parti a concordare una riduzione del canone relativo ai due mesi cui si riferisce il precetto in conformità al canone di buona fede nell'esecuzione del contratto, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo sarebbe provvedimento incongruo e non consentito.

Quindi, pur essendovi elementi per ritenere che la convenuta non aveva rispettato i propri obblighi informativi in sede di trattative e di formazione del contratto d'affitto d'azienda - non avendo informato la controparte del fatto che l'immobile nel quale si svolgeva l'attività era oggetto di pignoramento - tuttavia, risultava giuridicamente impropria e comunque incoerente la domanda subordinata di riduzione del canone pattuito fondata sul richiesto accertamento della condotta dolosa della controparte. Per i motivi esposti, il giudice ha ritenuto che non fossero sussistenti i gravi motivi richiesti per la sospensione dell'efficacia esecutivo del titolo proposta con opposizione all'esecuzione ai sensi dell'art. 615, comma 1, c.p.c.

f) Riduzione dell'indennizzo del contratto di precario utilizzo risolutivamente condizionato alla vendita (Trib. Bari 9 giugno 2020)

Il custode giudiziale di un immobile destinato all'esercizio di attività commerciale aveva chiesto al giudice dell'esecuzione di essere autorizzato alla rinegoziazione del relativo canone di locazione. Per meglio dire, in considerazione dell'emergenza epidemiologica e della correlata momentanea chiusura della propria attività commerciale, la conduttrice aveva proposto la temporanea riduzione del corrispettivo previsto nel contratto precario nella misura del 60% per i canoni di marzo e aprile 2020 e nella misura del 50% per i canoni da maggio a luglio 2020. A tal proposito, il giudice dell'esecuzione ha ritenuto meritevole di accoglimento la proposta formulata, in considerazione della peculiarità del momento storico ed economico, della specifica situazione commerciale del conduttore e della limitata ripresa delle attività nazionali, e, a tal fine, ha rinvenuto un utile ausilio ermeneutico negli artt. 91 e 103, comma 6, del d.l. n. 18/2020, convertito nella l. n. 27/2020.

g) La riduzione del canone limitatamente al periodo della sospensione delle attività (Trib. Roma 29 maggio 2020)

Nell'ipotesi di contratto di affitto di ramo di azienda a fini commerciali, la mancata esecuzione dell'obbligo gravante sull'affittante di consentire all'affittuario la vendita al dettaglio nei locali aziendali, causata dalla sospensione governativa delle attività commerciali per l'emergenza pandemica, integra un'ipotesi di impossibilità parziale e temporanea della prestazione, rilevante ex art. 1464 c.c. Per l'effetto, il conduttore ha diritto ad una riduzione del canone limitatamente al periodo della sospensione delle attività.

Invero, secondo il giudicante, trattandosi di impossibilità parziale temporanea, il riflesso sull'obbligo di corrispondere il canone sarà quello di subire, ex art. 1464 c.c. una riduzione destinata, tuttavia, a cessare nel momento in cui la prestazione della resistente potrà tornare ad essere compiutamente eseguita (come poi accaduto a far data dal 18 maggio 2020). Alla luce di tutto quanto innanzi esposto, avendo la resistente, senza sua colpa, potuto eseguire dall'11 marzo al 18 maggio 2020 una prestazione solo parzialmente conforme al regolamento contrattuale, secondo il provvedimento, la ricorrente ha diritto ex art. 1464 c.c. ad una riduzione del canone limitatamente al solo periodo di impossibilità parziale, avuto riguardo alla sopravvissuta possibilità di utilizzazione del ramo di azienda nella più limitata funzione di ricovero delle merci, correlata al diritto di uso dei locali; del resto, il ramo di azienda era pur sempre rimasto nella disponibilità della ricorrente. Per i motivi esposti, è stata ipotizzata una riduzione nella misura del 70%. Nonostante ciò, evidenzia il giudicante, restano integralmente dovute accanto alla quota del 30% di canone comunque da corrispondere, non solo le somme maturate per morosità pregresse della ricorrente ma anche gli oneri “comuni” diretti ed indiretti, in quanto connessi alla disponibilità materiale dei locali che è rimasta, anche nel periodo di chiusura, in capo alla ricorrente.

In conclusione

Le prime pronunce emerse in materia di inadempimenti contrattuali correlati al Covid-19 hanno affrontato, da un lato, la persistenza e la misura dell'obbligo di pagamento del canone da parte del conduttore di un immobile commerciale, di un'azienda o di un ramo di azienda; dall'altro lato, la sorte delle garanzie (anche a prima richiesta) prestate dal conduttore divenuto moroso a causa del lockdown e delle misure restrittive adottate dal Governo per fronteggiare l'emergenza sanitaria.

Secondo i citati provvedimenti, gli effetti negativi dei provvedimenti governativi inciderebbero solo sulle obbligazioni di pagamento del canone relative al periodo di lockdown; mentre, in assenza di una rinegoziazione volontaria e condotta secondo correttezza e buona fede, il conduttore avrebbe diritto a vedere riequilibrato giudizialmente il rapporto negoziale, potendo ciò comportare, da un lato, una riduzione del canone anche per i periodi successivi al lockdown e, dall'altro lato, una maggiore "flessibilità" del locatore relativamente alle garanzie prestate dal conduttore.

Nonostante tali riflessioni, lo scenario è ancora oggetto di interpretazioni e diverse applicazioni. Difatti, saranno poi i giudici, in ultima istanza, a valutare, caso per caso, la gravità dell'inadempimento, l'applicabilità degli istituti giuridici ed il rilievo della buona fede contrattuale nel rapporto fra le parti.

Certamente, nell'effettuare tali valutazioni, non potrà non tenersi in conto che tale situazione emergenziale non costituisce una situazione di disagio per il solo conduttore, ma mette in evidente difficoltà anche i proprietari degli immobili. Per meglio dire, se per un verso al conduttore è stato vietato l'esercizio della propria attività commerciale e non certo il pagamento del corrispettivo stabilito, anche per il locatore è divenuto pur temporaneamente impossibile rendere la sua prestazione, consistente appunto nel mantenere il bene locato nel pacifico godimento del conduttore (art. 1575 c.c.) secondo l'attività commerciale pattuita in contratto.

In definitiva, atteso il momento e l'applicazione pratica dei primi provvedimenti, a parere di chi scrive, la scelta migliore resta quella di un “pacifico accordo tra le parti” tale da soddisfare entrambi gli interessi.

Guida all'approfondimento

Tarantino, Covid-19: diritto alla riduzione del canone di affitto d'azienda per la chiusura delle attività commerciali?, in Condominioelocazione.it, 16 settembre 2020;

Sangiovanni, Contratto di locazione commerciale, mancato pagamento dei canoni e inibitoria del pagamento della garanzia bancaria a causa del Covid-19, in Condominioelocazione.it, 10 settembre 2020;

Grifeo, Locazioni commerciali, canone ridotto fino a marzo 2021 e stop fideiussione, in Guida al diritto, 7 settembre 2020;

Trapani, L'influenza della pandemia da Covid-19 sui contratti di locazione, in Diritto.it, 28 agosto 2020;

Cirla - Langher, Guida alle locazioni abitative e commerciali. Le novità nell'emergenza Covid-19, in Sole24Ore, 2020, 8;

Tarantino, Covid-19 e il problema del pagamento dei canoni senza il concreto godimento degli immobili commerciali, in Condominioelocazione.it, 15 maggio 2020;

Kowalski, Autoriduzione del canone da parte del conduttore … ai tempi del coronavirus, in Condominioelocazione.it, 18 marzo 2020;

Di Vincenzo, La risoluzione del contratto, Key Editore, 2018, 113.

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