Onere della mediazione nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo

Mattia Caputo
02 Novembre 2020

La pronuncia in commento affronta una questione di rilevante importanza applicativa nell'ambito dei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, cioè quella dell'individuazione della parte – opponente oppure opposta – sulla quale grava l'onere di instaurare il tentativo di mediazione nei casi in cui questa, ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010, nonché delle conseguenze derivanti dal mancato adempimento di tale onere.
Massima

Nelle controversie soggette a mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28 del 2010, i cui giudizi vengano introdotti con un decreto ingiuntivo (introdotte con ricorso per decreto ingiuntivo), una volta instaurato il relativo giudizio di opposizione e decise le istanze di concessione o sospensione della provvisoria esecuzione del decreto, l'onere di promuovere la procedura di mediazione è a carico della parte opposta; ne consegue che, ove essa non si attivi, alla pronuncia di improcedibilità di cui al citato comma 1-bis conseguirà la revoca del decreto ingiuntivo.

Il caso

Tizio e Caia proponevano opposizione avverso il decreto ingiuntivo con il quale erano stati ingiunti al pagamento in favore di un Istituto di credito; nel corso del predetto giudizio, a seguito della pronuncia sulla provvisoria esecuzione, il Giudice concedeva il termine per l'instaurazione del tentativo di mediazione obbligatoria, ma nessuna delle parti vi provvedeva. Pertanto il Tribunale di Treviso, stante il mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria, di cui riteneva onerata la parte opponente secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte con la sentenza n. 24629/2015 dichiarava l'improcedibilità dell'opposizione, sancendo la definitività del decreto ingiuntivo.

Avverso tale sentenza Tizio e Caia proponevano appello davanti alla Corte d'Appello di Venezia, che con ordinanza pronunciata ai sensi degli articoli 348-bis e 348-ter c.p.c. dichiarava l'impugnazione inammissibile, in quanto privo di ragionevoli probabilità di essere accolto, facendo proprio l'orientamento espresso dalla Corte di cassazione con la sentenza n. 24629/2015.

Tizio e Caia proponevano quindi ricorso per cassazione contro la sentenza resa dalla Corte d'Appello di Venezia per l'unico motivo di gravame della violazione e falsa applicazione dell'articolo 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28/2010 per avere ritenuto che la parte opponente fosse tenuta ad introdurre il tentativo di mediazione obbligatoria.

La Terza Sezione Civile della Corte di cassazione, assegnataria del ricorso, con ordinanza interlocutoria n. 18741/2019 ha rimesso gli atti al Primo Presidente, per l'eventuale assegnazione alle Sezioni unite, sulla questione, ritenuta di particolare importanza, sollevata nel ricorso, relativa all'individuazione della parte – opponente o opposta – onerata di instaurare il tentativo di mediazione obbligatoria nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo.

Le Sezioni Unite Civili, con la pronuncia che qui si commenta, all'esito di un'interpretazione di natura letterale e sistematica, hanno condiviso l'interpretazione secondo cui nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo la parte opposta è onerata di introdurre il tentativo di mediazione obbligatoria, con la conseguenza che laddove questa non vi assolva, si determina l'improcedibilità dell'opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo opposto.

La Corte di cassazione a Sezioni Unite, quindi, ha accolto il ricorso e, ritenendo non necessari ulteriori accertamenti di fatto, stante il mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria da parte della banca opposta, ha dichiarato l'improcedibilità della domanda principale ed ha così revocato il decreto ingiuntivo.

La questione

La pronuncia che qui si annota affronta una questione di rilevante importanza applicativa nell'ambito dei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, cioè quella dell'individuazione della parte – opponente oppure opposta – sulla quale grava l'onere di instaurare il tentativo di mediazione nei casi in cui questa, ai sensi dell'articolo 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, nonché delle conseguenze derivanti dal mancato adempimento di tale onere.

Le soluzioni giuridiche

Secondo un primo orientamento, fatto proprio dalla Suprema Corte in due pronunce (rispettivamente la n. 24629/2015 e la n. 22003/2019), è la parte opponente ad essere onerata di instaurare il tentativo di mediazione obbligatoria nei giudizi di opposizione a decreto ingiuntivo, per cui laddove questa non vi provveda, alla declaratoria di improcedibilità dell'opposizione consegue la definitività/irrevocabilità del decreto ingiuntivo.

Questa impostazione si basa essenzialmente su due argomenti: il primo, per così dire “empirico”, risiede nel fatto che la parte interessata e titolare del potere di proporre l'opposizione è quella opponente. Il secondo, di natura “costituzionale”, consiste nel fatto che la cd. “via lunga” (ovvero quella del giudizio di opposizione), osteggiata dal legislatore, anziché quella “breve” (del procedimento monitorio) rappresenta il risultato di una scelta processuale dell'opponente, per cui è su questi che deve gravare l'onere della mediazione. Per tale tesi l'altra soluzione ermeneutica, che considera la parte opposta gravata dell'onere di proporre la domanda di mediazione, sarebbe palesemente irrazionale, perché finirebbe per premiare l'atteggiamento passivo dell'opponente, così accrescendo gli oneri della parte creditrice.

Per una seconda ricostruzione interpretativa, invece, onerata di introdurre il tentativo di mediazione obbligatoria è la parte opposta, di talché in caso di mancata instaurazione ne deriva l'improcedibilità dell'opposizione e la revoca del decreto ingiuntivo. Quest'orientamento, seguito da una parte della giurisprudenza di merito e dalla dottrina, trova il suo fondamento in una duplice ragione. Da un lato, la considerazione che nel giudizio di opposizione la parte convenuta/opposta riveste la posizione di attore in senso sostanziale; dall'altro lato, l'argomento di rilievo costituzionale secondo cui l'accesso giurisdizionale alla tutela “condizionata” al previo esperimento di oneri (quali condizioni di procedibilità, negoziazione assistita e, appunto, la mediazione) non può mai tradursi nella perdita del diritto di agire in giudizio di cui all'articolo 24 Costituzione, come conseguirebbe dall'accoglimento dell'altra impostazione che alla improcedibilità dell'opposizione fa conseguire la irrevocabilità ed immodificabilità del decreto ingiuntivo.

Per una terza ricostruzione giurisprudenziale, minoritaria, occorrerebbe dare una risposta al problema diversa a seconda delle situazioni. In particolare, all'interno di questo tesi un primo filone ritiene che laddove il decreto ingiuntivo sia stato emesso provvisoriamente esecutivo, l'opponente sarebbe onerato di intraprendere il tentativo di mediazione, mentre nel caso in cui esso non sia stato emesso immediatamente positivo, sarebbe a ciò onerata la pare opposta. Per un altro orientamento “mediano”, sarebbe onerato di regola l'opposto, salvo fatto il caso in cui l'opponente proponga domanda riconvenzionale, essendo in tal caso onerato l'opponente.

A fronte di questo quadro giurisprudenziale, le Sezioni Unite ritengono che occorra individuare una soluzione che assicuri la prevedibilità delle decisioni giudiziarie, “anche in termini di analisi economica del diritto”.

Nel loro percorso argomentativo le Sezioni Unite partono dunque dal dato testuale/normativo, sottolineando che le disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 28/2010 non sono neutre ai fini della decisione della “quaestio iuris” sottoposta al loro scrutinio, essendovi alcuni articoli che, pur non affrontando direttamente il problema in esame, non potrebbero armonizzarsi con la tesi che pone l'onere di promuovere la procedura di mediazione a carico della parte opponente. Tra queste disposizioni si colloca innanzitutto l'art. 4, comma 2, d.lgs. n. 28/2010 che, nel regolare l'accesso alla mediazione, stabilisce come va proposta la relativa domanda e specificamente dispone, al comma 2, che «l'istanza deve indicare l'organismo, le parti, l'oggetto e le ragioni della pretesa». Ebbene, precisano le Sezioni Unite, costituisce una caratteristica tipica del nostro sistema processuale il fatto che sia l'attore, cioè colui il quale assume l'iniziativa processuale, a dover chiarire, tra le altre cose, l'oggetto e le ragioni della pretesa. In questa prospettiva, prosegue la Corte di cassazione, appare quanto meno controverso (o discutibile), quindi, ipotizzare che l'opponente, cioè il debitore – chi si è limitato a reagire all'iniziativa del creditore – sia costretto ad indicare l'oggetto e le ragioni di una pretesa che non è la sua. In secondo luogo le Sezioni Unite valorizzano il disposto dell'art. 5, comma 1-bis, del d.lgs. n. 28/2010, che prevede, tra l'altro, che chi «intende esercitare in giudizio un'azione» relativa a una controversia nelle materie ivi indicate «è tenuto, assistito dall'avvocato, preliminarmente a esperire il procedimento di mediazione ai sensi del presente decreto». Dunque la norma appare inequivocabile nel porre l'obbligo di esperire il procedimento di mediazione a carico di chi intende esercitare in giudizio un'azione, e non c'è alcun dubbio che tale posizione sia quella dell'attore, che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è il creditore opposto (cd. “attore in senso sostanziale”). Non a caso, evidenziano le Sezioni Unite, l'art. 643, comma 3, c.p.c. stabilisce che la notificazione del decreto ingiuntivo determina la pendenza della lite. Da ultimo, ma non per importanza, i Giudici di legittimità richiamano l'art. 5, comma 6, del d.lgs. n. 28/2010, che così stabilisce: «dal momento della comunicazione alle altre parti, la domanda di mediazione produce sulla prescrizione gli effetti della domanda giudiziale».Appare naturale il collegamento tra la norma di cui sopra e quelle di cui agli artt. 2943 e 2945 c.c., i quali regolano gli effetti della domanda giudiziale sull'interruzione della prescrizione e l'ultrattività dell'effetto interruttivo in caso di estinzione del processo (art. 2945, comma 3, c.c.), nonché con la disposizione di cui all'art. 5, comma 6, che prevede pure un effetto impeditivo della decadenza “per una sola volta”. Per le Sezioni Unite, guardando a queste disposizioni, non appare logico che un effetto favorevole all'attore, quale è l'interruzione della prescrizione o l'impedimento della decadenza, si determini grazie ad un'iniziativa assunta dal debitore, posto che l'opponente nella fase di opposizione al monitorio è, appunto, il debitore (cd. “convenuto in senso sostanziale”).

Quindi le Sezioni Unite, al fine di risolvere la “quaestio iuris” sottoposta al loro vaglio, valorizzano alcuni argomenti di ordine logico e sistematico. Così in primo luogo la Suprema Corte gli argomenti ribadisce che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo è la parte opposta a rivestire il ruolo di cd. “attore in senso sostanziale”, che fa cioè valere la propria pretesa, originariamente cristallizzata nella domanda monitoria. “In secundis”, poi, le Sezioni Unite affrontano il problema delle ripercussioni delle conseguenze applicative scaturenti dall'adesione all'una oppure all'altra tesi in campo, sconfessando la soluzione, seguita da molti Tribunali, che hanno fatto propria la soluzione della improcedibilità dell'opposizione, con successiva definitività del decreto ingiuntivo in una logica quasi “sanzionatoria” per l'opposto, con assimilazione di tale ipotesi al disposto dell'art. 647 c.p.c. Ad avviso delle Sezioni Unite quest'argomentazione, sia pure suggestiva, risulta però recessiva in considerazione delle due diverse situazioni, perché come rilevato dal Procuratore Generale in sede di requisitoria scritta, non è possibile assimilare l'inerzia “sanzionata” con l'esecutività del decreto ingiuntivo a norma dell'articolo 647 c.p.c. per il caso in cui un processo (di opposizione) non è stato iniziato o, se lo è stato, si è estinto per mancata costituzione delle parti, all'ipotesi in cui vi è stata attivazione del giudizio e tempestiva costituzione delle parti, che costituisce invece espressione della volontà dell'opponente di difendersi. “Last but not least”, poi, le Sezioni Unite valorizzano l'orientamento espresso dalla Corte costituzionale a più riprese (ex multis Corte cost., sent. n. 98/2014) secondo cui le forme di accesso alla giurisdizione “condizionate” al previo adempimento di oneri sono sì legittime, purché ricorrano certi limiti e che, ad ogni modo, sono illegittime le norme che collegano al mancato previo esperimento di rimedi amministrativi la conseguenza della decadenza dall'azione giudiziaria

Così le Sezioni Unite, chiamate a scegliere tra due contrapposte interpretazioni, ritengono che vada preferita quella che appare in maggiore armonia con il dettato costituzionale; diversamente, infatti, porre l'onere di promuovere il procedimento di mediazione obbligatoria a carico dell'opponente si tradurrebbe, in caso di sua inerzia, nella irrevocabilità del decreto ingiuntivo come conseguenza del mancato esperimento di un procedimento che non è giurisdizionale, soluzione inammissibile in base al dato normativo e sistematico sopra esposto, nonché in contrasto con l'interpretazione che il Giudice delle leggi ha dato alle ipotesi di giurisdizione cd. “condizionata”.

Pertanto le Sezioni Unite hanno ritenuto di dover superare l'orientamento finora espresso dalla Suprema Corte, in particolare con la sentenza n. 24629/2015 della Terza Sezione Civile, che considerava la parte opponente onerata di introdurre il tentativo di mediazione. Ciò perché se è vero che tale ricostruzione aveva valorizzato l'argomento efficientista della funzione deflattiva della mediazione in armonia con il principio della ragionevole durata del processo, è altrettanto vero che nel conflitto tra efficienza e ragionevole durata del processo (art. 111 Cost.) da una parte e la garanzia del diritto di difesa (art. 24 Cost.) dall'altra, dev'essere quest'ultimo a prevalere. Infine, concludono le Sezioni Unite, questo approdo ermeneutico si pone anche in linea di continuità con le sentenze, n. 8240 e n. 8241 del 2020 rese dalle Sezioni Unite Civili, le quali hanno esaminato problemi diversi, ma tuttavia relativi a questioni “lato sensu” assimilabili a quella in oggetto, concernenti il tentativo obbligatorio di conciliazione nell'ambito dei servizi di telefonia nel contesto del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo

Osservazioni

La sentenza che si commenta appare assolutamente condivisibile sul piano dell'impianto teorico su cui si fonda e delle conclusioni cui perviene. A parere di chi scrive essa lascia però aperto un problema di grande impatto pratico, ovvero cosa accade allorquando il Giudice abbia onerato espressamente l'opponente di instaurare il tentativo di mediazione oppure il Giudice, pur avendo onerato entrambe le parti di instaurare il tentativo di mediazione obbligatoria ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010, aderiva all'orientamento che riteneva che onerata ad intraprendere il tentativo di mediazione obbligatoria fosse la parte opponente, con conseguente declaratoria di improcedibilità dell'opposizione e definitività del decreto ingiuntivo. Si pensi al caso in cui, in una siffatta ipotesi il Giudice, dopo avere rilevato che la parte che aveva a ciò onerato o che riteneva a ciò onerata (cioè l'opponente) non aveva provveduto alla regolare instaurazione del tentativo di mediazione, ritenendo che la questione pregiudiziale di rito della improcedibilità dell'opposizione fosse idonea a definire il giudizio, aveva fissato l'udienza per la precisazione delle conclusioni, finanche non concedendo i termini ex art. 183, comma 6, c.p.c.

A stretto rigore, applicando il principio di diritto elaborato dalle Sezioni Unite Civili con la sentenza in esame il Giudice dovrà comunque decidere la causa, dichiarando sì l'improcedibilità dell'opposizione, ma mutando l'effetto di tale pronuncia, cioè revocando il decreto ingiuntivo opposto anziché dichiararne la definitività/irrevocabilità così come sancito dall'orientamento che considerava la parte opponente onerata di proporre la domanda di mediazione. Ciò, però, può comportare riflessi applicativi di non poco momento, con evidente esplosione del contenzioso (si pensi a tutti quei casi in cui in primo grado sia stata dichiarata l'improcedibilità dell'opposizione per mancato esperimento del tentativo di mediazione obbligatoria da parte dell'opponente, con la sentenza che è ancora suscettibile di essere impugnata) ed effetti pregiudizievoli per le parti opposte, che non avevano provveduto ad instaurare il tentativo di mediazione confidando nel fatto che il Giudice avesse a ciò onerato l'opponente oppure che l'organo giudicante aderisse all'orientamento secondo cui onerata di introdurre il tentativo di mediazione obbligatoria è l'opponente; affidamento, questo, quanto mai legittimo, anche considerato che di questo avviso era sia una buona parte della giurisprudenza di merito, sia, soprattutto, le uniche pronunce intervenute sul punto della Corte di cassazione (rispettivamente la sentenza n. 24629/2015 e l'ordinanza n. 22003/2019), quale Giudice di legittimità e preposto ad assicurare l'interpretazione unitaria delle norme sul territorio nazionale, in chiave nomofilattica.

Ad avviso di chi scrive il Giudice investito del giudizio di opposizione nell'ambito di materia soggetta alla condizione di procedibilità della mediazione, che non sia stata assolta dalla parte opponente a ciò onerata espressamente o di fatto (cioè aderendo il Giudice all'impostazione per cui a ciò onerato è l'opponente) ha davanti a sé tre strade.

La prima, assolutamente impervia, è quella di continuare a seguire la tesi secondo cui ad essere tenuta ad introdurre il tentativo di mediazione obbligatoria è la parte opponente, così disattendendo il “dictum” delle Sezioni Unite, con un'adeguata motivazione.

La seconda, più semplice, è quella di dare attuazione all'orientamento espresso dalle Sezioni Unite con la sentenza in commento, dichiarando in questi casi l'improcedibilità dell'opposizione (per non avere la parte opposta, che è ora da considerarsi quale parte a ciò onerata, provveduto ad introdurre il tentativo di mediazione) e, per l'effetto, revocando il decreto ingiuntivo.

La terza, possibile ma dalla dubbia praticabilità, della rimessione in termini della parte opposta che non abbia instaurato il tentativo di mediazione obbligatoria ai sensi dell'art. 5, comma 1-bis del d.lgs. n. 28/2010.

In questa prospettiva, non paiono sussistere dubbi circa la possibilità di poter applicare l'istituto di cui all'articolo 153 c.p.c. a tale ipotesi, poiché dopo la riforma operata dalla legge n. 69/2009 la rimessione in termini ha acquistato, come noto, carattere generale, considerata la sua collocazione topografica nel Capo II, Titolo VI del Libro I c.p.c., rubricato “Disposizioni Generali” e considerato che l'art. 153 c.p.c. fa ora genericamente riferimento al “Giudice” e non al “Giudice istruttore” come faceva l'abrogato 184-bis c.p.c.), per cui esso non è più limitato alle decadenze cd. “istruttorie”.

La rimessione in termini (cioè la concessione di nuovi termini) rappresenta ancora oggi l'unico strumento idoneo a superare l'ostacolo del decorso del termine perentorio e con esso si mira essenzialmente ad evitare che le intervenute decadenze possano danneggiare chi vi sia incorso senza colpa. A seguito della rimessione il processo non regredisce nella sua totalità alla situazione precedente, ma riapre la precedente fase con riferimento ai quei soli poteri per i quali la parte abbia ottenuto la rimessione in termini. Come noto, in base al disposto del secondo comma dell'articolo 153 c.p.c., affinché possa operare la rimessione in termini occorre che sussistano tre requisiti tra loro cumulativi.

Il primo requisito è che vi sia una domanda di parte, da proporsi a norma dell'art. 294, commi 2 e 3, c.p.c. (senza ritardo, cioè non appena questa abbia la consapevolezza di aver violato il termine stabilito dal Giudice o dalla legge – Cass. civ., sez. II, sent. n. 4841/2012), non potendo il Giudice mai provvedervi d'ufficio.

Il secondo presupposto è che la parte sia incorsa in decadenze: in questo senso non paiono esservi ragioni ostative a ritenere che il termine di cui all'articolo 5-bis del d.lgs. n. 28/2010 di 15 giorni concesso dal Giudice (a seguito del rilievo d'ufficio o su eccezione di parte della mancata instaurazione del tentativo di mediazione obbligatoria) sia considerato “perentorio” o, comunque, che la sua mancata osservanza implichi la decadenza per le parti per instaurarlo; ciò per esigenze di certezza e di ragionevole durata del processo, che altrimenti subirebbe una dilatazione enorme laddove le parti potessero instaurare il tentativo di mediazione obbligatoria in qualsiasi momento.

Peraltro la “decadenza” della parte (opposta) dal potere di introdurre la mediazione può certamente rientrare nell'ampia formulazione di cui all'articolo 153, comma 2, c.p.c., stante la natura generale dell'istituto della rimessione in termini a seguito della riforma operata dalla legge n. 69/2009 che ricomprende sia gli atti endoprocessuali (es. deposito memorie istruttorie, conclusionali), sia quelli extraprocessuali (es. notifica di atti, instaurazione tentativo di mediazione).

Il terzo requisito è che la parte fornisca la prova di essere incorsa in decadenze per causa ad essa non imputabile, cioè secondo la giurisprudenza per “caso fortuito” o “forza maggiore”.

È questo, a ben vedere, l'aspetto di maggiore criticità di tale soluzione: può il mutamento di giurisprudenza integrare gli estremi del “caso fortuito” o della “forza maggiore”?

È noto che in ordine al cd. “overruling” solo dichiarativo (o “prospective overruling”) – in altri termini cd. “mutamento di giurisprudenza”, la Cassazione Civile a Sezioni Unite con la sentenza n. 15144/2011 (seguita poi da numerose pronunce, tra cui Cass. civ., n. 12521/2014; Cass. civ., Sez. Un., n. 10453/2015) ha sancito il principio per cui, in forza dell'art. 111 Cost. il mutamento dell'indirizzo esegetico deve considerarsi valido solo per il futuro tutte le volte in cui il “revirement” risponda a determinate caratteristiche. Innanzitutto è necessario che il mutamento giurisprudenziale riguardi una regola del processo, cioè una norma processuale. In secondo luogo, occorre poi che il mutamento interpretativo abbia carattere “imprevedibile”, in ragione del carattere consolidato e non controverso della precedente interpretazione giurisprudenziale da un lato e, dall'altro, del repentino ed improvviso mutamento della giurisprudenza successiva o, quanto meno, privo di preventivi segnali anticipatori del suo manifestarsi. Una condizione siffatta non è ravvisabile in presenza di preesistenti contrasti interpretativi (Cass. civ., n. 27086/2011) o di incertezza interpretativa delle norme processuali ad opera della Corte di cassazione in assenza di un orientamento consolidato della stessa Corte (Cass. civ., n. 3782/2018) o nel caso in cui la parte abbia confidato nell'orientamento che non è prevalso (Cass. civ., n. 14214/2013). In terzo luogo, poi, occorre che l'”overruling” determini una preclusione o decadenza che incida sul diritto di azione o di difesa della parte che abbia confidato incolpevolmente (ossia non oltre il momento di oggettiva conoscibilità dell'arresto nomofilattico correttivo) nell'interpretazione precedente. Qualora ricorrano questi tre presupposti, la Corte di cassazione ha chiarito che il rimedio della rimessione in termini di cui all'art. 153 c.p.c. può essere invocato, anch'esso alla luce dei principi costituzionali del giusto processo, in caso di errore oggettivamente scusabile per l'affidamento riposto su una consolidata giurisprudenza di legittimità sulle norme regolatrici del processo, poi travolta da un imprevedibile mutamento interpretativo (Cass. civ., n. 15811/2010; Cass. civ., n. 23836/2012).

Prima facie”, dunque, la parte opposta che non abbia instaurato il tentativo di mediazione obbligatoria entro il termine a ciò assegnato dal Giudice all'opponente o alle parti (ma in un contesto giudiziario in cui si aderisce all'orientamento per cui è a ciò onerata la parte opponente) potrebbe essere rimessa in termini, con concessione di un nuovo termine di 15 giorni ex art. 5, comma 1-bis, d.lgs. n. 28/2010 da parte del Giudice Istruttore in virtù dell'”overruling” giurisprudenziale operato dalle Sezioni Unite n. 19596/2020. Rimangono però forti dubbi: da un lato, infatti, l'orientamento per cui onerato ad intraprendere la condizione di procedibilità della mediazione obbligatoria fosse l'opposto era presente in ampia misura nelle aule di giustizia – ancorché solo nella giurisprudenza di merito – di talché non può ritenersi in termini assoluti che l'orientamento per cui onerato fosse l'opponente avesse “carattere consolidato e non controverso”, come tale idoneo ad ingenerare un affidamento in capo all'opposto circa la interpretazione univoca della norma processuale; dall'altro lato secondo la giurisprudenza (da ultimo Cass. civ., Sez. Un., n. 4135/2019) «L'affidamento deve essere, altresì, valutato tenendo conto del "dovere di precauzione" necessaria in presenza di divergenti interpretazioni giurisprudenziali e/o norme oggettivamente poco chiare. Infatti, la natura scusabile dell'errore deve essere accertata tenendo conto della massima diligenza a cui la parte è tenuta nelle situazioni dubbie». Il “principio di precauzione” avrebbe allora probabilmente imposto alla parte opposta di instaurare il tentativo di mediazione obbligatoria, ancorché il Giudice avesse a ciò onerato la parte opponente espressamente o, comunque, la ritenesse a ciò onerata di fatto, nella consapevolezza che la giurisprudenza sul punto ben avrebbe potuto consolidarsi in senso contrario, stante l'ampia diffusione, specie nell'ambito della giurisprudenza di merito, della tesi che ritiene a ciò onerata la parte opponente.

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