Direttiva PIF e reati tributari

Saverio Capolupo
03 Novembre 2020

Con l'attuazione della direttiva PIF è stato introdotto, per la prima volta, il tentativo anche per i reati di frode fiscale e di infedele dichiarazione, ancorché, limitatamente all'IVA e sempre che gli atti diretti a commettere detti delitti siano compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell'Unione Europea, al fine di evadere l'IVA per un valore complessivo non inferiore a 10 milioni di euro.
Premessa

Con l'attuazione della direttiva PIF è stato introdotto, per la prima volta, il tentativo anche per i reati di frode fiscale e di infedele dichiarazione, ancorché, limitatamente all'IVA e sempre che gli atti diretti a commettere detti delitti siano compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell'Unione Europea, al fine di evadere l'IVA per un valore complessivo non inferiore a 10 milioni di euro.

Inoltre, alcune delle fattispecie considerate dalla Direttiva come frode all'IVA e inserite tra i reati presupposti ex D.Lgs. n. 231/2001 non possono essere considerate innovazione di carattere sostanziale in quanto potenzialmente attraibili in fattispecie penalmente già sanzionate.

I due presupposti richiesti per la frode, e mutuati dalla terminologia comunitaria, non mancheranno di attirare l'attenzione della dottrina non essendo chiarito, in particolare, né nel dato normativo né nella relazione di accompagnamento quando il fatto debba essere considerato consumato in parte nel territorio dello Stato ed in parte in altro Stato Membro.

Le indicazioni comunitarie

La tutela degli interessi finanziari dell'Unione riguarda non solo la gestione degli stanziamenti di bilancio, ma si estende a qualsiasi misura che incida o che minacci di incidere negativamente sul suo patrimonio e su quello degli Stati membri, nella misura in cui è di interesse per le politiche dell'Unione.

Al fine di assicurare detta tutela, le Convenzioni comunitarie hanno stabilito norme minime riguardo alla definizione di illeciti penali e di sanzioni nell'ambito della frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione.

I provvedimenti muovono dall'oggettivo presupposto che la frode ai danni delle entrate e delle spese dell'Unione in numerosi casi non resta circoscritta a un singolo Paese ed è, spesso, commessa da reti della criminalità organizzata.

Conseguentemente, la tutela degli interessi finanziari dell'Unione ha richiesto il perseguimento penale di ogni condotta fraudolenta lesiva di tali interessi e parallelamente è stato adottato il Regolamento n. 2988/95 del Consiglio con il quale sono state dettate norme generali relative a controlli omogenei e a misure e sanzioni amministrative riguardanti irregolarità relative al diritto dell'Unione riferendosi, al contempo, alle norme settoriali, alle condotte fraudolente quali definite nella convenzione e all'applicazione del diritto penale e del procedimento penale degli Stati membri.

Le iniziative assunte nel tempo si sono dimostrate, evidentemente, inadeguate tanto da avvertire la necessità di emanare la Direttiva 05/07/2017, n. 2017/1371/UE relativa alla lotta contro la frode che lede gli interessi finanziari dell'Unione mediante il diritto penale (c.d. Direttiva PIF).

Invero, nonostante le affermazioni di principio, ancora una volta si è dovuto constatare che manca nell'ordinamento comunitario una definizione comune di frode che dovrebbe ricomprendere la condotta fraudolenta dal lato delle entrate, delle spese e dei beni ai danni del bilancio generale dell'Unione europea.

Tuttavia, poiché, com'è noto, il sistema fiscale comunitario è lungi dall'essere complessivamente armonizzato, le indicazioni comunitarie si sono dirette, inevitabilmente, a fornire una definizione di frode in materia di IVA con specifico riferimento alle forme più gravi di frode dell'imposta quali, ad esempio, la frode carosello, la frode dell'IVA dell'operatore inadempiente e la frode dell'IVA commessa nell'ambito di un'organizzazione criminale, che creano serie minacce per il sistema comune dell'IVA e, di conseguenza, per il bilancio dell'Unione.

Di qui la raccomandazione a considerare reati gravi in materia di 'IVA qualora siano connessi al territorio di due o più Stati membri, derivino da un sistema fraudolento per cui tali reati sono commessi in maniera strutturata allo scopo di ottenere indebiti vantaggi dal sistema comune dell'IVA, fissando quale limite quantitativo, ai fini della menzionata qualificazione, il limite di un danno complessivo almeno pari a 10. 000. 000,00 di euro.

Ai fini della menzionata qualificazione la Direttiva ha chiarito che la nozione di danno complessivo si riferisce al danno stimato che derivi dall'intero sistema fraudolento, sia per gli interessi finanziari degli Stati membri interessati sia per l'Unione, escludendo interessi e sanzioni.

Le ricadute sul sistema penale tributario

La riformulazione di alcune norme del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74 ha avuto conseguenze sia sulla responsabilità penale delle persone fisiche che si sono rese responsabili dei reati tributari sia sulla responsabilità amministrativa dell'ente di cui al D.Lgs n. 231/2001 sollevando numerose problematiche (duplicazione delle sanzioni amministrative, mancata estensione all'ente delle cause di estinzione del reato, mancata applicazione del principiò di particolare tenuità ex art. 131-bis c.p., ecc.) senza, per contro, mettere ordine, come pure sarebbe stato auspicabile, ad una disciplina frastagliata e dominata dalla giurisprudenza superando, a volte, lo stesso principio di legalità di cui all'art. 23 della Costituzione.

Sempre come considerazione di carattere generale, il sistema penale tributario si muove su un doppio binario atteso che alcune condotte criminalizzate hanno ricadute sia sul versante delle imposte sul reddito sia dell'IVA; altre soltanto ai fini di quest'ultimo tributo.

Ne consegue una evidente mancanza di coordinamento essendo noto che, quantunque le nozioni di “volume di affari”, “ricavi” e “Compensi” sotto il profilo tecnico giuridico siano espressioni del tutto differenti, con specifico riferimento al reddito d'impresa e di lavoro autonomo si avvicinano di molto se non addirittura coincidenti in alcune ipotesi.

Sta di fatto che la condotta fraudolenta in materia di IVA, almeno di norma, determina una contrazione della base imponibile ai fini sia di tale tributo sia delle imposte sul reddito.

Tralasciando l'annosa questione riguardante l'opportunità o meno di introdurre i reati tributari tra gli illeciti penali presupposto per la responsabilità dell'ente, sulla quale la dottrina continua a collocarsi su posizioni nettamente contrapposte, con argomentazioni più o meno condivisibili, va evidenziato che il Decreto legislativo 14 luglio 2020, n. 75, nel recepire le indicazioni della direttiva PIF, ha introdotto rilevanti modifiche sia al D.Lgs n. 74/2000 sia al D.Lgs n. 231/2001.

Per completezza va ricordato che, per gli effetti che ne conseguono, va anche ricordato che con la Legge n. 157/2019 si era già provveduto a modificare l'art. 4, comma 1-ter, del D.Lgs n. 74/2000 sostituendo l'avverbio “singolarmente” con quello di “complessivamente”.

In sostanza, è stata modificata l'esimente prevista dalla citata disposizione in forza della quale si escludeva la punibilità delle "valutazioni" che, singolarmente considerate, differissero in misura inferiore al 10% da quelle corrette e non assumevano rilievo gli importi compresi in tale percentuale ai fini del superamento delle soglie di punibilità.

Ne consegue che, ai fini del computo dei maggiori imponibili rilevanti per l'integrazione del delitto in esame, tutte le valutazioni operate dal contribuente nella medesima annualità d'imposta, anche se relative a operazioni o fattispecie differenti, devono essere considerate in modo cumulativo e il calcolo della suddetta "franchigia" deve essere effettuato con riferimento al loro ammontare complessivo.

Resta fermo che continua a non tenersi conto della non corretta classificazione, della valutazione di elementi attivi o passivi oggettivamente esistenti, rispetto ai quali i criteri concretamente applicati sono stati comunque indicati nel bilancio ovvero in altra documentazione rilevante ai fini fiscali nonché della violazione dei criteri di determinazione dell'esercizio di competenza, della non inerenza e della non deducibilità di elementi passivi reali.

Le principali modifiche

La prima rilevante modifica apportata dal D.Lgs n. 75/2020 riguarda l'introduzione, per la prima volta, del tentativo anche per i reati di frode fiscale, ancorché, limitatamente all'IVA e sempre che gli atti diretti a commettere detti delitti siano compiuti anche nel territorio di altro Stato membro dell'Unione Europea, al fine di evadere l'IVA per un valore complessivo non inferiore a 10 milioni.

I menzionati reati sono sempre stati considerati consumati con la presentazione della dichiarazione con la conseguenza di essere qualificati illeciti istantanei con effetti permanenti.

La menzionata novità apre la discussione al fine di verificare se, sul piano concreto, detti illeciti siano effettivamente perseguibili dovendo, non solo applicare i principi generali in materia di tentativo di cui all'art. 81 c.p., ma anche accertare la sussistenza delle altre condizioni che non sembrano essere di agevole identificazione.

Fermo restando che, per questi tipi di illeciti, la giurisprudenza ritiene sussistente quasi sempre l'elemento soggettivo, senza necessità di ulteriore prova - in quanto l'evasione, qualunque forma assuma, è sempre consumata a danno dell'erario e a vantaggio del dichiarante - va ricordato che, secondo le indicazioni della direttiva comunitaria in materia di entrate derivanti dalle risorse proprie provenienti dall'IVA, l'azione od omissione commessa in sistemi fraudolenti transfrontalieri rileva in relazione:

  1. all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o documenti falsi, inesatti o incompleti relativi all'IVA, cui consegua la diminuzione di risorse del bilancio dell'Unione;
  2. alla mancata comunicazione di un'informazione relativa all'IVA in violazione di un obbligo specifico, cui consegua lo stesso effetto;
  3. alla presentazione di dichiarazioni esatte relative all'IVA per dissimulare in maniera fraudolenta il mancato pagamento o la costituzione illecita di diritti a rimborsi dell'IVA.

In verità, in termini sostanziali, non sembra di trovarsi di fronte ad un'innovazione di carattere sostanziale ove si consideri che le menzionate condotte già possono essere attratte nelle fattispecie penali innanzi richiamate nonché nelle ipotesi di omessa dichiarazione (art. 5) e omesso versamento dell'iva (art. 10-ter).

Va anche ricordato che il codice penale già punisce la indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 640), la truffa aggrevata per il conseguimento di erogazioni pubbliche (art. 640-bis) nonché la falsità commessa da privato in atto pubblico (art. 483).

La vera novità allora, riguarda l'ampliamento dei reati presupposto con l'introduzione dell'art. 25-quinquiesdecies del D.Lgs n. 231.

In sostanza, allo stato attuale, i reati tributari di:

  1. dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
  2. la dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici;
  3. l'emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti;
  4. l'occultamento e la distrazione di documenti contabili;
  5. la sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte,

ove accertati in sede penale, possono determinato sempre la responsabilità dell'ente, oltre a quella della persona fisica autore dell'illecito.

Inoltre, i reati di infedele dichiarazione, omessa dichiarazione, di indebita compensazione rilevano ai fini della responsabilità dell'ente anche se consumati a titolo di tentativo al verificarsi dei menzionati presupposti territoriali e quantitativi.

In conclusione

Come accennato l'accertamento dei due requisiti richiesti, entrambi mutuati dalla terminologia utilizzata dalla Direttiva comunitaria, non mancheranno di attirare l'attenzione della dottrina non essendo chiarito né nel dato normativo né nella relazione di accompagnamento quando il fatto debba essere considerato consumato in parte nel territorio dello Stato ed in parte in altro Stato.

In sostanza, dovrà essere individuata la soglia minima delle attività necessarie affinché l'azione possa essere commessa “in parte” nel territorio di altro Stato.

Come sempre sarà la giurisprudenza a colmare il vuoto legislativo, soluzione certamente non appagante.

Potrebbe essere utile, al limite, ricordare che il nostro ordinamento ha già considerato il reato transazionale il quale, com'è noto, si considera commesso qualora l'illecito penale sia commesso, in via alternativa, in più di uno stato, in un solo Stato ma una parte sostanziale sia stata commessa in altro Stato in termini di preparazione, pianificazione, direzione o controllo.

Il retao, inoltre, è considerato tale sia quando commesso in un solo Stato ma produce effetti sostanziali in altro Stato sia qualora, pur essendo commesso in un solo Stato ha come autore un gruppo criminale organizzato impegnato in attività criminali in più Stati.

Indubbiamente, non tutte le richiamate indicazioni possono essere estese all'ipotesi di illecito con connotazione fraudolenta, ma potrebbe sicuramente costituire la base per una costruzione in via giurisprudenziale.

Va da sé che, in tale ottica, va comunque sempre considerato che in materia opera il principio di stretta legalità ex art. 23 della Costituzione.

Come ultima considerazione, non deve sfuggire che alla luce della giurisprudenza, di legittimità e di merito, la distinzione tra infedele dichiarazione e dichiarazione fraudolenta commessa con altri artifici è tutt'altro che agevole tanto che la stessa condotta, a seconda dell'angolo di valutazione utilizzato, può essere fatta rientrare sia nell'uno che nell'altro ilecito.

In conclusione, in mancanza di una precisa perimetrazione delle singole fattispecie criminose, la collocazione delle condotte nell'una o nell'altra fattispecie dipenderà dall'approccio assunto dal Giudice, fermo restando che la magistratura deve applicare le norme giuridiche, al limite interpretarle, se necessario, ma mai crearle, pena confusione di ruoli e funzioni e mancanza di certezza del diritto.

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