La chiamata del terzo da parte dell'opponente a decreto ingiuntivo può essere implicitamente autorizzata dal giudice
04 Novembre 2020
Massima
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, l'opponente, che riveste la posizione di convenuto in senso sostanziale, qualora intenda chiamare in causa un terzo non può direttamente citarlo per la prima udienza, ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato, fermo restando che, qualora il medesimo opponente, pur avendo citato direttamente il terzo, abbia in via gradata tempestivamente richiesto l'autorizzazione di cui all'art. 269 c.p.c., rimane impedita la decadenza dalla chiamata, la quale deve, anzi, ritenersi implicitamente autorizzata, ove il giudice pronunci nel merito anche nei confronti del terzo. Il caso
Nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo promosso dal condominio Alfa nei confronti dell'impresa Beta, esecutrice di lavori condominiali, il tribunale di Brescia accoglieva la domanda di garanzia formulata dal medesimo condominio nei confronti della società Gamma, quale amministratrice ritenuta responsabile dei lavori non autorizzati dall'assemblea. Avendo l'appellante principale società Gamma dedotto l'irritualità della propria chiamata in giudizio, operata dall'opponente condominio Alfa con citazione diretta, senza previa autorizzazione del giudice, la Corte d'appello di Brescia riconosceva l'avvenuta decadenza dalla facoltà di evocare in lite la terza, con assorbimento dell'appello incidentale del condominio. Quest'ultimo, con l'unico motivo di ricorso per cassazione, deduceva la violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 106, 162 e 269 c.p.c., non avendo il giudice d'appello considerato che, nella citazione in opposizione a decreto ingiuntivo, oltre a chiamare in causa direttamente la società Gamma, era stata comunque spiegata istanza al giudice “in via subordinata…volta…a vedere autorizzata la chiamata di tale soggetto”, chiedendosi a tal fine, nelle conclusioni, anche lo spostamento eventuale della prima udienza. La questione
La questione sulla quale verte la pronuncia in commento attiene alle modalità con cui l'opponente a decreto ingiuntivo può procedere alla chiamata in giudizio di un terzo ed alle forme che può assumere la relativa autorizzazione del giudice. Le soluzioni giuridiche
La Suprema Corte ha ritenuto il ricorso manifestamente fondato, richiamando, in primo luogo, il costante orientamento di legittimità secondo cui l'opponente a decreto ingiuntivo, che intenda chiamare in causa un terzo, non può direttamente citarlo per la prima udienza, ma deve chiedere al giudice, nell'atto di opposizione, di essere a ciò autorizzato. Tale principio costituisce un diretto corollario della natura del giudizio di opposizione, in cui non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti, atteso che il creditore-opposto mantiene la veste di attore in senso sostanziale ed il debitore–opponente quella di convenuto in senso sostanziale, anche in ordine ai poteri ed alle preclusioni processuali rispettivamente previsti per ciascuna delle parti. Ne consegue che, sebbene il disposto dell'art. 269 c.p.c., che disciplina le modalità della chiamata di terzo in causa, non si concili con l'opposizione al provvedimento monitorio, l'opponente deve, in ogni caso, citare unicamente il soggetto ingiungente, e contestualmente chiedere al giudice l'autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritenga comune la causa sulla base dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo (Cass. civ., 26 agosto 2019, n. 21706; Cass. civ., 29 ottobre 2015, n. 22113; Cass. civ., 14 maggio 2014, n. 10610; Cass. civ., 27 giugno 2000, n. 8718). Nel caso di specie, il condominio opponente, oltre a citare la società opposta e direttamente il terzo chiamato in garanzia, aveva comunque formulato, sia pure in via subordinata, l'istanza di autorizzazione alla chiamata in causa del terzo, senza che il tribunale avesse provveduto in merito (ferma la discrezionalità dell'autorizzazione del giudice alla chiamata in causa di un terzo su istanza di parte ex art. 106 c.p.c.: cfr. Cass. civ., Sez. Un., 23 febbraio 2010, n. 4309), né disposto la fissazione di una nuova udienza per consentire al terzo, irritualmente citato, di intendere le ragioni azionate in monitorio. Secondo la Cassazione, quindi, l'istanza di autorizzazione rivolta al giudice nell'atto di opposizione valeva comunque ad impedire la decadenza dell'opponente dalla chiamata, erroneamente ravvisata dalla Corte d'appello. D'altra parte, avendo il tribunale direttamente pronunciato nel merito nei confronti del terzo, doveva con ciò intendersi implicitamente autorizzata la chiamata in causa di quest'ultimo. Alla luce di tale principio, la Suprema Corte ha accolto il ricorso e rinviato la causa ad altra sezione della medesima Corte d'appello. Osservazioni
Per consolidata giurisprudenza, nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo sono parti soltanto colui che ha proposto la domanda con il ricorso monitorio e colui contro il quale la domanda è stata proposta (Cass. civ., 13 giugno 2018, n. 15567, che ha escluso la legittimazione dei singoli condomini a proporre opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso nei confronti del condominio in una controversia relativa alla gestione di un servizio svolto nell'interesse comune; Cass. civ., 18 agosto 2004, n. 16069). In particolare, per effetto dell'opposizione non si verifica alcuna inversione della posizione sostanziale delle parti nel giudizio contenzioso, nel senso che il creditore mantiene la veste di attore e l'opponente quella di convenuto anche per quanto riguarda i poteri e le preclusioni processuali, con la conseguenza che l'opponente, qualora voglia chiamare in causa un terzo, non può provvedervi direttamente, ma, essendogli preclusa la facoltà di chiedere lo spostamento dell'udienza (in quanto è lo stesso opponente-convenuto in senso sostanziale a fissare nella citazione l'udienza di prima comparizione e trattazione), deve necessariamente chiedere al giudice, con lo stesso atto di opposizione (a pena di decadenza: Cass. civ., 26 agosto 2019, n. 21706; Cass. civ., 29 ottobre 2015, n. 22113), l'autorizzazione a chiamare in giudizio il terzo al quale ritiene comune la causa sulla base dell'esposizione dei fatti e delle considerazioni giuridiche contenute nel ricorso per decreto ingiuntivo (Cass. civ., 1 marzo 2007, n. 4800). Inoltre, secondo Cass. civ., 6 marzo 2007, n. 5106, l'art. 269 c.p.c. non impone al chiamante di allegare all'atto di chiamata in causa l'atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo e la comparsa di risposta della parte opposta. Anche nell'opposizione a decreto ingiuntivo innanzi al giudice di pace, si è ritenuto che l'opponente che intenda chiamare un terzo in causa, avendo posizione di convenuto, deve farne richiesta nell'atto di opposizione, a pena di decadenza, non potendo formulare l'istanza direttamente in prima udienza (Cass. civ., 14 maggio 2014, n. 10610). Quid iuris se l'opponente, senza la preventiva autorizzazione del giudice, provvede a citare direttamente in giudizio il terzo? In proposito, secondo la tesi prevalente, il vizio della mancata autorizzazione determina una decadenza rilevabile d'ufficio ed insuscettibile di sanatoria per effetto della costituzione del terzo chiamato, ancorché questi non abbia, sul punto, sollevato eccezioni, in quanto il principio della non rilevabilità di ufficio della nullità di un atto per raggiungimento dello scopo si riferisce esclusivamente all'inosservanza di forme in senso stretto, e non di termini perentori, per i quali vigono apposite e distinte norme (Cass. civ., 29 ottobre 2015, n. 22113; Cass. civ., 31 ottobre 2014, n. 23174). In senso contrario, si è invece sostenuto che la nullità della chiamata del terzo senza autorizzazione del giudice va eccepita dal terzo nella prima difesa (Cass. civ., 20 gennaio 2015, n. 883). Nella pronuncia in commento la Suprema Corte ha indicato, però, due fattispecie di sanatoria del vizio della mancata autorizzazione, ravvisabili nell'ipotesi in cui la chiamata diretta del terzo contenuta nell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo sia accompagnata dall'istanza comunque rivolta al giudice, anche in via subordinata, di autorizzazione alla chiamata, nonchè nell'ipotesi in cui il giudice dell'opposizione abbia comunque pronunciato nel merito nei confronti del terzo chiamato in giudizio, dovendosi, in tale ultimo caso, ritenere configurabile un'autorizzazione implicita alla chiamata del terzo. Tale ultimo principio trova riscontro in un precedente di legittimità in tema di opposizione a decreto ingiuntivo soggetta al rito del lavoro (nella specie, trattavasi di controversia in materia di locazione), secondo cui qualora l'opponente, nel ricorso in opposizione, formuli istanza di chiamata in causa di terzo e il giudice, nel decreto di fissazione dell'udienza di discussione, non riservi di provvedere in merito, deve intendersi implicitamente autorizzata la chiamata medesima, cui l'opponente provvederà notificando al terzo il ricorso in opposizione e il decreto di fissazione dell'udienza; se il creditore opposto non si duole che la chiamata sia stata autorizzata senza consentirgli di interloquire e se il terzo chiamato non si duole che il ricorso in opposizione non gli consenta di intendere le ragioni azionate in monitorio, lo scopo è raggiunto ai sensi dell'art. 156, comma 2, c.p.c. e la chiamata del terzo va considerata rituale (Cass. civ., 15 maggio 2012, n. 7526). Degno di nota è anche il richiamo che, in via incidentale, la pronuncia in commento fa al potere di valutazione del giudice in ordine all'istanza di autorizzazione alla chiamata in causa di terzi da parte del convenuto. In proposito, va rammentato che, fino a circa un decennio fa, secondo il tradizionale orientamento della giurisprudenza, mentre per l'attore che intendesse chiamare in causa un terzo era necessaria, oltre al nesso di consequenzialità con le difese svolte dal convenuto, l'espressa autorizzazione del giudice, il convenuto, nel solo rispetto dei termini e delle forme di cui agli artt. 167, comma 2, e 269, comma 2, c.p.c., poteva chiamare in giudizio chiunque, anche in difetto del requisito della comunanza della causa, senza che al giudice fosse consentito alcun controllo al riguardo. In altri termini, il giudice non aveva alcun potere valutativo in ordine alla sussistenza dei presupposti della chiamata in causa del terzo da parte del convenuto, ma poteva solo valutarne la legittimità formale sotto i profili della tempestività della costituzione del convenuto e della esplicita richiesta di chiamata in causa e spostamento della prima udienza. Tale disparità di trattamento tra attore e convenuto, reputata non costituzionalmente illegittima (Corte cost., 3 aprile 1997, n. 80), è venuta meno allorquando le Sezioni Unite hanno affermato il principio per cui, al di fuori delle ipotesi di litisconsorzio necessario di cui all'art. 102 c.p.c., il giudice, cui sia tempestivamente chiesta dal convenuto la chiamata in causa, in manleva o in regresso, del terzo, può rifiutare di fissare una nuova prima udienza per la costituzione del terzo, motivando la trattazione separata delle cause per ragioni di economia processuale e per motivi di ragionevole durata del processo intrinseci ad ogni sua scelta, dopo la novella dell'art. 111 Cost. del 1999 (Cass. civ., Sez. Un., 23 febbraio 2010, n. 4309). Ciò non lederebbe i diritti del convenuto, essendogli data, comunque, facoltà di rivalersi nei confronti del terzo in un successivo ed autonomo processo. Pertanto, allo stato, le valutazioni del giudice di merito, che conceda o neghi l'autorizzazione a chiamare in causa un terzo ai sensi dell'art. 106 c.p.c., sono assolutamente discrezionali e non suscettibili di essere censurate in appello o con ricorso per cassazione (Cass. civ., 13 febbraio 2020, n. 3692; Cass. civ., 26 agosto 2019, n. 21706; Cass. civ., 9 febbraio 2016, n. 2522, nelle controversie di lavoro; Cass. civ., 12 maggio 2015, n. 9570; Cass. civ., 21 gennaio 2015, n. 1112, nel processo tributario; Cass. civ., 4 dicembre 2014, n. 25676). Inoltre, ove sia stata proposta dal convenuto tempestiva istanza di differimento della prima udienza di trattazione allo scopo di provvedere alla chiamata in causa di terzi, il provvedimento di rigetto può essere revocato (anche implicitamente) da parte dello stesso giudice o di altro avanti al quale la causa sia stata riassunta a seguito di declinatoria di competenza ad opera del primo, semprechè ciò avvenga prima che sia esaurita la fase della prima udienza di trattazione (Cass. civ., 25 ottobre 2016, n. 21462).
|