I rapporti tra appaltatore e subappaltatore in materia di sicurezza sul lavoro

Enrico Zani
06 Novembre 2020

In tema di infortuni e di sicurezza sul lavoro, l'esternalizzazione in tutto o in parte del processo produttivo non esclude che il datore di lavoro possa essere ritenuto responsabile dell'evento, ove egli non dia prova di avere – secondo le previsioni dell'art. 7, d.lgs. n. 626 del 1994, ed anche indipendentemente dall'osservanza del dovere generale di protezione di cui all'art. 2087, c.c. – adeguatamente verificato l'idoneità tecnico – professionale del soggetto cui l'opera è affidata e di avere concorso alla prevenzione del rischio specifico implicato nella realizzazione della medesima, anche mediante un'idonea opera di informazione dei lavoratori addetti.
Massima

In tema di infortuni e di sicurezza sul lavoro, l'esternalizzazione in tutto o in parte del processo produttivo non esclude che il datore di lavoro possa essere ritenuto responsabile dell'evento, ove egli non dia prova di avere – secondo le previsioni dell'art. 7, d.lgs. n. 626 del 1994, ed anche indipendentemente dall'osservanza del dovere generale di protezione di cui all'art. 2087, c.c. – adeguatamente verificato l'idoneità tecnico – professionale del soggetto cui l'opera è affidata e di avere concorso alla prevenzione del rischio specifico implicato nella realizzazione della medesima, anche mediante un'idonea opera di informazione dei lavoratori addetti.

Va evidenziato che gli stessi obblighi sopra indicati discendenti dall'art. 2087, c.c. e dall'art. 7 d.lgs. n. 626/1994 siano posti parimenti a carico dell'appaltatore sub-committente in quanto anch'egli responsabile di una scelta di per sé rischiosa secondo la legge (quella dell'ulteriore segmentazione dell'attività produttiva) che incide, elevandoli, sui rischi relativi al processo produttivo; tanto più quando mantenga sotto il proprio controllo un'area aziendale e metta a disposizione dei subappaltatori proprie macchine pericolose.

Il caso

La società Alfa aveva appaltato alla società Beta la posa in opera di arredi a bordo di una imbarcazione. Beta aveva quindi subappaltato parte dei lavori alla società Gamma. A sua volta, anche Gamma aveva proceduto a subappaltare delle opere all'azienda Delta.

Nel corso dei lavori, un dipendente di Delta subiva un infortunio sul lavoro. Il fatto accadeva all'interno del cantiere, mentre il lavoratore stava utilizzando un macchinario di proprietà della Beta, custodito in un locale chiuso a chiave, contraddistinto da un cartello recante il logo di Beta e riservato a quest'ultima società ed ai subappaltatori della medesima.

Liquidato l'infortunio, l'Inail agiva in giudizio in rivalsa nei confronti delle società Delta e Beta.

La questione

La società Beta proponeva ricorso per Cassazione. Alla base dell'unico motivo dell'impugnazione vi era il rilievo per cui il Giudice di secondo grado avesse deciso la controversia sulla base di una prova presuntiva senza che la medesima fosse dotata di un ragionevole grado di probabilità.

Secondo la gravata sentenza, Beta non poteva ignorare il sub – subappalto tra Gamma e Delta in quanto il lavoratore infortunato, dipendente di Delta, aveva avuto accesso ai locali che, presso il cantiere di lavoro, erano stati riservati alla società Beta.

Per la ricorrente, la premessa assunta dai Giudici dell'appello non consentiva di inferire con sufficiente sicurezza la conclusione fatta propria dalla stessa Autorità Giudiziaria. A sostegno, Beta ricordava di avere personalmente subappaltato alcune delle lavorazioni appaltatele da Alfa alla società Gamma: in forza di ciò, i dipendenti di Gamma erano stati autorizzati ad accedere ai locali di cantiere di pertinenza della Beta ed a utilizzare le macchine ivi conservate. Dopo di ciò era stato stipulato il sub – subappalto tra Gamma e Delta, sì che probabilmente Gamma aveva permesso ai dipendenti di Delta di accedere ai locali della Beta. Con ciò, si spiegava come il lavoratore di Delta, poi infortunatosi, potesse avere avuto accesso all'area di cantiere riservata alla Beta; invece – sempre secondo il ricorso – lo stesso fatto non poteva legittimare alcuna presunzione sulla conoscenza, da parte di Beta, del citato sub – subappalto e della conseguente presenza di personale della sub – subappaltatrice nel locale di Beta.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ritiene infondato il ricorso.

L'ordinanza in commento puntualizza che la questione centrale della controversia risiede nella definizione delle responsabilità del sub-committente, questione che trova la sua regolazione nell'art. 7 del d.lgs. n. 626 del 1994, norma applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame. Ripercorrendo i contenuti della disposizione appena citata, la Suprema Corte ricorda gli obblighi gravanti sul soggetto che decida di procedere all'affidamento di lavori all'interno di un'azienda. Tali doveri ineriscono alla verifica dell'idoneità tecnico – professionale dell'appaltatore in relazione al contenuto dei lavori affidati; all'informazione sui rischi presenti nell'area ove l'appaltatore opererà e sulle misure di prevenzione e di emergenza adottate; alla cooperazione nell'attuazione delle misure di prevenzione e di protezione; nella coordinazione degli interventi in tale materia, anche al fine di eliminare possibili rischi derivanti dall'interferenza tra le azioni dei soggetti – appaltante ed appaltatore – coinvolti nel medesimo ambiente di lavoro. I principi espressi dalla norma del 1994 sono stati ulteriormente precisati nella loro portata dalla ricchissima giurisprudenza intervenuta in tema; significativamente, la Cassazione richiama recenti precedenti, pure di legittimità, ove si era rimarcato l'obbligo, gravante sulla committenza, di adottare tutte le misure necessarie alla tutela della salute e dell'integrità dei lavoratori, compresi quelli dipendenti dal soggetto appaltatore, insistendo sui punti della previa verifica dell'idoneità di quest'ultimo soggetto, della cooperazione tra datori di lavoro, della predisposizione di adeguate informazioni in merito alle situazioni di potenziale pericolo.

Ricostruito lo sfondo normativo, la Cassazione afferma nettamente che gli obblighi elencati gravano altresì sul committente subappaltatore. La circostanza per cui in quest'ipotesi venga affidata ad altro soggetto una parte soltanto dei lavori costituenti l'appalto principale non ha dunque alcuna rilevanza. Anche il subappalto, infatti, costituisce una scelta rischiosa, concretizzante una (ulteriore) parcellizzazione dell'attività produttiva e ciò è tanto più vero quando, come nel caso di specie, il subappaltatore mantiene sotto il proprio controllo una parte del cantiere ed affida al subappaltatore i propri macchinari, fonte di possibili situazioni pericolose.

Di qui se ne discende che la figura del subappaltatore è sovrapponibile a quella del committente. Il primo, come il secondo, deve dunque adoperarsi per garantire la sicurezza dei lavori adempiendo agli obblighi di cui all'art. 7, d.lgs. n. 626 del 1994; la stipula di un contratto di subappalto è infatti fonte di potenziali nuovi pericoli per la salubrità dell'attività lavorativa e tocca al subappaltante provvedere ad adeguare le tutele contro gli infortuni alla nuova situazione venutasi in tal modo a creare.

Con altrettanta limpidezza la Suprema Corte puntualizza che gli obblighi in parola operano oggettivamente, dunque a prescindere dalla prova che il committente (o sub-committente) sia o non al corrente dell'esistenza di ulteriori subappalti stipulati dalla parte subappaltatrice. Ciò evidenzia l'irrilevanza della circostanza su cui si era fondato il ricorso, che anzi finisce per fornire prova proprio della mancanza della ditta Beta ai propri doveri. È infatti evidente che l'ignoranza – protestata proprio dalla Beta – a proposito dell'intervenuto sub- subappalto costituisce prova del mancato rispetto del dovere del sub-committente di tenersi aggiornato sull'evoluzione dell'attività produttiva, un dovere che rappresenta l'essenziale precondizione per il corretto adempimento degli obblighi in materia di prevenzione degli infortuni. Dunque il mero fatto di non sapere del subappalto non può costituire una valida difesa per il committente (o sub-committente), il quale, per dimostrare di avere correttamente adempiuto alle prescrizioni di cui all'art. 7, d.lgs. n. 626 del 1994, deve invece provare “in positivo” le proprie azioni in conformità al dettato normativo.

Tanto posto, la decisione in commento allarga le proprie considerazioni ricomprendendo in maniera più generale il tema della responsabilità della committenza in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro, rammentando come siano ormai superate le concezioni più restrittive (e risalenti) che riconoscevano una responsabilità di tale figura solo in casi limitati ed eccezionali, come quella dell'ingerenza nell'esecuzione dell'appalto, o nella forma della culpa in eligendo. Va dunque preferita la più recente esegesi per cui il committente, chiamato alla puntuale attuazione dei doveri elencati dal d.lgs. n. 626 del 1994, è coinvolto direttamente, in prima persona, nell'esecuzione di un'attività produttiva realizzata attraverso uno o più contratti d'appalto. Ciò chiarisce come la committenza, nel caso in cui si verifichi un infortunio sul lavoro, potrà validamente difendersi solo a mezzo della dimostrazione di avere adempiuto agli obblighi in materia.

La pronunzia in esame si chiude con alcune considerazioni in merito all'azione esperita dall'Inail, la quale viene classificata quale azione di regresso e non già di surroga. In proposito vengono richiamati diversi precedenti, anche a Sezioni Unite (sentenza 16 aprile 1997, n°3288), secondo i quali l'azione di regresso prevista dal d.P.R. n. 1124 del 1965 risulta esperibile non solo nei confronti del datore di lavoro, bensì più correttamente verso tutti i soggetti sui quali gravano specifici obblighi di protezione a beneficio dei lavoratori, ciò che dunque ricomprende tra i potenziali convenuti anche appaltanti e subappaltanti.

Sul piano procedimentale la Suprema Corte ha anche modo di precisare che per l'azione di regresso in parola vale lo stesso regime di responsabilità contrattuale ex art. 1218, c.c., e art. 2087, c.c., proprio dell'azione di danno differenziale del lavoratore, pure regolata dal d.P.R. n. 1124 del 1965. Il paradigma contrattuale viene definito come coerente al sistema di tutela del danno subito dal lavoratore infortunato, così come interpretato dall'evoluzione della giurisprudenza in tema. Il fondamento solidaristico dell'azione dell'Inail, definita quale mezzo volto al reperimento di risorse in favore di tutti i lavoratori vittime di infortuni, motiva infatti il riconoscimento di strumenti di accertamento più agili ed ugualmente può dirsi per l'allargamento soggettivo dell'azione medesima, esperibile anche oltre l'ambito dei datori di lavoro assicurati.

Osservazioni

Con l'ordinanza in commento, la Corte di cassazione torna ad esprimersi sul tema della sicurezza sul lavoro in correlazione al contratto di appalto; risulta peculiare, ma a ben vedere non certo infrequente nella prassi, la fattispecie alla base del caso giudiziario, caratterizzato da una pluralità di appalti e subappalti stretti “a cascata” tra loro.

La norma che fondamentalmente regola la materia, come la Suprema Corte ha avuto cura di precisare, risulta essere l'art. 7, d.lgs. n. 626 del 1994, applicabile alla fattispecie oggetto di giudizio, promosso a seguito di un infortunio accaduto in data 1/4/2008: proprio pochi giorni prima dell'entrata in vigore del d.lgs. 9 aprile 2008, n. 81, che andò tra l'altro a sostituire la disposizione appena richiamata, peraltro recependone ed ampliandone i contenuti.

Secondo l'art. 7 appena citato (e, oggigiorno, secondo l'art. 26 del decreto legislativo del 2008), il datore di lavoro che provveda ad affidare in appalto lavori all'interno della propria azienda viene investito di ulteriori obblighi in materia di sicurezza del lavoro, che succintamente possono essere identificati: nella verifica dell'idoneità tecnico professionale del soggetto appaltatore, con riguardo al tipo di opere appaltate; nell'informazione del predetto soggetto in merito ai rischi presenti nell'ambiente di lavoro ed alle misure di prevenzione e di emergenza; nel coordinamento degli interventi di prevenzione e protezione cooperando alla loro applicazione, anche al fine di eliminare rischi dovuti alle interferenze tra i lavori delle diverse imprese.

Già dalla disposizione risalente al 1994 traspare l'intento del legislatore di rendere anche il committente una figura attiva nel contrasto agli infortuni sul lavoro, attraverso il conferimento a tale figura di compiti richiedenti un impegno di segno positivo, come lo sono, ad esempio, le azioni di coordinazione e di cooperazione negli interventi di protezione e prevenzione. L'ordinanza della Suprema Corte mostra di cogliere tale spirito nella parte della motivazione in cui si afferma il superamento di precedenti correnti interpretative che, al contrario, parevano individuare nell'appaltatore il soggetto di obblighi certamente importanti (quale, su tutti, la scelta di una controparte appaltatrice adeguata a garantire la sicurezza ai lavoratori) ma denotanti una netta separazione tra questi e la platea di lavoratori da proteggere.

In effetti, sino ad un recente passato (si veda per esempio la sentenza della Cass., sez. lav., 2 marzo 2005, n. 4361), in tema d'appalto la responsabilità per danni a terzi, tra cui i lavoratori coinvolti nelle lavorazioni, era ricondotta normalmente all'appaltatore. Quest'ultimo, secondo regolazione codicistica del contratto d'appalto, gode di autonomia nell'eseguire l'opera appaltata, avendo la possibilità di organizzare liberamente i propri mezzi al fine di fornire alla controparte la prestazione concordata: da tale libertà gestionale veniva derivato che dovesse appunto essere l'appaltatore a rispondere del danno da infortunio sul lavoro verificatosi nell'ambito dell'appalto medesimo. Quale ulteriore conseguenza, la responsabilità della committenza in casi siffatti era riscontrabile in ipotesi marginali. Oltre alla già accennata circostanza della culpa in eligendo dell'appaltante (che ricorre ove l'opera venga appaltata a soggetto privo di capacità, conoscenze o mezzi tali da consentire di rendere la prestazione senza provocare situazioni di pericolo), questi poteva essere chiamato a rispondere ove il fatto lesivo fosse dipeso da un preciso ordine del medesimo, sì da rendere l'appaltatore un mero esecutore materiale (o nudus minister) dell'appaltante.

Come detto, l'ordinanza in esame prende esplicitamente le distanze dall'orientamento appena rievocato per aderire alla più moderna e ormai consolidata posizione interpretativa che, maggiormente valorizzando il dettato dell'art. 7, d.lgs. n. 626/1994 (e ora dell'art. 26, d.lgs. n. 81 del 2008) e apprezzando il contenuto positivo degli obblighi ivi elencati, vede nella committenza una sorta di attore principale del processo di prevenzione e protezione dei lavoratori. Ed è eloquente come la Suprema Corte ora qualifichi come “normale” la responsabilità dell'appaltatore in relazione agli obblighi in parola.

In passato i Giudici di legittimità avevano già avuto modo di soffermarsi sulla ratio alla base dei compiti in materia di sicurezza affidati al committente dai testi legislativi del 1994 prima e del 2008 poi. Esemplare appare la chiarezza della sentenza della sezione lavoro 28 ottobre 2016, n. 21894. Ivi si afferma che l'obiettivo di queste prescrizioni è di evitare che la parcellizzazione del processo produttivo venutasi a creare con la stipula di un appalto rechi con sé anche una frammentazione della responsabilità per la sicurezza e l'igiene degli ambienti di lavoro: un rischio che è appunto scongiurabile attribuendo al committente il ruolo di corresponsabile della sicurezza, chiamato all'esecuzione di obblighi propri di tale ruolo.

L'ordinanza in esame mostra di condividere le argomentazioni appena richiamate ed è proprio su di esse che la Suprema Corte fonda l'applicabilità del complesso di norme ed obblighi sopra visti anche alla fattispecie dei subappalti “a cascata” ad origine del caso giudiziario. Infatti, anche l'appaltatore che, a sua volta, procede a subappaltare parte delle lavorazioni oggetto dell'appalto per così dire principale si rende committente ed autore di una scelta – quella della ulteriore frammentazione dell'attività produttiva – foriera di nuovi rischi per la salute e la sicurezza del lavoro. Sarebbe pertanto irragionevole che questa figura, pure a parità di creazione di potenziali pericoli di infortunio, fosse onerata di obblighi sul tema diversi o meno gravosi rispetto a quelli propri del committente principale.

Nel caso particolare, poi, tale conclusione era necessitata anche dalla circostanza per cui l'appaltatore – subappaltante aveva mantenuto nella propria disponibilità una parte dell'ambiente di lavoro ed aveva messo a disposizione dei subappaltatori propri macchinari: trattasi di evidenti ingerenze nell'esecuzione delle opere affidate che vieppiù giustificavano la permanenza in capo al (sub) committente di pervasivi obblighi di sicurezza. Ed è interessante notare come già in passato la giurisprudenza – vedasi ad esempio la sentenza di Cassazione n. 21694 del 2011 – avesse in casi siffatti elaborato un apposito titolo di responsabilità del committente, definito proprio come responsabilità da ingerenza indiretta, riscontrabile (oltre che nell'ipotesi appena vista) qualora l'appaltante si fosse riservato l'organizzazione del cantiere o l'esecuzione di opere di vigilanza.

Val la pena di osservare che la sopra vista riconduzione al committente (o sub-committente) di peculiari obblighi di natura normativa lascia sullo sfondo, si direbbe inoperoso, l'art. 2087, c.c. Ma è pur sempre da ribadire come la giurisprudenza, con tono concorde, afferma costantemente il valore di norma di chiusura della disposizione codicistica. L'articolo in parola, fonte di un dovere generale di protezione, ha la fisionomia di norma aperta, di valore sussidiario e tale perciò da consentire un'applicazione elastica, utile a garantire tutela anche in presenza di ipotesi o situazioni di rischio per i lavoratori non espressamente positivizzate dal lavoratore. Di qui l'affermazione (si veda ad esempio la sentenza di Cassazione 11 aprile 2007, n. 8710) per cui l'obbligo di prevenzione posto dall'art. 2087, c.c. pur non concretizzando un'ipotesi di responsabilità oggettiva, impone al datore di lavoro non solo di conformarsi alle prescrizioni protettive imposte dalla legge, ma anche a quelle in concreto necessarie per assicurare la tutela dei lavoratori, come suggerite dall'evoluzione della tecnica e dall'esperienza.

Ad ogni modo, deve ribadirsi come il committente, od il sub-committente, in quanto destinatario di precisi obblighi in materia, è classificabile quale attore a pieno titolo del sistema di tutele contro gli infortuni sul lavoro. Ed è proprio il ruolo attivo e propositivo che, come ormai comunemente affermato dagli interpreti, tale figura deve rivestire a mettere in luce la fragilità della difesa scelta dal ricorrente nell'ambito del caso alla base dell'ordinanza allo studio. Infatti, come osserva la Suprema Corte, tutti i doveri in parola – tanto quello attinente alla scelta dell'appaltatore quanto quelli informativi e quelli riguardanti il piano operativo, della cooperazione e coordinazione antinfortunistica – ne sottintendono un altro: quello cioè di costante aggiornamento sull'andamento dell'attività affidata, senza il quale, con tutta evidenza, ogni scelta sulla sicurezza del lavoro sarebbe inefficace perché assunta senza fondamento pratico. Ecco che dunque protestare di nulla sapere a proposito dell'intervento di ulteriori subappalti si rivela scelta difensiva poco proficua ed anzi controproducente, in quanto rivelatrice di una scarsa attenzione (se non di un'abdicazione tout court) verso i doveri posti dalle fonti normative più volte sopra richiamate.

Da ultimo, sembra interessante segnalare che l'ordinanza della Corte di Cassazione si pone in stretto rapporto con altro precedente della Suprema Corte, la sentenza della sezione IV penale 10 gennaio 2018, n. 7188. Anche in quella pronunzia, infatti, i Giudici di legittimità si esprimono a proposito di una fattispecie di subappalti multipli, a cascata, e sono chiamati ad esprimersi a proposito delle responsabilità di un soggetto collocato in una posizione mediana di tale catena: vale a dire un soggetto appaltatore che aveva a sua volta subappaltato alcune delle opere ad esso affidate. Anche nelle decisione del 2018 è netta l'assimilazione tra committente “principale” e appaltatore, quanto ai rapporti tra quest'ultimo ed i subappaltatori: in entrambi i casi, infatti, viene rivestito il ruolo di committenza e di datore di lavoro. La conseguenza è, come sopra visto, che anche i doveri in materia di sicurezza sul lavoro sono sovrapponibili e riconducibili al paradigma dell'art. 7, d.lgs. n. 626 del 1994 ed ora dell'art. 26, d.lgs. n. 81 del 2008. Così anche il (sub)committente si trova a rivestire una autonoma posizione di garanzia e potrà andare esente da responsabilità solo attraverso la positiva prova di avere correttamente adempiuto ai propri obblighi.

Guida all'approfondimento

In giurisprudenza:

- Corte di cassazione, Sez. III, 20 ottobre 2011, n. 21694;

- Corte di cassazione, sez. lav., 28 ottobre 2016, n. 21894;

- Corte di cassazione, sez. lav., 13 gennaio 2017, n. 798;

- Corte di cassazione, sez. IV pen., 10 gennaio 2018, n. 7188.

In dottrina:

- AMOROSO, DI CERBO, MARESCA, Diritto del lavoro. Lo statuto dei lavoratori e la disciplina dei licenziamenti, V edizione, Milano, 2017;

- DE MATTEIS, Responsabilità del committente per la sicurezza dei dipendenti dell'appaltatore, in ilgiuslavorista.it.

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.

Sommario