Configurabilità della discriminazione e consapevolezza datoriale rispetto al fattore svantaggiante

Sabrina Apa
09 Novembre 2020

Il presupposto fondamentale perché possa parlarsi di discriminazione è che il fattore discriminante di volta in volta ricorrente sia noto a colui che abbia posto in essere la condotta potenzialmente vietata. Tale profilo risulta insito nel rapporto eziologico - manifestato dal fatto che le norme in materia pongono tra l'atto censurato e il fattore discriminante una correlazione testuale rappresentata dalla locuzione “a causa” – che deve sussistere tra i due poli (fattore personale e atto) della fattispecie...

Il presupposto fondamentale perché possa parlarsi di discriminazione è che il fattore discriminante di volta in volta ricorrente sia noto a colui che abbia posto in essere la condotta potenzialmente vietata.

Tale profilo risulta insito nel rapporto eziologico - manifestato dal fatto che le norme in materia pongono tra l'atto censurato e il fattore discriminante una correlazione testuale rappresentata dalla locuzione “a causa” – che deve sussistere tra i due poli (fattore personale e atto) della fattispecie.

Ciò risulta di palmare evidenza allorché si sia in presenza di una discriminazione diretta, poiché in questo caso si assiste ad un trattamento differenziato (e meno favorevole) per quanti appartengano ad una data categoria di soggetti; invero, qualora fosse ignota quell'appartenenza, il trattamento sfavorevole non verrebbe senz'altro in considerazione, poiché al soggetto, considerato estraneo ad una certa categoria, verrebbe applicato il diverso trattamento ordinario.

Tuttavia, benché in termini apparentemente più sfumati, la necessaria notorietà del fattore discriminante s'impone anche nel caso delle discriminazioni indirette, le quali si verificano, all'opposto, quando la situazione di svantaggio è derivante dall'applicazione di un trattamento generalizzato – apparentemente neutro – a soggetti che, per l'appartenenza ad una data categoria, finiscono per esserne svantaggiati.

In sostanza, mentre nel primo caso ci si duole del trattamento differenziato, nel secondo ci si duole della mancanza di opportuni trattamenti differenziati, da garantirsi alla stregua di un necessario accorgimento. Ed anche in quest'ultimo caso, come detto, deve ritenersi che la notorietà del fattore discriminante sia un presupposto ontologico della fattispecie.

Nel caso di specie, il giudice rileva che in tanto ci si può dolere dell'applicazione della disciplina ordinaria sul comporto ad un portatore di handicap, in quanto il datore di lavoro sia reso edotto del fattore che contraddistingue il suo interlocutore.

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