Sentenza non definitiva e impugnazione incidentale tardiva

Francesco Bartolini
09 Novembre 2020

Le doglianze aventi interesse sul piano processuale riguardano la dichiarata inammissibilità dell'appello in quanto riferito alle statuizioni di cui alla sentenza non definitiva del tribunale; il rigetto della richiesta di considerare l'appello quale impugnazione incidentale tardiva; infine, l'istanza di ravvisare nel medesimo appello una domanda di revocazione straordinaria fondata sulla tardiva scoperta della falsità di prove rilevanti.
Massima

La legittimazione all'impugnazione incidentale tardiva ex art. 334 c.p.c. sussiste non solo relativamente ai capi, autonomi o non, rispetto a quelli oggetto dell'impugnazione principale della medesima sentenza da quest'ultima investita, ma anche relativamente alla sentenza non definitiva, alla duplice e congiunta condizione che il soccombente sia autore della riserva di gravame differito e che, essendo parzialmente vittorioso per effetto della sentenza definitiva, veda le statuizioni di questa, a lui favorevoli, impugnate in via principale dalla controparte.

L'impugnazione per revocazione straordinaria, ex art. 395, comma 1, n. 2, c.p.c. presuppone che la falsità delle prove sulle quali è fondata la pronuncia oggetto di gravame sia stata riconosciuta o comunque dichiarata con sentenza passata in giudicato anteriormente alla proposizione dell'impugnazione; né può costituire materia di accertamento nel giudizio di revocazione.

Il caso

Con sentenza non definitiva il giudice di primo grado, in una complessa causa per lesione della quota ereditaria di legittima, e conseguente riduzione delle disposizioni testamentarie e delle donazioni fatte in vita dal de cuius, accertava la qualità di legittimario dell'attore, per una quota dell'intero, e di erede legittimo per altra quota; e contestualmente lo condannava a rimborsare a una delle parti convenute (a loro volta proponenti domande) una cospicua somma a titolo di rimborso in percentuale dei debiti ereditari. La sentenza definitiva non mutava quella pronuncia e provvedeva alla divisione dei beni caduti in successione, con i necessari conguagli tra i diversi condividenti. Taluni di costoro impugnavano entrambe le decisioni. L'originario attore proponeva appello avverso la seconda sentenza per ottenere la riforma della pronuncia precedente nel capo sul quale era risultato soccombente, vale a dire, con riguardo alle disposizioni aventi a oggetto la condanna al rimborso di una porzione dei debiti della successione.

La Corte di merito rigettava l'appello osservando che con il gravame era stata impugnata la sentenza definitiva e che pertanto esso non poteva rimettere in discussione quanto deciso con la sentenza non definitiva. Dichiarava, inoltre, infondata la pretesa del predetto di poter considerare la sua impugnazione quale impugnazione incidentale tardiva, idonea a contestare le statuizioni della sentenza non definitiva, sul presupposto che altro coerede aveva impugnato la stessa pronuncia. In proposito il giudice di appello ha osservato che l'appellante non aveva proposto la riserva di gravame differito, come richiesto dall'art. 340 c.p.c. La mancata riserva aveva dunque determinato il passaggio in giudicato delle statuizioni non tempestivamente e ritualmente impugnate, con conseguente inammissibilità del gravame che, presentato in occasione della decisione definitiva, pretendeva di sindacare il contenuto della decisione precedente.

Avverso la sentenza l'appellante ha proposto ricorso per cassazione, sostenuto da plurimi motivi. Le doglianze aventi interesse sul piano processuale riguardano la dichiarata inammissibilità dell'appello in quanto riferito alle statuizioni di cui alla sentenza non definitiva del tribunale; il rigetto della richiesta di considerare l'appello quale impugnazione incidentale tardiva; infine, l'istanza di ravvisare nel medesimo appello una domanda di revocazione straordinaria fondata sulla tardiva scoperta della falsità di prove rilevanti.

La questione

Con il ricorso per cassazione il ricorrente assume che l'impugnazione avverso la sentenza definitiva avrebbe dovuto essere considerata quale appello incidentale tardivo, e non essere considerata inammissibile come invece era avvenuto. Inoltre, si sostiene, la stessa impugnazione era giustificata da una circostanza di fatto che avrebbe consentito di conservarla a titolo di impugnazione per revocazione. La falsità delle scritture private su cui si fondava la prima decisione del tribunale era stata da lui conosciuta soltanto dopo l'udienza entro la quale avrebbe dovuto, a pena di decadenza, proporre la riserva d'appello differito. In questa situazione di oggettiva impossibilità, ragioni di economia processuale imponevano pertanto di ritenere ammissibile il proposto gravame sotto il profilo, quanto meno, di una revocazione straordinaria motivata dalla scoperta della falsità di prove decisive. Si è denunciata, pertanto, la violazione dell'art. 395, n. 2, c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4.

Le soluzioni giuridiche

La Corte di cassazione ha dichiarato infondato il ricorso. Doveva ritenersi corretta la decisione del giudice di merito di inammissibilità di un appello proposto avverso la sentenza definitiva allo scopo di discutere le statuizioni di quella non definitiva. Ugualmente non meritava riforma la pronuncia avversata nel capo che aveva disatteso la pretesa di far ravvisare nell'appello una impugnazione incidentale tardiva avverso la pronuncia non definitiva per effetto dell'appello principale contro la stessa proposto da una delle convenute litisconsorti necessarie. Infatti, ha osservato la Corte, l'assunto non teneva conto del disposto dell'art. 340 c.p.c., in forza del quale la legittimazione a proporre l'impugnazione incidentale tardiva avverso una sentenza non definitiva sussiste alla duplice e congiunta condizione per cui: l'appellante sia risultato parzialmente vittorioso e le statuizioni a lui favorevoli siano state impugnate in via principale da altre parti; e sia stata fatta per tempo e ritualmente la riserva di gravame. A fronte della pronuncia non definitiva, era necessario proporre la riserva di appello onde evitare il giudicato interno sui capi della parziale soccombenza.

Non fondata risultava inoltre la asserita violazione o falsa applicazione di legge in relazione alla pretesa di valutare il proposto appello alla stregua di una domanda di revocazione per falsità di prove. In seguito alla posteriore scoperta della dedotta falsità dei documenti valutati dal tribunale, il ricorrente avrebbe potuto, in effetti, porre la questione di una possibile impugnazione per revocazione straordinaria, ove ne avesse ritenuto sussistenti tutti i requisiti. Tuttavia, la revocazione straordinaria cui si riferiva il ricorrente presuppone che la falsità delle prove lamentata con il gravame sia stata riconosciuta o dichiarata anteriormente alla proposizione dell'impugnazione: e, per di più, che il relativo accertamento sia divenuto irretrattabile. Nella fattispecie la falsità era stata soltanto asserita in base ad un rilievo del consulente di parte ed avrebbe dovuto essere accertata nello stesso giudizio di revocazione: situazione non compatibile con la detta impugnazione, per definizione rivolta a contrastare il giudicato.

Osservazioni

La pronuncia ha affrontato questioni molto diverse tra loro che il ricorrente aveva inteso collegare nel tentativo di rimediare ad una iniziale omissione risultata gravida di effetti.

Come è noto, l'impugnazione incidentale tardiva trova giustificazione nell'esigenza di consentire alla parte che avrebbe di per sé accettato la decisione, di contrastare l'iniziativa della controparte che invece rimette in discussione l'assetto degli interessi derivante dalla pronuncia impugnata. Il gravame tardivo fornisce tutela all'interesse ad opporsi tutte le volte in cui l'eventuale accoglimento dell'impugnazione principale possa dar luogo ad una soccombenza totale o più grave (Cass. civ., sez. I, n. 15770/2018; Cass. civ., sez. V, n. 13651/2018; Cass. civ., sez. I, n. 5086/2012; Cass. civ., Sez. Un., n. 24627/2007). Se questa è la ratio a presidio dell'istituto, le conseguenze che derivano da un gravame che ad essa non risponda sono evidenti: non sussiste l'interesse a proporre appello incidentale tardivo ove quest'ultimo investa la sentenza del tribunale su un capo estraneo all'appello principale e per una ragione diversa da quest'ultimo (Cass. civ., sez. III, n. 17017/2015); e l'impugnazione va dichiarata inammissibile laddove l'interesse alla sua proposizione non possa ritenersi insorto per effetto dell'impugnazione principale (Cass. civ., sez. III, n. 12387/2016). Il presupposto di ogni impugnazione è la soccombenza, in relazione alla quale si chiede una riforma della pronuncia in senso favorevole. L'impugnazione incidentale tardiva implica una soccombenza parziale, che la parte è disposta ad accettare purché non vengano impugnate le statuizioni a lei favorevoli. Il gravame della controparte modifica l'equilibrio raggiunto, rende pregiudizievole la disponibilità a fare acquiescenza e motiva l'opportunità di contrastare le pretese avversarie con un gravame difensivo. In proposito nel codice di procedura civile la normativa predispone uno strumento che salva la possibilità della parte di tutelarsi, ove ne sorga l'occasione, senza necessità di proporre da subito un'impugnazione cautelativa. A questo scopo l'art. 334 c.p.c. consente alle parti contro le quali è stata proposta impugnazione di proporre a loro volta impugnazione, quella incidentale, anche quando per esse è decorso il termine o se hanno fatto acquiescenza alla sentenza.

L'art. 340 c.p.c. aggiunge poi a questa disciplina la specifica ipotesi dell'impugnazione con appello della sentenza di primo grado non definitiva. La fattispecie regolata non si sovrappone in toto a quella di cui all'art. 334 c.p.c.: essa concerne l'attribuzione alla parte che avrebbe accettato la situazione conseguita alla pronuncia non definitiva della facoltà di riservarsi la decisione di proporre impugnazione all'eventualità della proposizione del gravame pregiudizievole ad opera di un'altra parte. L'interesse concreto a sciogliere la riserva deve sorgere a seguito del comportamento delle altre parti suscettibile di pregiudicare l'equilibrio di rapporti che si era disposti ad accettare. Da qui la duplice e congiunta condizione cui ha accennato la sentenza della Corte di cassazione: l'impugnazione incidentale tardiva avverso la sentenza definitiva può riguardare anche la sentenza non definitiva quando il soccombente, risultato parzialmente vittorioso per effetto della sentenza definitiva, veda le statuizioni di questa, a lui favorevoli, impugnate in via principale dalla controparte; ed abbia effettuato la dovuta riserva di gravame differito (Cass. civ., sez. II, n. 15784/2013).

La riserva, però, è soggetta ad un termine di decadenza (per l'appello: art. 340 c.p.c.). Il decorso del termine, come l'irritualità della dichiarazione, determina la preclusione dell'impugnazione differita; la scadenza dei termini per l'impugnazione immediata cagiona, poi, il passaggio in giudicato delle statuizioni sfavorevoli (Cass. civ., sez. III, n. 212/2007; Cass. civ., sez. lav., n. 12753/1992). In sostanza, la riserva consente di attendere il risultato della sentenza definitiva: e di rimandare al momento della sua pronuncia la proposizione dell'appello riferito alla sentenza che l'ha preceduta.

In modo indubbiamente obbligato la Corte ha risolto la questione concernente il salvataggio dell'appello non prenotato con la riserva sotto il profilo di una sua valutazione quale gravame straordinario per revocazione della sentenza non definitiva fondata su prove da considerare false. In effetti, l'art. 395, n. 2, c.p.c. consente la revocazione del giudicato quando le prove ritenute decisive vengono riconosciute o dichiarate false: ma richiede che il riconoscimento e la dichiarazione siano avvenuti dopo la sentenza da impugnare e configurino una circostanza, ormai assodata e inconfutabile, in irreparabile contrasto con il contenuto della pronuncia. La situazione nella vicenda di specie era diversa: nessun accertamento aveva preceduto l'ipotizzata richiesta di revocazione. Invero, come chiarito in sede di legittimità l'art. 395 c.p.c., indicando quale presupposto dell'istanza di revocazione che si sia giudicato su prove dichiarate false, postula che tale dichiarazione sia avvenuta con sentenza passata in giudicato (in sede civile o penale) anteriormente alla proposizione dell'istanza di revocazione, con la conseguenza che è inammissibile l'istanza di revocazione basata sulla falsità di prove da accertare nello stesso giudizio di revocazione (Cass. civ., sez. III, n. 3947/2006).