Mutamento della maggioranza politica e spoil system: senza giusta causa la revoca degli amministratori di società partecipate

Alessandro Paccoi
09 Novembre 2020

Le ragioni che integrano la giusta causa di revoca dell'amministratore di società di capitali, ai sensi dell'art. 2383, comma 3, c.c., devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare ...
Massima

Le ragioni che integrano la giusta causa di revoca dell'amministratore di società di capitali, ai sensi dell'art. 2383, comma 3, c.c., devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori (Cass. 23557/2008; Cass. 2037/2018).

Il caso

RC, all'epoca dei fatti Presidente del Consiglio di Sorveglianza di A2A S.p.A., citava quest'ultima in giudizio per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati al primo con la revoca dalla suddetta carica, ritenuta senza giusta causa, adottata con delibera assembleare del giugno 2009. Il giudice di prime cure, con ordinanza ex art. 702-bis c.p.c., accoglieva la domanda attorea, ritenendo la revoca priva di giusta causa (in difetto di enunciazione – nell'ordine del giorno dell'adunanza – delle ragioni della revoca, non rilevando altresì i motivi enunciati nel comunicato stampa emanato dalla società convenuta nell'aprile 2009, non essendo ammissibile la revoca degli amministratori di quotate per motivi politici) e condannava pertanto la società al pagamento all'attore di Euro 1.000.000,00, a titolo di risarcimento danni. La Corte d'appello di Brescia, con sentenza n. 434/2016, depositata in data 11 maggio 2016, confermava la decisione di primo grado, sostenendo che i “gravi fatti” verificatisi nel corso dell'assemblea dei soci (ossia la decisione del Presidente RC di escludere dal voto i Comuni di Brescia e di Milano, soci di maggioranza di A2A, poi riammessi con un provvedimento cautelare d'urgenza) non erano stati adeguatamente descritti nel corso della discussione sulla revoca (tanto che altri membri del Consiglio di Sorveglianza avevano chiesto nel corso dell'assemblea spiegazioni ed integrazioni), cosicché, sebbene astrattamente indicativi della rottura del rapporto fiduciario tra il Presidente ed i due Comuni, soci di maggioranza della Società, non potevano essere esaminati dalla Corte di merito per mancanza di chiarezza sulle ragioni poste a base della revoca del Sig. RC. Inoltre, non era stata efficacemente censurata dall'appellante la statuizione del Tribunale in ordine all'illegittimità di una revoca degli amministratori di società quotate in borsa per motivi latamente politici (il cambio di maggioranza politica nel governo dell'ente pubblico socio), in difetto di circostanza oggettive che comprovassero la paralisi organizzativa della società. Avverso suddetta pronuncia, la A2A proponeva ricorso per Cassazione, affidato a due motivi.

Le questioni e le soluzioni

Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente principale lamentava la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per motivazione contraddittoria in violazione dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 111 Cost., comma 6, per avere la Corte di merito, da un lato, ritenuto che i fatti gravi verificatisi nel corso dell'assemblea dei soci, oggetto di una delibazione sommaria da parte del Tribunale in sede di ricorso d'urgenza ex art. 700 c.p.c., potevano essere indicativi della rottura del pactum fiduciae tra il Presidente ed i soci di maggioranza e, dall'altro lato, affermato che tali fatti non erano stati “esplicitati ed affrontati” nel corso della discussione in assemblea. Con il secondo motivo, si denunciava la nullità della sentenza, ex art. 360 c.p.c., n. 4, per violazione dell'art. 2909 c.c. e art. 324 c.p.c., sul giudicato interno, avendo la Corte d'appello confutato quanto accertato dal Tribunale in ordine all'effettiva compiuta deduzione e trattazione, nel corso dell'assemblea, dei fatti accaduti e fondanti la revoca, basando invece la decisione sul presupposto dell'inesistenza dell'indicazione di qualsivoglia causa di revoca in sede assembleare. RC, ricorrente incidentale, lamentava invece dal canto suo la violazione dell'art. 360 c.p.c., n. 5 in relazione agli artt. 2383,2389 e 1226 c.c., nella parte in cui la Corte di merito avrebbe escluso il suo diritto al pieno risarcimento del danno (chiesto nella misura di ulteriori Euro 333.876,72, rispetto a quanto già liquidato in primo grado), in quanto egli avrebbe beneficiato della possibilità di trovare altri incarichi sostitutivi.

Quanto al primo motivo di ricorso, la Corte ha ritenuto la censura infondata osservando che, in base ad un recente orientamento di legittimità (Cass. n. 22232/2016), è stato precisato come “la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da “error in procedendo”, quando [essa, ndr], benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture”.

I giudici di legittimità hanno pertanto sostenuto che la sentenza impugnata non fosse del tutto illogica, incoerente e quindi apparente, avendo la Corte di merito argomentatamente rilevato che le ragioni alla base della revoca – sebbene in potenza adeguate a indicare una possibile rottura del pactum fiduciae – non fossero state adeguatamente e sufficientemente descritte nel contesto assembleare, così da costituire “mere affermazioni di principio”.

Come per la prima, anche la seconda censura è stata ritenuta infondata, non risultando violato il giudicato interno in quanto “tanto il Tribunale, quanto la Corte d'appello hanno ritenuto, accogliendo la domanda di RC fondata sull'inesistenza di una giusta causa di revoca, mancante una giusta causa di revoca del Presidente RC”. Più specificamente, la Corte d'appello ha rilevato che “non era stata efficacemente censurata dall'appellante la statuizione del Tribunale in ordine all'illegittimità di una revoca di amministratori di società quotate in borsa per motivi latamente politici (il cambio di maggioranza politica nel governo dell'ente pubblico socio), in difetto di circostanze oggettive che comprovassero la paralisi organizzativa della società”. Richiamando una pronuncia di legittimità (Cass. 4732/2012) gli ermellini hanno ribadito come “costituisce capo autonomo della sentenza, come tale suscettibile di formare oggetto di giudicato anche interno, quello che risolve una questione controversa, avente una propria individualità ed autonomia, sì da integrare astrattamente una decisione del tutto indipendente; la suddetta autonomia manca non solo nelle mere argomentazioni, ma anche quando si verta in tema di valutazione di un presupposto necessario di fatto che, unitamente ad altri, concorre a formare un capo unico della decisione (conf. Cass. 21566/2017), all'esito della quale il giudice di primo grado aveva comunque ritenuto che le ragioni di opportunità, correlate al mutamento del quadro politico dei soci di maggioranza, non integrassero una giusta causa di revoca, non essendo sfociate in una paralisi organizzativa e gestionale della società”. La Corte di merito, pur espressamente condividendo il ragionamento del primo giudice, ha aggiunto un'ulteriore ratio decidendi, incentrata sulla mancanza di una chiara esposizione e discussione in assemblea delle ragioni della revoca.

L'unico motivo del ricorso incidentale è inoltre inammissibile per difetto di autosufficienza.

La Cassazione, in conclusione, respinge il ricorso della società e quello incidentale e conferma la decisione della Corte di appello di condanna al risarcimento dei danni nei confronti dell'ex amministratore.

Osservazioni

La soluzione fornita dalla Suprema Corte con il provvedimento in commento risulta del tutto convincente. Giova preliminarmente rammentare che, in materia di revoca degli amministratori, la norma di riferimento per le società azionarie – art. 2383 c.c. – prevede che una revoca anticipata dalla carica di amministrazione priva di giusta causa sia sì possibile, ma faccia insorgere il diritto dell'amministratore alla richiesta di un debito risarcimento del danno e che, ai sensi del comma 3 del richiamato articolo, le ragioni che integrano la giusta causa di revoca dell'amministratore debbano essere specificamente enunciate nella delibera assembleare, senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori; ai sensi dell'art. 2697 c.c.. Grava pertanto sulla società l'onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca, quale fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037). Al riguardo, i giudici di legittimità hanno già in passato chiarito (Cass. 26 gennaio 2018, n. 2037; 23 marzo 2017, n. 7475;15 ottobre 2013, n. 23381; 14 maggio 2012, n. 7425; 5 agosto 2005, n. 16526; 7 agosto 2004, n. 15322; 21 novembre 1998, n. 11801; 22 giugno 1985, n. 3768) che la giusta causa di revoca consista “nell'esistenza di circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o no provocate dall'amministratore, le quali pregiudicano l'affidamento nel medesimo ai fini del migliore espletamento dei compiti della carica, e dunque nella compromissione del rapporto fiduciario”. Non sono invece sufficienti “mere divergenze o attriti con gli altri amministratori, ove si tratti di contrasti rientranti nella normale dialettica del consiglio di amministrazione, da risolversi all'interno di tale organo collegiale, essendo dunque necessario che sia compromesso il rapporto di fiducia, in ragione di fatti contestati integranti un grave inadempimento o una condotta contraria a correttezza, tali da pregiudicare il pactum fiduciae”. Relativamente poi alle società per azioni partecipate da un ente locale, le Sezioni Unite (Cass. n. 1237/2015) hanno altresì precisato che “la revoca dell'amministratore di nomina pubblica, ai sensi dell'art. 2449 c.c., può essere da lui impugnata presso il giudice ordinario, non presso il giudice amministrativo, trattandosi di atto “uti socius”, non jure impedi, compiuto dall'ente pubblico “a valle” della scelta di fondo per l'impiego del modello societario, ogni dubbio essendo risolto a favore della giurisdizione ordinaria dalla clausola ermeneutica generale in senso privatistico di cui al D.L. 6 luglio 2012, n. 95, art. 4, comma 13, conv. In L. 7 agosto 2012, n. 135. L'amministratore revocato dall'ente pubblico, come l'amministratore revocato dall'assemblea dei soci, può chiedere al giudice ordinario solo la tutela risarcitoria per difetto di giusta causa, a norma dell'art. 2383 c.c., non anche la tutela “reale” per reintegrazione nella carica, in quanto l'art. 2449 c.c. assicura parità di “status” tra amministratori di nomina assembleare e amministratori di nomina pubblica (cfr. Cass. SSUU. n. 29078/2019)”. La decisione di legittimità risulta pertanto conforme ai precedenti menzionati, del tutto logica e condivisibile.

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