Quid juris se il collegio sindacale, nella relazione ex art. 2429 c.c., non si pronuncia sull’approvazione del bilancio?

10 Novembre 2020

La messa in consultazione delle nuove Norme di comportamento del collegio sindacale delle società non quotate offre l'occasione per proporre qualche sintetica riflessione sul combinato disposto della nuova versione dell'art. 7 con l'art. 38 quater del d.l. n. 34/2020.
Le nuove Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate

Il 20 ottobre 2020 il Consiglio nazionale dei Dottori Commercialisti ed Esperti contabili ha pubblicato sul proprio sito le "Norme di comportamento del collegio sindacale di società non quotate", ponendole in consultazione fino al 10 novembre.

La nuova versione, che si sostituisce a quella pubblicata nel 2015, sarà applicabile dal 1° gennaio 2021 e, fatte salve le disposizioni di legge o regolamentari che disciplinano specifici settori di attività o mercati regolamentati, troverà applicazione nei confronti dei componenti del Collegio sindacale di tutte le società e del sindaco unico di s.r.l. che non siano stati incaricati di effettuare anche la revisione legale (per l'ipotesi di internalizzazione del controllo contabile v. invece CNDCEC, La relazione unitaria di controllo societario del collegio sindacale incaricato della revisione legale dei conti, giugno 2020, che, rispetto alle passate edizioni, si sofferma anche sulle implicazioni derivanti dalla normativa emergenziale per contrastare gli effetti della pandemia. V. inoltre Le procedure di revisione ai tempi del COVID-19: la resilienza del sindaco-revisore, a cura del Consiglio e della Fondazione Nazionale dei Commercialisti).

Sotto il profilo strutturale, nulla è cambiato giacché le norme continuano ad essere articolate in “principi”, “riferimenti normativi”, “criteri applicativi” e “commento”, secondo il modello del codice di autodisciplina delle società quotate.

La possibilità di non esprimersi sul bilancio

Sul piano contenutistico, fra le tante novità (dieci norme di nuovo conio e modifiche importanti ad una ventina di altri articoli), spicca l'art. 7, concernente la relazione dei sindaci all'assemblea dei soci ove, per la prima volta, si concede all'organo di controllo, in caso di no opinion dei revisori, di non esprimersi in merito all'approvazione del bilancio.

Si tratta di una modifica che, a mio modesto avviso, merita di essere condivisa e che dovrebbe condurre, quantomeno in via interpretativa, ad una rimodulazione della formulazione letterale dell'art. 2429 c.c.

In un lavoro monografico (sia consentito rinviare a M. Spiotta, Continuità aziendale e doveri degli organi sociali, Milano, Giuffrè, 2017, 147 ss.), mi ero permessa di suggerire una revisione del rigido contenuto di tale norma deontologica e dell'art. 2429 c.c., non comprendendo la ragione per la quale il collegio sindacale dovrebbe essere costretto ad esprimere una secca proposta sull'approvazione o non approvazione del (progetto di) bilancio da parte dell'assemblea, senza poter fruire del più ampio e articolato ventaglio di possibilità consentite al revisore legale, che, come noto, può modulare la propria opinion attraverso quattro giudizi (positivo con o senza rilievi, negativo e d'impossibilità di esprimerlo).

Nella pratica professionale ciò sarebbe utile soprattutto qualora ricorrano incertezze significative sulla sussistenza del presupposto del going concern che potrebbero richiedere l'elaborazione da parte degli amministratori di piani di risanamento o di accordi di ristrutturazione dei debiti.

Su piano sistematico, la maggiore flessibilità introdotta dal CNDCEC consentirebbe di ridimensionare l'aporia tra l'art. 2429 c.c. e l'art. 153 t.u.f., ai sensi del quale il collegio sindacale «può» e non «deve» esprimere un parere sull'approvazione del bilancio (v. P. Locatelli, La relazione del collegio sindacale al bilancio di esercizio nelle società quotate, in Società, 1999, 803, il quale sottolinea che si tratta di una facoltà, non di un obbligo). Da un confronto sinottico tra le anzidette norme, sembra lecito desumere che il perdurante utilizzo del verbo "dovere" nell'art. 2429 c.c. è il frutto di un refuso e non tiene conto della separazione - per quanto «problematica» e probabilmente «illusoria» del controllo sulla legalità/gestione dal controllo contabile (così G. Cavalli, Osservazioni sui doveri del collegio sindacale di società per azioni non quotate, in Il nuovo diritto delle società. Liber amicorum G.F. Campobasso, diretto da P. Abbadessa e G.B. Portale, III, Torino, 2007, 64).

Sul piano teleologico, la circostanza che al collegio sindacale il nuovo Codice di comportamento tertium datur, non vanifica, ma semmai rafforza la finalità informativa della predetta relazione. Come si è giustamente osservato, «poco conta che il collegio sindacale dia un rigoroso giudizio negativo se poi non si attiva per vigilare sugli adempimenti conseguenti; viceversa, non può essere fonte di responsabilità un giudizio positivo accompagnato da una puntuale e chiara disamina delle circostanze future ed aleatorie attentamente considerate» (così M. Bianca e A. Pascolin, La funzione informativa del bilancio e le osservazioni e proposte del collegio sindacale in ordine al suo contenuto ed alla sua approvazione: verso una rimodulazione dell'art. 2429 c.c.?, in RDS, 2015, fasc. 4, 964).

È vero che parte della dottrina (v. in particolare F. Mancinelli, I risultati dei controlli sull'amministrazione ed il parere condizionato: aspetti della relazione dei sindaci al bilancio, in Società, 2000, 1071 ss.) era già arrivata, in via interpretativa, ad ammettere l'ammissibilità di un parere condizionato valorizzando la possibilità, riconosciuta al collegio sindacale dal capoverso dell'art. 2429 c.c., di formulare «osservazioni e proposte» sul bilancio (norma che dovrà essere raccordata con l'art. 13, comma 3, c.c.i., giacché la positiva attestazione degli indici della crisi fabbricati in house non esimerà il collegio sindacale dal manifestare eventuali considerazioni critiche sulla loro adeguatezza a cogliere prontamente gli indizi di crisi). Tuttavia, in base alla nuova norma deontologica, il collegio sindacale delle società non quotate (al pari di quello delle società quotate: cfr. la Norma Q.7.) potrà anche non (rectius, formulare un giudizio d'impossibilità di) esprimersi.

La differenza non è trascurabile e le implicazioni non possono essere sottaciute.

Implicazioni in tempo di emergenza

A prescindere dai riflessi sull'inquadramento dogmatico della relazione del collegio sindacale che, come si è autorevolmente osservato, non può risolversi in una «mera relazione sulla revisione» (così G. Cavalli, op. cit., 66) e dall'ampliamento della nozione di «scetticismo professionale» (offerta dall'art. 9 del d.lgs. n. 39/2010), in questo particolare momento credo non ci possa esimere dall'interrogarsi sugli effetti discendenti dal combinato disposto della norma di comportamento n. 7 (alla quale l'organo di controllo potrà già attenersi per la redazione della relazione sul bilancio dell'esercizio 2020) con l'art. 38 quater, comma 2, del d.l. n. 34/2020 (c.d. decreto Rilancio), che consente agli amministratori, nella predisposizione del bilancio di esercizio in corso al 31 dicembre 2020, di presumere la sussistenza della continuità aziendale sulla base delle risultanze dell'ultimo bilancio di esercizio chiuso entro il 23 febbraio 2020, precisando che questa facoltà dev'essere motivata nelle politiche contabili di cui all'art. 2427, comma 1, n. 1, c.c. e che «restano ferme tutte le altre disposizioni relative alle informazioni da fornire nella nota integrativa e alla relazione sulla gestione, comprese quelle relative ai rischi e alle incertezze derivanti dagli eventi successivi, nonché alla capacità dell'azienda di continuare a costituire un complesso economico funzionante destinato alla produzione di reddito» (si segnala, in proposito, che il 5 novembre l'OIC ha pubblicato in consultazione, fino al prossimo 30 novembre, il documento interpretativo n. 8 in cui si conferma l'applicabilità della deroga anche ai bilanci 2020: cfr. S. De Rosa, Deroga alla continuità applicabile, con i presupposti, anche ai bilanci 2020, in Eutekne.Info, 6 novembre 2020).

Ipotizziamo questa situazione, oggi verosimilmente tutt'altro che «estremamente rar(a)», come invece la definisce il documento elaborato dal CNDCEC.

Al cospetto di una motivazione ritenuta inadeguata circa la decisione di continuare a redigere il bilancio nella prospettiva della continuazione dell'attività, il soggetto incaricato della revisione legale dichiara l'impossibilità di esprimere un giudizio.

Di fronte a tale condotta - per alcuni doverosa, in quanto allineata con i principi di revisione e con le indicazioni fornite dalla Autorità di settore (v. G. Strampelli, La preservazione (?) della continuità aziendale nella crisi da Covid-19: capitale sociale e bilanci nei decreti “Liquidità” e “Rilancio”, in Riv. soc., 2020, 398); per altri “pilatesca” (così N. Abriani, Il diritto delle imprese nell'emergenza, in www.osservatorio-oci.org, 22) - il collegio sindacale, a sua volta, dice “passo” (l'espressione è mutuata dall'articolo a firma di E. Bozza e L. De Angelis, Bilanci, sì può dire «Passo», in Italia Oggi 7 del 26 ottobre 2020, 15. V. anche L. De Angelis, Sul bilancio i sindaci possono non esprimersi, in Italiaoggi.it).

Benché il giudizio del revisore e la proposta del collegio sindacale non siano vincolanti per l'assemblea (l'unico effetto del rilascio di un giudizio positivo senza rilievi è l'innalzamento del quorum previsto dall'art. 2434 bis, comma 2, c.c.), il “cerino acceso” passerebbe in capo a quest'ultima e se i soci decidessero di non approvare il bilancio potrebbe profilarsi la causa di scioglimento di cui all'art. 2484, comma 1, n. 3 c.c., ossia per continuata inattività dell'assemblea (cfr. Trib. Roma, Sez. spec. Impresa, 1° febbraio 2017, in questo portale).

Il risultato finale rappresenterebbe un classico caso di eterogenesi dei fini giacché si tradirebbe la spiegazione ufficiale della deroga alla disciplina ordinaria fornita dalla Relazione di accompagnamento (all'art. 7 del decreto liquidità (d.l. n. 23/2020) poi implicitamente abrogato dal citato art. 38 quater del decreto Rilancio), ove si legge che la norma emergenziale è tesa a salvaguardare la funzione informativa dei bilanci, agevolandone la tempestiva approvazione.

Ma anche la spiegazione ufficiosa adombrata da alcuni Autori (tra cui la scrivente: cfr. M. Spiotta, La (presunzione di) continuità aziendale al tempo del Covid-19, in Ilcaso.it, 11 aprile 2020 e in AA.VV., Il diritto dell'emergenza: profili societari, concorsuali, bancari e contrattuali, a cura di M. Irrera, Torino, 2020, 37 ss.) potrebbe essere vanificata perché all'asserita causa di scioglimento per perdita della continuità aziendale ex art. 2484, comma 1, n. 2, c.c., disattivata dal citato art. 38 quater (esattamente come ha fatto l'art. 6 del decreto Liquidità rispetto alla causa dissolutiva prevista dal n. 4 dell'art. 2484 c.c.), se ne sostituirebbe un'altra (quella di cui al n. 3 del citato art. 2484 c.c.).

Una modesta proposta interpretativa

Come uscire da quello che potrebbe diventare un “circolo vizioso” e scongiurare comportamenti autoprotettivi?

Credo che la risposta debba essere ricercata appellandosi alla professionalità e al senso di auto-responsabilità che dovrebbe indurre:

- gli amministratori ad avvalersi della possibilità di derogare all'art. 2423 bis, comma 1, n. 1, c.c. solo qualora abbiano ragionevoli probabilità di riuscire a controbilanciare la ricorrenza degli indicatori finanziari o gestionali elencati dal principio di revisione n. 570 e a richiedere i c.d. “finanziamenti Covid” solo previo calcolo del Debt Service Coverage Ratio (DSCR) che consente di stimare i flussi di cassa prospettici e quindi la capacità di restituire i capitali ottenuti a prestito (cfr. F. Bava e A. Devalle, Incremento dell'indebitamento causa COVID-19 con benefici e rischi, in Eutekne.Info, 9 novembre 2020);

- i revisori a verificare il legittimo esercizio della facoltà di presumere la continuità aziendale;

- i sindaci a formulare le proprie osservazioni e proposte in ordine al bilancio, con particolare riferimento «all'esercizio della deroga di cui all'art. 2423, 4° comma, c.c.» e all'art. 38 quater della l. 77/2020. Del resto, quest'ultima norma, se davvero fosse volta ad impedire un'informazione (come si esprime la Relazione illustrativa al decreto Liquidità, sub artt. 6 e 7) «deformata» (cosa della quale pare lecito dubitare: v. L. Tola, Le società di capitali nell'emergenza, in Banca, borsa, 2020, 538), potrebbe considerarsi una specifica applicazione del citato 4° comma dell'art. 2423 c.c. laddove già consente, eccezionalmente, di disapplicare le disposizioni sul bilancio incompatibili con la rappresentazione veritiera e corretta;

- i giudici investiti di azioni di responsabilità contro gli organi sociali - a prescindere dal significato che verrà attribuito al 3° comma dell'art. 38 quater laddove riconosce alla norma rilevanza esclusivamente civilistica - a non ragionare con il senno di poi e a tener conto, nella valutazione di ragionevolezza ex ante delle decisioni assunte dagli amministratori (e, mutatis mutandis, dai revisori e sindaci) nella gestione dell'emergenza, anche della «legittima aspettativa di interventi pubblici di sostegno preannunciati o comunque ipotizzati in questa fase emergenziale» (così G. D'Attorre, Disposizioni temporanee in materia di riduzione del capitale ed obblighi degli amministratori di società in crisi, in Fallimento, 2020, 602).

Se poi l'aspettativa andrà delusa, perché a sopportarne le conseguenze dovrebbero essere solo gli organi sociali e, di fronte a una no opinion dei sindaci/revisori, solo gli amministratori e non anche chi ha determinato un “falso affidamento”?

Come il lettore avrà senz'altro notato, nell'elenco non ho inserito le banche alle quali - benché lo stesso Presidente del Consiglio dei Ministri abbia richiesto “un atto d'amore” - la normativa vigente demanda la valutazione del c.d. merito creditizio dell'imprenditore finanziato e il Codice della crisi attribuisce un ruolo indiretto nell'allerta (arg. desunto dall'art. 14, comma 4, c.c.i.). Ciò non toglie che anche gli istituti di credito possano contribuire all'affermarsi di un circolo virtuoso non subordinando la concessione di nuovi finanziamenti ad una clean opinion dei revisori e verificando il merito creditizio in base alle reali prospettive di riorganizzazione del business (cfr. S.B. Tagnani e G. Volpi, Concessione ed interruzione abusiva del credito: nuovi profili di responsabilità della banca nel Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Contr. e impr., 2020, 249). Si tratta di offrire un'esegesi evolutiva del c.d. “dilemma del banchiere” alla luce del comma aggiunto all'art. 2086 c.c. e dei nuovi obblighi informativi posti a carico delle banche e degli intermediari finanziari dall'art. 14 c.c.i. (cfr. M. de Pamphilis, L'azione risarcitoria per abusiva concessione di credito nel “diritto della crisi pandemica”, in Corr. giur., 2020, 1255 ss.).

Un banco di prova in attesa dell'entrata in vigore del Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (nella versione corretta)

Dal 1° settembre 2021 (o comunque da quando entrerà in vigore il Codice della crisi), lo stesso spirito di fattiva e leale collaborazione nello scambio d'informazioni (v. l'art. 2409 septies c.c. e la norma di comportamento n. 5.3) dovrà improntare l'organo di controllo societario e il revisore nell'adempimento degli obblighi previsti dall'art. 14 c.c.i., che vanno ad aggiungersi a quelli codificati dall'art. 2403 c.c. e sul cui adempimento il collegio sindacale dovrà riferire nella relazione prevista dall'art. 2429 c.c. (cfr. M. Bianca, I nuovi doveri dell'organo di controllo tra Codice della crisi e Codice civile, in Dir. fall., 2019, I, 1339).

Merita in proposito segnalare che l'art. 3, comma 3, del d.lgs. n. 147/2020 (c.d. decreto correttivo) ha opportunamente integrato il 2° comma del citato art. 14 puntualizzando che «gli organi di controllo societari, quando effettuano la segnalazione, ne informano senza indugio anche il revisore contabile o la società di revisione», e viceversa («allo stesso modo, il revisore contabile o la società di revisione informano l'organo di controllo della segnalazione effettuata»).

Disattendendo i rilievi di una parte della dottrina (cfr. ex multis S. Leuzzi, Indicizzazione della crisi d'impresa e ruolo degli organi di controllo: note a margine del nuovo sistema, in Ilcaso.it, 28 ottobre 2019), il legislatore non ha invece ritenuto di effettuare un coordinamento con l'art. 2409 c.c. (cosa che peraltro ha fatto la Norma di comportamento 6.2.) e d'intervenire sul 3° comma del citato art. 14, precisando la portata dell'esonero (sine die?) dalla responsabilità solidale dei sindaci con gli amministratori «per le conseguenze pregiudizievoli delle omissioni o azioni […] poste in essere» dall'organo amministrativo «successivamente» alla segnalazione interna (all'organo amministrativo) ed esterna (all'OCRI).

Rilievi conclusivi

Prescindendo dalla formulazione delle norme codicistiche e deontologiche (nessuna delle quali può essere tanto perfetta da prevenire comportamenti elusivi che soltanto l'etica professionale sembra in grado di scongiurare), la dichiarata impossibilità di esprimersi sul bilancio (e, in futuro, la segnalazione di fondati indizi della crisi) non potrà diventare un commodus discessus per l'organo di controllo o il revisore (altrimenti, la società resterebbe sprovvista di tali organi di controllo proprio nel “momento del bisogno”).

Un atteggiamento egoistico ed autoprotettivo si porrebbe in controtendenza rispetto alla nozione di controllo (ormai considerato di tipo proattivo ed emancipato dall'accezione tradizionale di verifica ex post di “natura censoria”) e rappresenterebbe una bad (e non best) practice (cfr. N. Abriani, Il diritto delle imprese nell'emergenza, cit., il cui pensiero potrebbe offrire la chiave per una sorta d'interpretazione autentica del documento in commento poiché l'Autore, in qualità di Esperto, è tuttora membro del Gruppo di Lavoro costituito in seno al CNDCEC che lo ha elaborato).

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