Così si esprime la Suprema Corte con l'ordinanza n. 23190/20, depositata il 23 ottobre.
Il Tribunale di Lamezia Terme accoglieva la domanda del Condominio vertente sulla richiesta di riduzione in pristino da parte della convenuta che aveva edificato un fabbricato sul fondo confinante a distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge.
A seguito di gravame, la Corte d'Appello riformava la suddetta decisione, rigettando per intero la domanda del Condominio e rilevando che erroneamente il Tribunale non aveva tenuto conto che la convenuta aveva collocato la costruzione in oggetto a norma di legge.
Il Condominio propone, dunque, ricorso per cassazione, lamentando il mancato accoglimento della domanda di arretramento del fabbricato della convenuta e contestando il rigetto della richiesta di risarcimento danni per la violazione delle disposizioni sulle distanze legali.
La Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile a causa della carenza della valida autorizzazione dell'amministratore di condominio da parte dell'assemblea ai fini della proposizione del ricorso.
A tal proposito, gli Ermellini richiamano il principio in base al quale «Le azioni reali contro terzi, a difesa dei diritti dei condomini sulle parti comuni di un edificio, quali quelle volte a denunziare la violazione delle distanze legali tra costruzioni, essendo dirette a ottenere statuizioni relative alla titolarità e al contenuto dei diritti medesimi, non rientrano tra gli atti meramente conservativi e possono, quindi, promuoversi dall'amministratore del condominio solo se sia autorizzato dall'assemblea a norma dell'art. 1131, comma 1, c.c.».
Ciò posto, la Corte rileva che nel caso di specie il Condominio non aveva provveduto a sanare la suddetta carenza con la produzione dell'originaria autorizzazione oppure con un'autorizzazione a ratifica del proprio operato, conseguendone dunque l'inammissibilità del ricorso.
Fonte: dirittogiustizia