Clausole che impongono un “tetto massimo” al diritto agli utili

Francesca Maria Bava
16 Novembre 2020

La Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, con la massima n. 189, ha affermato la legittimità in astratto delle clausole statutarie che fissano un “tetto massimo” al diritto agli utili per categorie di azioni di s.p.a. o di quote di s.r.l. (PMI) o per determinati soci di s.r.l. quale diritto particolare...

La Commissione Società del Consiglio Notarile di Milano, con la massima n. 189, ha affermato la legittimità in astratto delle clausole statutarie che fissano un “tetto massimo” al diritto agli utili per categorie di azioni di s.p.a. o di quote di s.r.l. (PMI) o per determinati soci di s.r.l. quale diritto particolare (configurabile anche in accezione peggiorativa o quale “regola diversa”, come sostenuto nella massima n. 39 dal medesimo Consiglio e nella massima I.I.34. dal Comitato Triveneto).

Si tratta di clausole derogatorie del principio, sancito dall'art. 2350 c.c. per le s.p.a. (e dall'art. 2468 c.c. per le s.r.l.), in base al quale ogni azione ha diritto ad una parte proporzionale degli utili netti, diritto che - ai sensi dell'art. 2433 c.c. - sorge non con la mera approvazione del bilancio di esercizio (come nelle società di persone), ma a seguito della delibera assembleare di distribuzione degli utili.

Tali clausole sono, tuttavia, da conciliarsi in concreto con il divieto del patto leonino ex art. 2265 c.c., che sancisce la nullità del patto con cui uno o più soci siano esclusi da ogni partecipazione agli utili (o alle perdite), avente applicazione generale essendo espressione della nozione stessa di società sancita dall'art. 2247 c.c.

A titolo esemplificativo, sono ammesse clausole che prevedano limiti massimi in misura assoluta, riferiti al singolo esercizio, o in misura relativa, riferiti a dati variabili, quali il capitale sociale o il patrimonio netto, in quanto consentono alle partecipazioni di mantenere per l'intera durata della società il diritto agli utili, sebbene entro una soglia predeterminata.

Più discutibile, secondo il Consiglio Notarile di Milano, è invece la liceità di clausole che riconoscano un diritto agli utili con limiti massimi riferiti al tempo.

In particolare, mentre in caso di azioni o quote aventi diritto di distribuzione degli utili a termine iniziale sussiste comunque un'aspettativa di partecipazione agli utili ancorché differita, la previsione di un termine finale per tale diritto (o di un tetto massimo complessivo che prescinde dagli esercizi) determina alla scadenza (o al raggiungimento di tale tetto) la presenza di azioni o di quote totalmente prive del diritto agli utili per l'intera durata residua della società, con rilevanti conseguenze soprattutto per i potenziali acquirenti.

Pertanto, la legittimità delle clausole in oggetto - in mancanza di un meccanismo analogo a quello delle c.d. clausole di waterfall - postula necessariamente la sussistenza di ulteriori diritti patrimoniali, quali il diritto alla distribuzione di riserve e/o del residuo attivo di liquidazione.

Alternativamente, è possibile configurare le suddette categorie di azioni o di quote come “auto-estinguibili” alla scadenza del termine finale o al raggiungimento della soglia complessiva degli utili, in virtù di quanto sancito dal medesimo Consiglio nella massima n. 190.