Meglio l'arretramento che la demolizione delle strutture realizzate sotto le distanze legali

Edoardo Valentino
16 Novembre 2020

La demolizione dei balconi realizzati in violazione degli artt. 905 e 907 c.c., può essere evitata laddove vi siano altri rimedi sufficienti a garantire il rispetto delle distanze e all'eliminazione delle vedute abusive. Affinché, però, il giudice pronunci la sentenza indicando mezzi alternativi e idonei accorgimento per impedire di esercitare la veduta su fondo altrui, è necessario che la parte interessata ne faccia esplicita richiesta in giudizio.

Sul tema la Corte di Cassazione con l'ordinanza n. 23184/20, depositata il 23 ottobre.

La vicenda. Alcuni condomini convenivano in giudizio i vicini di casa lamentando come questi, in violazione di un accordo, avessero realizzato una costruzione in sopraelevazione impedendo l'esercizio del diritto di veduta al loro immobile e avessero realizzato alcune strutture in violazione delle distanze legali. Con un accordo siglato anni prima, infatti, i convenuti si erano impegnati a rispettare le distanze tra le costruzioni e non sopraelevare, di fatto garantendo il diritto di veduta degli attori.

Si costituivano in giudizio i convenuti contestando l'interpretazione del contratto succitato così come fornita dagli attori e comunque eccependo il loro diritto, acquisito per usucapione, di mantenere la struttura realizzata in sopraelevazione.

Il Tribunale prima, e la Corte d'Appello in seguito, accoglievano le ragioni della parte attrice.

In particolare, a detta dei Giudici di merito, con la sottoscrizione degli accordi prodotti in giudizio le parti avevano costituito una servitù di veduta che incombeva sul fondo servente dei convenuti, a favore del fondo dominante attoreo. Tale contratto, inoltre, prevedeva indiscutibilmente il divieto di costruire e mantenere opere in violazione delle distanze legali tra gli edifici.

Ai sensi dell'art. 905, commi 1 e 2, c.c., infatti, «non si possono aprire vedute dirette verso il fondo chiuso o non chiuso e neppure sopra il tetto del vicino, se tra il fondo di questo e la faccia esteriore del muro in cui si aprono le vedute dirette non vi è la distanza di un metro e mezzo. Non si possono parimenti costruire balconi o altri sporti, terrazze, lastrici solari e simili, muniti di parapetto che permetta di affacciarsi sul fondo del vicino, se non vi è la distanza di un metro e mezzo tra questo fondo e la linea esteriore di dette opere».

Tali norme sono integrate dal successivo art. 907 c.c. che specifica che «quando si è acquistato il diritto di avere vedute dirette verso il fondo vicino, il proprietario di questo non può fabbricare a distanza minore di tre metri, misurata a norma dell'articolo 905. Se la veduta diretta forma anche veduta obliqua, la distanza di tre metri deve pure osservarsi dai lati della finestra da cui la veduta obliqua si esercita. Se si vuole appoggiare la nuova costruzione al muro in cui sono le dette vedute dirette od oblique, essa deve arrestarsi almeno a tre metri sotto la loro soglia».

Alla luce della soccombenza alla parte convenuta non restava che agire in Cassazione, contestando la decisione d'appello per i motivi di seguito riportati.

Ove possibile, il giudice di merito deve optare per rimedi meno drastici della demolizione delle opere realizzate in violazione delle distanze legali. Con il ricorso sopra menzionato i soccombenti contestavano la decisione d'appello nella misura in cui la Corte aveva condannato i convenuti alla demolizione del manufatto invece che al suo arretramento. Secondo i ricorrenti, difatti, laddove il giudice possa optare per specifici accorgimenti che consentano di ridurre in pristino le strutture realizzate a distanza inferiore rispetto a quella prevista dalla legge essi devono farlo, dovendo preferire questi mezzi al più grave rimedio della demolizione totale.

Con la sentenza in commento, la Corte accoglieva il ricorso sopra tratteggiato.

Evidenziavano gli Ermellini come la demolizione dei balconi delle parti ricorrenti, realizzati in violazione dei citati articoli 905 e 907 c.c., non sarebbe stata necessaria, essendo invece sufficienti a garantire il rispetto delle distanze e l'eliminazione delle vedute abusive rimedi diversi e volti a impedire le vedute abusive.

Affinché, però, il giudice pronunci la sentenza indicando mezzi alternativi e idonei accorgimento per impedire di esercitare la veduta su fondo altrui, è necessario che la parte interessata ne faccia esplicita richiesta in giudizio (così anche Cass. Sez. II, 27 aprile 2006, n. 9640).

Secondo la Cassazione, quindi, il giudice di merito aveva errato nel non considerare l'istanza della parte di considerare rimedi alternativi alla demolizione delle strutture, e non sarebbe incorso in un vizio di ultrapetizione il decidente che avesse deciso di disporre il semplice arretramento della struttura invece che la riduzione in pristino delle opere.

In considerazione della violazione dei predetti principi da parte della Corte d'Appello la Cassazione accoglieva il ricorso e rinviava il giudizio nel grado di merito per una nuova valutazione.

Fonte: dirittoegiustizia.it

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