Per l'avvocato non opera il ne bis in idem: sanzione disciplinare dopo quella penale anche per lo stesso fatto

17 Novembre 2020

Le Sezioni Unite della Corte di cassazione hanno avuto modo di affrontare alcune importanti questioni in materia di procedimento disciplinare forense.

Le prime due questioni, come vedremo, attengono alla natura dei soggetti coinvolti nel procedimento disciplinare (il Consiglio distrettuale di disciplina e il Consiglio Nazionale Forense).
La terza questione attiene, invece, alla delicata questione dell'operatività o no del principio del ne bis in idem di cui alla Convenzione europea dei diritti dell'uomo nell'ambito del procedimento disciplinare tutte le volte in cui la condotta di cui all'incolpazione è la medesima già sanzionata in sede penale.

CNF scaduto e procedimenti disciplinari. Orbene, la prima questione ha riguardato la possibilità del Consiglio Nazionale Forense, una volta scaduto il suo mandato e non ancora insediato quello successivo, di svolgere l'attività giurisdizionale.
Secondo la Cassazione non c'è dubbio che quest'attività possa essere legittimamente svolta: il principio di immanenza della funzione giurisdizionale è la fonte di questo potere.
Ne deriva che la norma che attribuisce al consiglio “scaduto” soltanto la possibilità di attendere agli affari correnti non ha alcuna incidenza sulla soluzione della questione.
E ciò specialmente laddove da quell'espressione si vorrebbe ricavare – come aveva tentato di sostenere il ricorrente – di ricavare la limitazione dell'attività alla sola attività amministrativa ordinaria senza possibilità di svolgere i procedimenti disciplinari.

CDD non è un giudice speciale. La seconda questione ha riguardato la natura e la struttura organizzativa dei Consigli distrettuali di Disciplina rispetto alla quale il ricorrente aveva lamentato – muovendo da una ricostruzione degli stessi in termini di giudice speciale – una mancata differenziazione tra il CDD che emette il capo di incolpazione il CDD che decide il procedimento disciplinare.
Senonché, per le Sezioni Unite anche i Consigli distrettuali di disciplina (come già prima i locali consigli dell'ordine cui erano attribuiti i procedimenti disciplinari) non sono giudici speciali, ma soggetti che svolgono una funzione amministrativa e che svolgono funzioni giustiziali caratterizzati da elementi di terzietà.

Ne bis in idem. La terza questione tocca un aspetto molto delicato relativo alla Convenzione dei diritti dell'uomo e riguarda, come abbiamo richiamato in apertura, la possibilità di invocare da parte del professionista incolpato in sede disciplinare il principio del ne bis in idem tutte le volte in cui il giudizio disciplinare segue ad una condanna penale per i “medesimi fatti”.
Ebbene, le Sezioni Unite mantengono fermo ancora una volta il principio più volte affermato secondo cui non c'è la possibilità di invocare il ne bis in idem perché siamo in presenza di due sanzioni del tutto differenti e soprattutto perché la sanzione disciplinare non potrebbe essere ricondotta alla materia penale di cui all'art. 6 CEDU.
Sostanzialmente viene ritenuto (in ciò la giurisprudenza è seguita anche dalle decisioni giurisprudenza dei CDD) che mentre la sanzione disciplinare è volta far rispettare le regole interne di alta rilevanza etica e comportamentale relativa all'organizzazione dell'Ordine degli avvocati e dei suoi iscritti, la sanzione penale è finalizzata invece a tutelare valori dell'intera collettività a fronte di violazione di maggiore offensività.

La sanzione disciplinare può essere sanzione “penale”. Senonché, la tesi ribadita dalla Cassazione non convince completamente.
Ed infatti, non può sfuggire che, sebbene le finalità possano essere qualificate come diverse, esse hanno, però, la medesima natura di sanzioni (sia preventive che repressive).
Ma v'è di più.
Per la Corte europea dei diritti dell'uomo nel caso Causa Grande Stevens e altri c. Italia – Seconda Sezione – sentenza 4 marzo 2014 (pure richiamata dalla Cassazione nella sua sentenza) non è possibile applicare al medesimo fatto due sanzioni formalmente diverse, ma sostanzialmente penali (come nel nostro caso).
Inoltre, secondo l'interpretazione della Corte europea dei diritti dell'uomo - nota come giurisprudenza Engels - per sapere se una certa materia (qui quella disciplinare) possa essere qualificata come “materia penale” ai sensi e per gli effetti della Convenzione europea occorre che siano presenti alcuni “indici” sintomatici della reale natura della sanzione rispetto al mero nomen juris.
E qui mi sembrano sussistere proprio quegli indici se solo si guarda alle tipologie di sanzioni comminate: la radiazione, ad esempio, non può non essere una sanzione materialmente “penale” quanto ad afflittività e quanto a conseguenze sull'esercizio dell'attività professionale come pure la sospensione dall'esercizio della professione.
Del resto, ci può essere (almeno in alcuni casi) addirittura perfetta sovrapponibilità tra le sanzioni irrogabili in sede penale e in sede disciplinare: la sanzione massima irrogabile nel procedimento disciplinare è la radiazione che rappresenta la massima sanzione afflittiva e che insieme alla sospensione corrispondono proprio alle corrispondenti sanzioni penali irrogabili come sanzioni per i fatti commessi dall'avvocato nell'esercizio delle sue funzioni.
Resta quindi opportuno un ripensamento della certamente complessa materia in attesa di un qualche intervento risolutivo della Corte europea dei diritti dell'uomo.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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