Costituzione in giudizio via PEC rifiutata per irregolarità fiscale: la parte può chiedere la rimessione in termini
18 Novembre 2020
Così la Corte di cassazione respingendo il ricorso avverso la pronuncia con cui la Corte d'appello di Venezia aveva rigettato la domanda attorea di accertamento della responsabilità professionale di un commercialista.
Per quanto qui d'interesse, il ricorrente aveva sollevato la questione relativa al difetto di motivazione sulla rimessione in termini concessa dalla Corte territoriale all'appellante. Dalla ricostruzione della vicenda emerge che il commercialista si era costituito in giudizio tardivamente (5 gennaio 2017), depositando contestuale istanza di rimessione in termini affermando che di aver spedito la busta telematica per la costituzione in giudizio in data 23 dicembre 2016, ma di aver poi ricevuto la comunicazione del rifiuto della cancelleria solo il successivo 27 dicembre.
La censura risulta infondata. Giova ribadire che la rimessione in termini di cui all'art. 153, comma 2, c.p.c. presuppone la “non imputabilità” dell'inosservanza del termine ovvero un fattore estraneo alla volontà dell'interessato che abbia determinato tale evento.
Quando alla tempestività dell'istanza di rimessione in termini, la Corte ricorda che tale “tempestività” viene intesa dalla giurisprudenza come immediatezza della reazione della parte al palesarsi della necessità di svolgere un'attività processuale ormai conclusa (Cass. civ. n. 23561/11). Di conseguenza, non è necessario che l'istanza di rimessione intervenga comunque entro il termine del quale si alleghi essere stata impossibile l'osservanza. Occorre invece valutare se la parte istante si sia attivata «in un termine ragionevolmente contenuto e rispettoso del principio di ragionevole durata del processo» (Cass. civ. n. 9114/12).
*Fonte: www.dirittoegiustizia.it |