Persa la causa per negligenze ininfluenti dell'avvocato? Il compenso va comunque pagato

Andrea Greco
19 Novembre 2020

Non può essere applicata l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. per negare il pagamento del compenso all'avvocato che sia incorso in negligenza professionale, se il cliente non dimostri che la condotta sia stata causativa del danno subito non potendosi avvalere, perché contrario a buona fede, dell'esercizio di poteri di autotutela.

Una società si avvaleva in giudizio del patrocinio di un avvocato per ottenere un indennizzo a seguito di un furto subito nel proprio esercizio commerciale.

La causa in primo grado veniva persa giacche l'avvocato produceva in ritardo la prova necessaria all'accoglimento della domanda nei confronti della compagnia assicurativa convenuta.

La società, a fronte delle ragioni della soccombenza, evocava in giudizio l'avvocato imputandogli negligenza professionale per l'attività difensiva malamente svolta, onde, per l'effetto, ottenere la condanna al pagamento in proprio favore dei danni patiti e la pronuncia di nulla dovergli versare a titolo di compenso.

Il Tribunale rigettava la domanda attorea.

La società ricorreva in appello.

Il giudice di seconde cure riformava in parte qua la sentenza gravata, dichiarando che la società nulla doveva all'avvocato per il compenso professionale, condannando, al contempo, quest'ultimo alla rifusione degli esborsi sostenuti e al pagamento delle spese dei due gradi di giudizio.

Per la Corte d'appello la negligenza professionale era sussistente in ragione del fatto che l'avvocato aveva omesso di formulare i capitoli di prova in relazione alle specifiche modalità del furto subito, omissione, questa, che integrava sicuramente una attività difensiva carente.

Tuttavia, con specifico riferimento alla quantità e al valore dei beni oggetto di furto, nulla era stato possibile provare, atteso che neanche nel corso del giudizio di gravame la società aveva capitolato specifiche circostanze idonee a provare in punto di quantum il danno lamentato.

Nonostante ciò la Corte d'appello aveva ritenuto meritevole di accoglimento la domanda di accertamento negativo del credito professionale e la condanna alla rifusione dei soli costi sostenuti in dipendenza del rigetto della domanda nei confronti della compagnia di assicurazione.

Ricorre per cassazione l'avvocato.

Il ricorso in cassazione è affidato a tre motivi:

a) Violazione degli artt. 2236 c.c., 1176, comma 2 c.c., e 2697 c.c. giacché la Corte d'appello ha ritenuto integrata la responsabilità professionale anche senza la prova che vi fosse un nesso di causalità tra il comportamento professionale omissivo ed il rigetto della domanda nei confronti della compagnia assicurativa;

b) Violazione degli artt. 2229 c.c. e 2233, comma 1, c.c., per avere la Corte d'Appello ritenuto inesistente il diritto del professionista a ricevere il proprio compenso, pur avendo escluso l'esistenza di una negligenza tale da arrecare il danno lamentato dalla società;

c) Violazione degli artt. 91 c.p.c. e 92 c.p.c. per avere la Corte d'appello condannato il professionista al pagamento delle spese del doppio grado di giudizio pur in accoglimento di una minima parte della domanda e dunque in presenza di una sostanziale soccombenza reciproca.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso dell'avvocato.

Gli Ermellini ribadiscono, una volta ancora, che l'eccezione di inadempimento ex art. 1460 c.c. può essere opposta dal cliente per non pagare il compenso all'avvocato, solo se la responsabilità professionale di quest'ultimo abbia inciso (causa-effetto) sull'esito negativo del giudizio intrapreso.

Questo perché l'avvocato non può garantire l'esito favorevole del giudizio; al contempo il cliente non può esercitare il potere di autotutela per negare d'emblée all'avvocato il versamento dell'onorario.

Il cliente, in altri termini, deve provare, secondo il criterio probabilistico, che quel comportamento negligente dell'avvocato abbia pregiudicato irrimediabilmente le possibilità di vittoria nel giudizio intrapreso.

In conclusione. Dalla sentenza commentata possiamo sicuramente trarre l'insegnamento che il compenso all'avvocato è dovuto dal cliente, eccezion fatta per tutte le volte in cui quest'ultimo riesca a dimostrare che quella condotta professionale (es. omissioni, carenze, dimenticante, ecc.) abbia inciso in concreto e secondo il principio del “più probabile che non” sul vittorioso esito della causa.

Viceversa lo strumento dell'eccezione di inadempimento è destinato a permanere nel limbo del giuridicamente irrilevante.

Nel caso di specie, la società nulla è riuscita a dimostrare in ordine al concreto danno subito, neppure in appello e da qui l'applicazione dell'art. 1460 c.c. è risultata per il giudice di nomofilachia impropriamente applicata.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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