Azione revocatoria: se il bene torna nel patrimonio del debitore cessa la materia del contendere?

20 Novembre 2020

L'interesse del creditore ad agire in revocatoria non viene meno per il fatto che il bene oggetto dell'atto dispositivo sia rientrato nel patrimonio del debitore, perché altrimenti potrebbe essere pregiudicata l'efficacia di prenotazione costituita dalla trascrizione della domanda giudiziale di revoca, ai sensi dell'art. 2652, n. 5), c.c.

La sez. III Civile della Cassazione si è occupata, per sua stessa definizione, di un caso “singolare”: un bene, oggetto di revocatoria ordinaria, retrocesso, nelle more del giudizio, nel patrimonio del debitore, con dichiarazione – da parte della Corte territoriale – della cessazione della materia del contendere. Decisione giusta?

Il caso. Un marito (debitore) trasferiva alla moglie la proprietà di un immobile. Tale atto veniva impugnato dal creditore del marito con azione revocatoria ordinaria.

In primo grado l'atto veniva dichiarato inefficace, mentre in appello la domanda veniva rigettata per sopravvenuta cessazione della materia del contendere.

Infatti, nelle more del giudizio, ed in esecuzione di un procedimento per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, i coniugi avevano consensualmente risolto l'atto di cessione oggetto della domanda di revocatoria. Per effetto della risoluzione consensuale, il marito (debitore) era tornato nella piena disponibilità dell'immobile ed aveva chiesto che fosse dichiarata cessata la materia del contendere per sopravvenuto difetto di interesse.

Secondo la Corte d'appello, l'atto oggetto della domanda di revocatoria non esisteva più giuridicamente, essendo stato travolto da un successivo atto di retrocessione dell'immobile all'originario proprietario.

Le successive vicende, tra le quali soprattutto l'accertata iscrizione di ipoteca giudiziale sul bene medesimo in favore della ex moglie, non potevano, secondo la sentenza impugnata, essere valutate in quella sede, in cui si doveva decidere su un'azione in ordine alla quale l'originario attore (creditore) aveva perso l'interesse ad agire.

In definitiva, veniva emessa una pronuncia di rigetto della domanda di revocatoria per cessazione della materia del contendere.

Seguiva il ricorso per cassazione.

L'azione revocatoria: finalità. I Giudici anzitutto ricordano che l'azione revocatoria, inserita nella sistematica del codice tra i mezzi di conservazione della garanzia patrimoniale, non produce effetti recuperatori o restitutori del bene dismesso al patrimonio del debitore; scopo dell'azione, infatti, è quello di pervenire alla dichiarazione di inefficacia relativa dell'atto revocato, con conseguente assoggettamento del bene al diritto del revocante (e solo di questi) di procedere ad esecuzione forzata sul medesimo.

L'azione revocatoria, infatti, è uno strumento che la legge pone a disposizione del creditore affinché venga mantenuta integra la garanzia patrimoniale del debitore il quale, com'è noto, risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri.

Il profilo delle ipoteche. Peraltro, è stato altresì affermato dalla giurisprudenza di legittimità che la presenza di ipoteche sull'immobile trasferito con l'atto oggetto di revocatoria non esclude, di per sé, un pregiudizio per il creditore chirografario (e, dunque, il suo interesse ad esperire tale azione), posto che le iscrizioni ipotecarie possono subire vicende modificative o estintive ad opera sia del debitore che di terzi.

Fondamentale la disciplina della trascrizione della domanda. Da tenere in considerazione, precisano i Giudici di Piazza Cavour, anche i principi in materia di trascrizione della domanda giudiziale, istituto al quale la legge connette una sorta di effetto di prenotazione che viene a porre la parte che trascrive al riparo da eventuali successive vicende traslative relative al medesimo bene immobile. L'art. 2652, comma 1, n. 5), c.c. stabilisce, a proposito della trascrizione della domanda di revoca degli atti compiuti in pregiudizio dei creditori, che la sentenza che accoglie la domanda non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede in base a un atto trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda.

L'interesse al vittorioso esperimento dell'azione revocatoria non deve essere considerato in astratto. La Suprema Corte considera il caso in esame “singolare”, trattandosi di azione revocatoria promossa dal creditore avverso un atto di trasferimento immobiliare compiuto dal debitore in favore della propria moglie; atto al quale aveva fatto seguito, nelle more del giudizio e durante il procedimento per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, la retrocessione del bene nel patrimonio di origine. Da tale evento la Corte d'appello ha tratto la conclusione che il reingresso del bene immobile nel patrimonio del debitore alienante aveva fatto venire meno l'interesse del creditore all'espletamento dell'azione revocatoria.

Ma, avvertono i Giudici, si tratta di una conclusione errata, in quanto non tiene in considerazione l'importanza della trascrizione della domanda giudiziale di revoca, che di per sé dimostra la permanenza dell'interesse del creditore, e finisce con esporlo ingiustamente al rischio di essere pregiudicato dalle successive vicende del bene immobile in questione.

Il rischio di “abusi” se l'interesse del creditore venisse automaticamente meno in caso di retrocessione del bene. Vicende le quali potrebbero essere animate da finalità truffaldine o comunque non trasparenti. Se il debitore, infatti, potesse liberamente far venire meno l'interesse all'azione revocatoria attraverso la retrocessione del bene nel suo patrimonio, ciò aprirebbe la porta ad evidenti abusi; il debitore potrebbe, con eventuali alienazioni e retrocessioni successive, aggirare le finalità dell'azione revocatoria, esponendo il creditore alla possibilità di essere postergato rispetto ad altri creditori o, comunque, rendendo più difficile la soddisfazione del credito.

La retrocessione del bene non ha effetto “retroattivo”. L'interesse del creditore emerge dal fatto che l'evento potenzialmente pregiudicante nei suoi confronti si è perfezionato nel corso dello svolgimento del processo, tanto più che la retrocessione del bene nel patrimonio del debitore non è retroattiva; essa, in altre parole, non ripristina lo status quo ante al momento in cui l'atto di disposizione ebbe luogo e non pone nel nulla le eventuali iscrizioni e trascrizioni frattanto intervenute.

Certo, l'atto da revocare in effetti non esiste più… ma l'interesse permane. Peraltro, la Cassazione riconosce che l'atto da revocare, come rileva la sentenza impugnata, non esiste più giuridicamente, essendo stato travolto da un successivo atto di retrocessione dell'immobile all'originario proprietario.

Ma la permanenza dell'interesse è dimostrata dalle successive vicende relative al bene: la ex moglie aveva provveduto ad iscrivere ipoteca giudiziale sul bene ritornato nel patrimonio dell'ex marito.

È evidente che tale ipoteca andrebbe a vanificare, ove fosse esatta la ricostruzione della Corte d'appello, la trascrizione della domanda giudiziale di revoca, perché la creditrice ipotecaria verrebbe a precedere, in caso di esecuzione su quel bene, rispetto all'eventuale ulteriore trascrizione che il creditore vada a riproporre.

È vero che dopo la retrocessione del bene il creditore può aggredirlo senza bisogno della declaratoria di inefficacia; ma è altrettanto vero che l'esito positivo del giudizio di revocazione consente alla trascrizione della domanda giudiziale di mantenere intatto il proprio effetto di prenotazione, postergando tutte le trascrizioni ed iscrizioni successive.

Il principio di diritto affermato. La sentenza impugnata, pertanto, è stata cassata con l'affermazione di questo principio di diritto: «L'interesse del creditore ad agire in revocatoria non viene meno per il fatto che il bene oggetto dell'atto dispositivo sia rientrato nel patrimonio del debitore, perché altrimenti potrebbe essere pregiudicata l'efficacia di prenotazione costituita dalla trascrizione della domanda giudiziale di revoca, ai sensi dell'art. 2652, n. 5), del codice civile».

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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