Residenza fiscale in un paese black list: questione ancora aperta
23 Novembre 2020
La contribuente, di nazionalità italiana, si è trasferita da circa nove anni negli Emirati Arabi, Paese nel quale svolge un'attività di lavoro dipendente ed in cui è locataria di un immobile del quale paga regolarmente le utenze; la stessa intrattiene un rapporto di c/c presso un Istituto bancario degli Emirati Arabi, risulta iscritta all'Anagrafe della popolazione residente negli Emirati e non è iscritta all'AIRE.Vorrei sapere se ha obblighi dichiarativi in Italia.
Tra i temi più controversi, in materia di imposte sul reddito, si segnala la problematica inerente l'individuazione della residenza fiscale del cittadino italiano, nelle ipotesi in cui si trasferisca all'estero. L'Amministrazione finanziaria contesta, infatti, di frequente la fittizietà di tale trasferimento, basando il proprio accertamento sulla mancata cancellazione del contribuente dall'Anagrafe delle Popolazione Residente (Apr) e sul conseguente difetto di iscrizione all'Anagrafe degli Italiani Residenti all'Estero (Aire). Al fine di fornire un inquadramento della questione che ne occupa, occorre prendere le mosse dal dato normativo. L'art. 2, comma 2°, del Tuir prevede che si considerano residenti in Italia le persone che, per la maggior parte del periodo di imposta (183 giorni nel corso dell'anno) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o che hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile. Le tre condizioni sopra citate sono tra loro alternative, essendo sufficiente che sia verificato, per la maggior parte del periodo d'imposta, uno solo dei predetti requisiti affinché una persona fisica venga considerata fiscalmente residente in Italia e, viceversa, solo quando i tre presupposti della residenza sono contestualmente assenti nel periodo d'imposta di riferimento tale persona può essere ritenuta non residente nel nostro Paese.
Con riferimento al caso di specie, avuta considerazione di quanto previsto dall'art. 2, comma 2°, del Tuir, la contribuente è residente in Italia essendo iscritta all'anagrafe della popolazione residente di tale Paese. Ne conseguirebbe che, ai sensi dell'art. 3, comma 1°, del TUIR, tutti i redditi percepiti dalla contribuente, dovunque siano stati prodotti, dovrebbero essere dichiarati ai fini dell'imposizione nel nostro Paese. Ciò posto, per quel che concerne la vigente normativa interna, ponendo attenzione alla “Convenzione tra il Governo della Repubblica Italiana ed il Governo degli Emirati Arabi Uniti per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire le evasioni fiscali”, si rileva che, ai sensi dell'art. 15, paragrafo 1, della predetta, il reddito percepito a fronte di un'attività di lavoro dipendente, prestata, per la maggior parte dell'anno, negli Emirati Arabi alle dipendenze di una società di tale Stato, è assoggettato ad imposizione concorrente nei due Paesi contraenti il citato Trattato internazionale (ossia in Italia, Stato di residenza e negli Emirati Arabi, Stato di svolgimento dell'attività lavorativa).
La conseguente doppia imposizione sul reddito in esame viene eliminata sulla base di quanto previsto dall'articolo 23, paragrafo 2, della Convezione sopra citata, la quale prevede che “Se un residente dell'Italia possiede elementi di reddito che sono imponibili negli E.A.U., l'Italia, nel calcolare le proprie imposte sul reddito ... può includere nella base imponibile di tali imposte detti elementi di reddito, a meno che espresse disposizioni della presente Convenzione non stabiliscano diversamente. In tal caso, l'Italia deve detrarre dalle imposte così calcolate l'imposta sui redditi pagata negli EAU, ma l'ammontare della detrazione non può eccedere la quota di imposta italiana attribuibile ai predetti elementi di reddito nella proporzione in cui gli stessi concorrono alla formazione del reddito complessivo”.
Siffatta situazione non si verifica nella fattispecie in predicato, avuta considerazione del fatto che si è in presenza di un caso di “doppia residenza” essendo la contribuente altresì, residente negli Emirati Arabi. Al riguardo sovviene, pertanto, quanto precisato dall'art. 4, paragrafo 2, della sopracitata Convenzione secondo il quale nel caso in cui una persona fisica sia residente in entrambi gli Stati contraenti, la stessa è considerata, innanzitutto, residente nello Stato in cui dispone di un'abitazione permanente ed, in subordine (laddove disponga di un'abitazione permanente in entrambi gli Stati), la residenza di una persona fisica è determinata secondo i seguenti criteri residuali disposti in ordine decrescente:
Le predette tie-breaker rules escludono, automaticamente, l'applicazione della normativa nazionale, attuandone la subordinazione rispetto alla lex superior di fonte convenzionale. Nel caso di specie, si può ritenere, sulla base degli elementi forniti, che la contribuente abbia il centro dei propri affari ed interessi negli Emirati Arabi risultando, quindi, ivi residente (sul punto, abitazione permanente, contratti di utenze, svolgimento di attività di lavoro dipendente, relazioni professionali e sociali). Ne consegue, pertanto, che sono assoggettati ad imposizione esclusiva negli Emirati Arabi, ai sensi dell'art. 15, comma 1°, della Convenzione, Stato di residenza della contribuente e Stato in cui svolge la propria attività lavorativa, gli stipendi e le altre remunerazioni analoghe che la stessa ha percepito e continua a percepire per l'attività lavorativa ivi svolta. Essendo gli Emirati Arabi un Paese a fiscalità privilegiata, qualora la contribuente si iscrivesse all'AIRE cancellandosi dall'Anagrafe delle Popolazione Residente (Apr), l'Amministrazione finanziaria continuerebbe a considerare la Signora fiscalmente residente in Italia, essendo onere della stessa fornire la prova dell'effettiva residenza negli Emirati Arabi.
Come chiarito dalla stessa Guardia di Finanza con Circolare n. 1/2018, i Verificatori dovranno, nel caso di soggetti iscritti all'AIRE:
Pertanto, soltanto la piena dimostrazione, da parte della contribuente, della perdita di ogni collegamento con lo Stato italiano e la parallela controprova di una reale e duratura localizzazione nel Paese a fiscalità privilegiata, indipendentemente dall'assolvimento nello stesso Paese di obblighi fiscali, potranno supportare il venire meno della residenza fiscale in Italia e la conseguente legittimità della posizione di non residente; è evidente che, in tal caso, gli elementi forniti dovranno essere oggetto di una valutazione di insieme.
Allo stato vi sono tutti gli elementi per ritenere che la contribuente possa approntare un'adeguata difesa qualora l'Amministrazione finanziaria le contesti l'omissione di obblighi dichiarativi in Italia.
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