Danni da infiltrazioni in condominio e tipologie di responsabilità
23 Novembre 2020
Il quadro normativo
Generalmente in tema di infiltrazioni in condominio trova applicazione l'art. 2051 c.c., la cui portata rende ciascuno responsabile del danno cagionato dalle cose che ha in custodia, salvo che provi il caso fortuito. I presupposti per l'applicazione della fattispecie vanno ricercati nella figura del custode, da intendersi come colui che ha un effettivo e non occasionale potere fisico sulla cosa; la cosa che cagiona i danni, dove si impone una distinzione tra l'ipotesi in cui la cosa sia una mera occasione dell'evento dannoso e l'ipotesi in cui ne sia la causa; il rapporto causale tra la cosa ed il danno da accertare; la prova liberatoria idonea ad interrompere la presunzione di responsabilità posta ex lege a carico del custode. La previsione codicistica in parola rientra tra le fattispecie di responsabilità c.d. extracontrattuale. L'esperienza giurisprudenziale ha inoltre riconosciuto applicabile anche una responsabilità c.d. contrattuale nel caso in cui i danni derivassero dall'esecuzione di lavori eseguiti in base alla sottoscrizione di un contratto di appalto disciplinato dagli artt. 1655 ss. c.c., nonché la teoria della responsabilità per inadempimento legata alla titolarità del bene o anche detta propter rem. La fattispecie di responsabilità contrattuale si distingue in responsabilità di terzi nei confronti del condominio o dei condomini e responsabilità del condominio nei confronti dei terzi, compresi i condomini. In ordine alla prima ipotesi, essa si verifica nel caso in cui il condominio appalta i lavori di manutenzione straordinaria ad una ditta e con questa stipula un contratto di appalto. Il contratto può interessare tanto le parti comuni quanto le singole unità immobiliari dell'edificio. L'appaltatore è responsabile ed è tenuto alla garanzia per le difformità ed i vizi dell'opera, se quest'ultima è stata accettata dal committente. La garanzia è dovuta soltanto per le difformità ed i vizi non riconoscibili e taciuti in malafede dall'appaltatore. Il committente può chiedere l'eliminazione delle difformità o dei vizi a spese dell'appaltatore, oppure una diminuzione proporzionale del prezzo, salvo il diritto al risarcimento del danno in caso di colpa dell'appaltatore. Allorquando, invece, considerando la seconda ipotesi, nell'esecuzione dei lavori la ditta appaltatrice non sia stata dotata di autonomia ma, in base ai patti contrattuali, sia stata una semplice esecutrice degli ordini del committente ed abbia operato quale nudus minister, attuandone specifiche direttive, la responsabilità del committente si configura, in caso di specifiche violazioni di regole di cautela nascenti ex art. 2043 c.c., per c.d. culpa in eligendo (Cass. civ., sez. III, 1 giugno 2006, n. 13131; Cass. civ., sez. III, 12 luglio 2006, n. 15782). Il principio è stato più volte affermato dalla giurisprudenza di legittimità secondo la quale quando l'appaltatore, in base ai patti contrattuali, sia stato un semplice esecutore degli ordini del committente ed abbia agito quale nudus minister attuandone specifiche direttive, e venga quindi privato dell'autonomia decisionale e di gestione dell'incarico, sarà il committente a dover rispondere degli eventi dannosi provocati a terzi (Cass. civ., sez. lav., 23 marzo 1999, n. 2745; Cass. civ., sez. III, 20 aprile 2004, n. 7499; Cass. civ., sez. lav., 2 marzo 2005, n. 4361; Cass. civ., sez. III, 29 marzo 2007, n. 7755). Nel caso, viceversa, di responsabilità extracontrattuale, il condominio non si configura come un autonomo soggetto giuridico, distinto dalle persone dei partecipanti/condomini, bensì come un mero “ente di gestione”, il quale tuttavia è sfornito di separata personalità giuridica ma in quanto tale non è esentato dal coinvolgimento in tutta una serie di ipotesi che determinano o possono determinare una responsabilità come quella da cose in custodia (art. 2051 c.c.). La giurisprudenza della Corte di Cassazione, ma anche quella di merito, ha ripetutamente precisato che il condominio non solo può ben rivestire la figura di custode dei beni e dei servizi comuni, ma che, proprio in quanto tale, è giuridicamente tenuto ad adottare ogni misura necessaria affinché le parti comuni non arrechino danno ad alcuno. L'inadempimento di tale obbligo lo espone al risarcimento dei pregiudizi arrecati, sia nei confronti dei singoli partecipanti che nei confronti dei terzi anche in ipotesi di danni da infiltrazioni causati da parti comuni dell'immobile alla proprietà esclusiva di un condomino (Cass. civ., sez. II, 8 maggio 2013, n. 10898; Cass. civ., sez. II, 12 luglio 2011, n. 15291; Trib. Roma 29 ottobre 2013, n. 21600) Tra i soggetti legittimati ad agire nei confronti del condominio per i danni patiti a causa dei beni condominiali devono ricomprendersi anche i singoli condomini (Cass. civ., sez. III, 11 febbraio 1987 n. 1500) Tra le tante pronunce, spicca un'ultima della Corte di Cassazione che stabilisce che un condominio è obbligato ad adottare tutte le misure necessarie affinchè le cose comuni non rechino pregiudizio ad alcuno, e risponde in base all'art. 2051 c.c. dei danni da queste cagionati alla porzione di proprietà esclusiva di uno dei condomini, ancorchè i danni siano imputabili a vizi edificatori dello stabile, in base ai quali il condominio può essere obbligato anche a rimuovere le cause del danno stesso ex art. 1172 c.c. (Cass. civ., sez. III, 17 ottobre 2019, n. 26291) Corre l'obbligo di evidenziare che, essendo il condominio un ente di gestione privo di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, il condomino che ritenga di essere stato danneggiato da un'omessa vigilanza da parte del condominio nell'esecuzione dei lavori dovrà rivolgere la propria pretesa risarcitoria nei confronti dell'amministratore, in qualità di rappresentante del condominio (Cass. civ.,sez. III, 30 settembre 2014, n. 20557) e che il condominio risponde, ai sensi dell'art. 2051 c.c., dei danni subiti dai terzi estranei ed originati da parti comuni dell'edificio, mentre l'amministratore è soggetto, ai sensi dell'art. 1218 c.c. solo all'azione di rivalsa eventualmente esercitata dal condominio per il recupero delle somme che esso abbia versato ai terzi danneggiati (Cass. civ., sez. II, 14 agosto 2013, n. 17983). Le Sezioni Unite della Cassazione Con la sentenza Cass. civ., 10 maggio 2016, n. 9449 , le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno affrontato e risolto la fattispecie dei danni cagionati all'appartamento sottostante dalle infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico solare deteriorato per difetto di manutenzione. Tale intervento chiarificatore si era reso necessario in quanto la seconda sezione della medesima Corte, a seguito del deposito di un'ordinanza interlocutoria (Cass. civ., 13 giugno 2014 n. 13526), aveva manifestato perplessità in riferimento alla posizione argomentativa espressa sulla questione dalle stesse Sezioni Unite con la sentenza Cass. civ., 29 aprile 1997 n. 3672, sollecitando un ripensamento sulla natura giuridica della responsabilità per danni provenienti dal lastrico solare in uso o di proprietà esclusiva e conseguenti oneri risarcitori. Le Sezioni Unite, in quella occasione, avevano infatti affermato che la responsabilità per danni prodotti all'appartamento sottostante dalle infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico solare per difetto di manutenzione dovesse ricondursi - anziché al disposto dell'art. 2051 c.c. - direttamente alla titolarità del diritto reale. In particolare, tale responsabilità scaturiva quale conseguenza dell'inadempimento delle obbligazioni di conservare le parti comuni, poste a carico dei condomini (art. 1123, comma 1, c.c.). Le Sezioni Unite sul punto ritenevano che, poiché il lastrico solare dell'edificio (soggetto al regime del condominio) svolgeva la funzione di copertura del fabbricato anche se appartenente in proprietà superficiaria od attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua riparazione o alla sua ricostruzione erano tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario superficiario o con il titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all'appartamento sottostante per le infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondevano tutti gli obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dall'art. 1126, vale a dire i condomini ai quali il lastrico fungeva da copertura, in proporzione dei due terzi, ed il titolare della proprietà superficiaria o dell'uso esclusivo, in ragione delle altre utilità, nella misura del terzo residuo. Teoria delle obbligazioni propter rem
Secondo la sentenza in parola, tanto l'art. 1123, comma 1, c.c. quanto l'art. 1126 c.c., individuano tipi di obbligazioni propter rem contrassegnate dalla titolarità e dall'oggetto, consistente nella prestazione delle spese per la conservazione dei beni esistenti nell'edificio. Le obbligazioni reali di conservazione coinvolgerebbero tutti i rapporti reali riguardanti l'edificio, con la conseguenza che la responsabilità per inadempimento deve coprire i danni arrecati ai beni comuni che costituiscono il fabbricato. Dunque, se alle riparazioni e alle ricostruzioni del lastrico solare sono obbligati i condomini secondo le regole previste dagli artt. 1123 e 1126 c.c., al risarcimento dei danni cagionati all'appartamento sottostante per difetto di manutenzione dovrebbero essere tenuti gli obbligati inadempienti. Secondo le Sezioni Unite le norme condominiali elaborate dal legislatore sembrano essere riferite essenzialmente al profilo “reale” del fenomeno: mediante il ricorso al diritto delle obbligazioni, deve ritenersi pertanto configurato un generale dovere di correttezza e di cooperazione attiva tra i condomini, idoneo a preservare le esigenze abitative dei vicini. Ne consegue che trovano applicazione i canoni fissati dall'art. 1218 c.c. per le obbligazioni contrattuali, salva l'eventualità di un fatto illecito commesso dal titolare del diritto reale, configurabile in tema di responsabilità extracontrattuale. Contrariamente all'applicazione del regime di responsabilità per inadempimento delle obbligazioni propter rem del 1997, le Sezioni Unite del 2016 hanno assunto una posizione diversa, operando una netta inversione di tendenza rispetto al passato, rimeditando la natura giuridica della responsabilità per danni proveniente dal lastrico solare di uso o proprietà esclusiva e riconducendola nell'alveo dell'illecito aquiliano di cui all'art. 2051 c.c. avuto riguardo alla posizione del soggetto che del lastrico o della terrazza abbia l'uso esclusivo. E' innegabile, infatti, secondo le Sezioni Unite, che chi ha l'uso esclusivo del lastrico solare o di una terrazza a livello si trovi, in rapporto alla copertura dell'edificio condominiale, in una posizione del tutto specifica: se da un lato gli consente appunto l'uso esclusivo, dall'altro lo individua quale custode della superficie del lastrico o della terrazza, con il conseguente insorgere a suo carico del regime di responsabilità ex art.2051 c.c. Tuttavia, tenuto conto, secondo il giudice di legittimità, della funzione assolta dal lastrico o dalla terrazza, è configurabile anche una concorrente responsabilità del condominio. Quest'ultima ha luogo nel caso in cui l'amministratore ometta di attivare gli obblighi conservativi sulle cose comuni su di lui gravanti ex art. 1130, comma 1, n. 4), c.c., ovvero nel caso in cui l'assemblea non adotti le determinazioni di sua competenza in materia di opere manutenzione straordinaria.
La ripartizione del danno
Secondo la Corte, la responsabilità del condomino custode e del condominio concorrono, salvo risulti provata la prova contraria. Il criterio di riparto previsto dall'art. 1126 c.c. per le spese di riparazione o ricostruzione richiede la necessaria collaborazione del condomino custode e del condominio costituendo un parametro legale rappresentativo di una situazione di fatto, correlata all'uso e alla custodia della cosa, valevole anche ai fini della ripartizione del danno cagionato dalla cosa comune. In conclusione
Il Tribunale di Padova, con la decisione n. 1519 del 3 luglio 2018, ha affermato che, in merito alla configurabilità della responsabilità per danni da cose in custodia, la presenza di un eventuale detentore non esclude i poteri di controllo, di vigilanza e, in genere, di custodia spettanti al proprietario, qualora questi conservi un effettivo potere fisico sul bene, con conseguente obbligo di vigilanza sullo stato di conservazione delle sue strutture. Tale pronuncia rende di solare evidenza il concetto per il quale il titolare del diritto di proprietà sul bene è responsabile, ai sensi dell'art. 2051 c.c., a prescindere dalla eventuale materiale disponibilità aliunde dell'immobile. Sulla scorta di tale indirizzo, per analogia, va affermato che, in relazione ai beni rientranti nella fattispecie del condominio di cui agli artt. 1117 ss. c.c., non sussiste alcun dubbio che sia proprio lo stesso condominio, avente funzioni deliberative ma soprattutto di gestione, a dover essere considerato come custode dei beni. E' bene comunque precisare che l'inquadramento della responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia come responsabilità oggettiva non sia sempre stata pacifica all'interno della giurisprudenza che per molto tempo ha visto contrapporsi due filoni interpretativi: l'uno propendeva, per l'appunto, per una ipotesi di responsabilità oggettiva e l'altro, invece, per la configurabilità di una presunzione di colpa. Ad oggi, si ritiene consolidato l'orientamento, sopra richiamato, in virtù del quale trattandosi di responsabilità oggettiva, sarà sufficiente, per l'applicazione della stessa, la sussistenza del rapporto di custodia tra il responsabile ed il bene che ha determinato l'evento lesivo, a prescindere dalla pericolosità attuale o potenziale dello stesso e senza che rilevi sia la condotta del custode sia l'osservanza o meno di un obbligo di vigilanza, richiedendo l'azione di responsabilità ex art. 2051 c.c. accertamenti e temi di indagine distinti rispetto alla fattispecie di cui all'art. 2043 c.c. Quindi, nel caso del condominio, il soggetto danneggiato potrà ottenere il ristoro del danno subito semplicemente provando il danno, il nesso di causalità tra il danno ed il bene nonché la circostanza che quel bene fosse oggetto di custodia da parte del condominio: dovrà, quindi, provarsi la c.d. condominialità del bene. Riferimenti
Triola, Il nuovo condominio, Torino, 2017, 965; De Cupis, Dei fatti illeciti, Bologna, 1983, 86. |