Eccezioni alla fallibilità: l'impresa agricola

Donatella Perna
24 Novembre 2020

La distinzione tra imprenditore commerciale e imprenditore agricolo ha un'importanza fondamentale, poiché il primo può fallire (se in possesso dei presupposti oggettivi) e può accedere a tutti gli strumenti di risanamento salvo la procedura per sovraindebitamento; il secondo può accedere generalmente solo alla procedura per sovraindebitamento e all'accordo di ristrutturazione.
Premessa

La distinzione tra imprenditore commerciale e imprenditore agricolo ha un'importanza fondamentale, poiché il primo può fallire (se in possesso dei presupposti oggettivi) e può accedere a tutti gli strumenti di risanamento, salvo la procedura per sovraindebitamento; il secondo può accedere generalmente solo alla procedura per sovraindebitamento e all'accordo di ristrutturazione (secondo una tesi diffusa, anche al piano attestato di risanamento), né è obbligato alla tenuta delle scritture contabili.

Il quadro normativo

L'imprenditore commerciale

Ai sensi dell'art. 2082 c.c. è imprenditore commerciale chi esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi:

  • quindi non sono attività imprenditoriali quelle volte al semplice godimento di beni o dirette a soddisfare bisogni propri (come ad es. la costruzione di un appartamento o di una casa a proprio uso o comunque non destinata alla vendita);
  • esiste un'organizzazione che al suo livello minimo può essere costituita da un insieme di beni o macchinari e da più persone coordinate nello svolgimento di un determinato compito;
  • l'attività è esercitata con professionalità in via esclusiva o prevalente. Non è richiesta una continuità, per cui essa sussiste anche in caso di attività stagionale.

Normalmente l'attività ha un fine di lucro.

Inoltre, non sono sufficienti a far acquisire la qualità di imprenditore l'iscrizione presso la camera di commercio o presso il registro ditte o l'apertura della partita iva, come anche l'esistenza di autorizzazioni o concessioni amministrative, i quali possono costituire fatti meramente indiziari.

L'art. 2195 c.c. qualifica come commerciale l'organizzazione volta all'esercizio delle seguenti attività:

1) un'attività industriale diretta alla produzione di beni o di servizi (ad es. industrie metallurgiche, tessili, minerarie, editrici, alberghiere, cinematografiche); l'attività di servizi ha carattere commerciale quando è sistematica e continua, anche in presenza di una rudimentale e limitata predisposizione di mezzi materiali, specie nel caso essa sia incentrata su di una persona);

2) un'attività intermediaria nella circolazione dei beni (ad es. un'attività commerciale all'ingrosso);

3) un'attività di trasporto per terra, per acqua o per aria, di persone o cose;

4) un'attività bancaria o assicurativa;

5) altre attività ausiliarie delle precedenti (ad es. la spedizione).

Tale elencazione non si considera tassativa per cui dovrebbero considerarsi commerciali, in negativo e in via residuale, tutti gli imprenditori che non esercitano un'attività agricola (Campobasso).

L'imprenditore agricolo

L'originaria configurazione dell'imprenditore agricolo è stata significativamente modificata con l'entrata in vigore del D. Lgs. n. 228/2001, come risultante dal nuovo testo dell'art. 2195 c.c. a tenore del quale: “È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse.

Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o marine.

Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali, nonché le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l'utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell'attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge”.

Con l'attuale formulazione dell'art. 2135 c.c. non è dubbio che l'imprenditore agricolo si ricolleghi alla definizione di imprenditore di cui all'art. 2082 c.c.. Ad una lettura congiunta dei due articoli, si rileva che è imprenditore agricolo colui che esercita professionalmente e mediante un'organizzazione una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse, al fine della produzione per il mercato.

Queste tre specifiche attività sono poste sullo stesso piano e lo svolgimento di una sola di esse costituisce l'oggetto di un'impresa agricola e qualifica imprenditore agricolo il relativo operatore economico.

Il novellato art. 2135 c.c. si articola in tre commi (nella precedente versione l'articolo era composto di due commi), il primo dei quali sostanzialmente ripetitivo della vecchia versione (salva la sostituzione del richiamo all'allevamento di animali, anziché all'allevamento del bestiame), il secondo contenente l'indicazione di quando le attività sono da intendere come agrarie, il terzo con la specificazione di quelle connesse a queste ultime.

Le modifiche normative di maggior rilievo sono due, e segnatamente quella contenuta nel comma 1, avente ad oggetto la sostituzione della parola bestiame con la parola animali, cui si è fatto cenno, e quella relativa alla qualità agricola riconosciuta alle attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o ad una fase necessaria di esso, indicazione richiamata nel comma 2 dell'articolo in questione, con l'intento di includervi attività che non richiedono un collegamento necessario fra la produzione e l'utilizzazione del fondo.

Inoltre, l'espressione “utilizzano o possono utilizzare il fondo” chiarisce che il possesso del fondo non è più elemento indispensabile per l'attività dell'imprenditore. Ciò in linea con il processo evolutivo dell'impresa agricola che attraverso il progresso tecnologico è in grado di ottenere prodotti merceologicamente agricoli, con metodi che prescindono dallo sfruttamento della terra.

Le attività agricole di cui all'art. 2135 c.c.

La coltivazione del fondo

La più frequente delle attività agricole è la coltivazione del fondo, da considerare non più come lavoro che si svolge nel campo aperto, poiché ciò escluderebbe attività quali le coltivazioni in serra o la funghicultura, ma ormai come “coltivazione di piante”, o meglio cura e sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo biologico delle piante, non necessariamente per intero e a prescindere dal fatto che insistano su un fondo.

Quindi, costituiscono attività agricola anche la serricoltura, la funghicoltura, la vivaistica, la produzione di fiori, di semi, di radici, nelle quali vi è un collegamento solo virtuale o potenziale con il terreno, ma anche la realizzazione di vegetali destinati a produrre biogas, carburante ed energia elettrica.

Infatti, l'espressione “una fase necessaria del ciclo biologico vegetale e animale” va intesa nel senso di una tappa di apprezzabile durata (che può prescindere dall'utilizzo di un fondo), onde evitare che importatori di animali, mercanti di piante e di fiori recisi, conservatori di frutta non ancora perfettamente matura siano definiti agricoltori (Germanò).

Per questi motivi è da escludere invece come attività agricola la mera raccolta di funghi, poiché non si è in presenza della cura di un ciclo biologico.

La selvicoltura

E' l'attività economica diretta a ricavare dal bosco il legname mediante tagli periodici delle relative piante, attraverso i vari cicli di riproduzione.

Il bosco però non dà solo legname, ma “produce ambiente”, garantendo la saldezza del suolo, la purezza dell'aria, la conformazione del paesaggio.

Infatti, il D. Lgs. n. 227/2001 ha inquadrato la coltura boschiva nella prospettiva di un'agricoltura di protezione, in un'ottica sia imprenditoriale sia di salvaguardia idrogeologica del territorio ed ambientale, prevedendo ad esempio l'osservanza di regole tecniche affinché l'albero non perda la sua capacità di produrre nuovamente.

Dalla selvicoltura va tenuta distinta l'arboricoltura da legno, che è la coltivazione di alberi in terreni non boschivi finalizzata esclusivamente alla produzione di legno e di biomassa: non è quindi una forma di utilizzo del bosco, si può piuttosto ritenerla una forma di coltivazione di vegetali.

Tra le attività connesse alla selvicoltura si annoverano quelle di pura trasformazione del legname (come lo scortecciamento ed il taglio), il relativo immagazzinamento e la stagionatura.

L'allevamento di animali

L'originaria formulazione dell'art. 2135 c.c. faceva riferimento al vocabolo “bestiame”, interpretato restrittivamente dalla giurisprudenza di legittimità, che aveva reiteratamente affermato la necessità di un collegamento dell'allevamento con il fondo, al fine della qualificazione agraria dell'attività svolta (Cass. n. 8849/2005; n. 10527/1998; n. 8078/1994; n. 11648/1993; n. 1571/1985), anche perché gli animali erano massicciamente utilizzati nei campi.

Inoltre, la norma era stata elaborata nel periodo in cui si enumeravano tra il bestiame i soli bovini, equini, ovini, etc., con esclusione di altri tipi di allevamento, come quello, ad esempio, dei volatili in generale, mentre negli ultimi anni si è assistito ad una meccanizzazione delle attività agricole in funzione sostitutiva dell'utilizzo di animali.

Per allevamento s'intende la cura di almeno una fase biologica di un animale, che comporta nella più tradizionale situazione la nascita e la crescita nonché la riproduzione dello stesso, ma non necessariamente tutte e tre le fasi. L'importante è che l'imprenditore ne compia almeno una.

Non sarà imprenditore agricolo pertanto chi alimenta gli animali nell'immediatezza della macellazione, o chi li importa, nutrendoli per breve tempo, al solo scopo di rivenderli.

Inoltre, ci si è posti il problema di che genere di animali dovrebbero essere compresi nell'allevamento dell'imprenditore agricolo, ovvero se tutti o solo una parte. Il D. Lgs. n. 228/2001 ha risolto tale problema, prevedendo che sono agricole le attività sì dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico di carattere animale, ma che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco, le acque dolci, salmastre o marine. Ne deriva l'esclusione dall'impresa di allevamento agricolo delle attività di allevamento di animali carnivori, come gatti, visoni, volpi, nonché quelle di allevamento di scimmie, serpenti e altri animali non rientranti, anche secondo una ricostruzione sociologica dell'ambiente agrario, nell'idea di agricoltura.

Quindi, la sostituzione del termine “bestiame” per adottare quello di “animali” ha determinato un considerevole ampliamento delle ipotesi rientranti nell'ambito di applicazione dello statuto agrario, ricomprendendovi anche tipologie di allevamento che prescindono dalla presenza o meno di un fondo.

Ne consegue che, oltre ai tradizionali allevamenti connessi ad un fondo (allevamenti da carne, da lavoro, da latte e da lana) sono da considerare attività imprenditoriale agricola tutta una serie di allevamenti quali l'avicoltura, la cunicoltura, la bachicoltura, l'apicoltura, etc, anche se non necessariamente correlate alla titolarità di un fondo da parte dell'imprenditore.

Anche l'imprenditore ittico è stato equiparato all'imprenditore agricolo (l'art. 38 del Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea ha compreso tra i prodotti agricoli, accanto a quelli del suolo e dell'allevamento, quelli della pesca, per cui l'ordinamento italiano con il D. Lgs. n. 226/2001 si è adeguato alla normativa comunitaria e con la L. n. 4/2012 ha disciplinato l'attività economica organizzata dell'imprenditore ittico).

L'apicoltura è disciplinata dalla L. n. 313/2004, la quale dispone che “la conduzione zootecnica delle api, denominata apicoltura, è considerata a tutti gli effetti attività agricola ai sensi dell'art. 2135 c.c., anche se non correlata necessariamente alla gestione del terreno”.

E' stato inoltre introdotto l'art. 896 bis c.c. sulle distanze minime per gli apiari.

Le attività connesse

La connessione indica lo stretto collegamento che deve esistere non tra due attività poste sullo stesso piano, ma tra attività che si distinguono per essere, una la principale, l'altra la secondaria, accessoria e collaterale: cioè il legame tra le attività avviene perché quella collaterale interferisce nel processo tecnico-economico dell'attività principale. In altre parole, l'attività connessa deve “servire” allo svolgimento dell'attività agricola principale o nel momento della produzione o nel momento dell'esercizio o nel momento dell'utilizzazione dei prodotti, servendo ad integrare il reddito dell'attività agricola principale.

Quindi, dal comma 3 dell'art. 2135 c.c. si ricava:

  • il principio dell'unisoggettività: occorre che sia lo stesso soggetto a svolgere l'attività principale e quella connessa perché possa parlarsi giuridicamente di connessione (cd. criterio soggettivo di connessione);
  • il principio dell'uniaziendalità: l'attività collaterale dev'essere inserita all'interno dell'organizzazione creata per lo svolgimento dell'attività principale, delle cui attrezzature l'imprenditore si avvale per l'esercizio dell'attività collaterale. E' necessario cioè che le attrezzature aziendali adoperate nell'attività connessa non solo non siano prevalenti, ma soprattutto devono essere quelle che normalmente vengono impiegate nella stessa attività agricola esercitata dallo specifico imprenditore. Ciò fa sì che si abbia un'unica impresa;
  • l'uso dell'avverbio “comunque”, oltre a segnalare che l'elenco delle attività indicate dal comma 3 dell'art. 2135 c.c. è puramente esemplificativo, ha un importante rilievo probatorio in quanto l'attività si ritiene “comunque connessa salvo la prova contraria”, che graverà dunque su chi intenda contestare la connessione
  • il criterio oggettivo di connessione, rappresentato dalla prevalenza, e più precisamente dalla necessità che l'attività accessoria riguardi prodotti prevalentemente provenienti dall'attività principale.

Il comma 3 dell'art. 2135 c.c. individua le attività connesse nominate o tipiche, che sono la manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione, valorizzazione dei prodotti ottenuti dalla coltivazione del fondo e dall'allevamento degli animali (ad es. è considerata attività connessa tipica l'attività agromeccanica disciplinata dal D. Lgs. n. 99/2004); ma vi sono anche attività connesse innominate o atipiche, per le quali è comunque richiesta l'identità soggettiva tra chi compie almeno una delle tre attività principali e l'attività connessa, nonché l'identità oggettiva per cui l'attività connessa deve riguardare l'azienda agricola condotta dall'imprenditore agricolo (ad es., sono considerate attività connesse atipiche le attività preparatorie a quella agricola quali spianamenti di terreni o escavo di fossi).

L'agriturismo è un'attività agricola per connessione, regolata dalla L. n. 96/2006.

Essa si qualifica agricola a condizione che sia complementare rispetto all'attività di coltivazione del fondo, di selvicoltura e di allevamento di animali, che deve comunque rimanere prevalente, e resta tale anche se vengono edificate modeste costruzioni finalizzate all'ospitalità. L'attività agricola prevale anche quando per l'attività di agriturismo sono utilizzate attrezzature ed altre risorse (sia tecniche che umane) dell'azienda che sono normalmente impiegate nell'attività agricola.

Inoltre, il comma 423 dell'art. 1 della Finanziaria 2006 ha stabilito che “la produzione e la cessione di energia elettrica e calorica da fonti rinnovabili agroforestali e fotovoltaiche effettuate dagli imprenditori agricoli costituiscono attività connesse ai sensi dell'art. 2135, terzo comma, c.c. e si considerano produttive di reddito agrario”.

Scelta della forma societaria

Da quanto esposto, emerge l'intento del legislatore di superare una nozione “fondiaria” dell'agricoltura, basata esclusivamente sulla centralità dell'elemento terriero, con una che viceversa, mediante il richiamo alle attività dirette alla cura e allo sviluppo di un ciclo biologico, contempla un collegamento anche soltanto virtuale o potenziale con il terreno.

Si è assistito, quindi, ad un ampliamento della nozione di imprenditore agricolo, che ha legittimato riserve in ordine all'affermata assoggettabilità al fallimento del solo imprenditore commerciale.

Infatti, nonostante l'imprenditore agricolo possa avvalersi di ingenti dotazioni tecnologiche e di cospicui investimenti di capitali, che lo avvicinano all'imprenditore commerciale, la sua infallibilità, inizialmente motivata da ragioni storiche e climatiche, non è stata oggetto di modifica neppure con il varo del nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, ragion per cui l'imprenditore agricolo rimarrà, anche successivamente al 1° settembre 2021 (data della sua entrata in vigore, così come modificata dall'art. 5 del d.l. 23/2020 cd. “Decreto Liquidità”), un soggetto non fallibile, ma assoggettabile alla procedura di allerta e di composizione assistita della crisi, di composizione della crisi da sovraindebitamento, al concordato minore.

In realtà, è stata rilevata la non consonanza dell'infallibilità dell'imprenditore agricolo con la normativa comunitaria, atteso che il Regolamento CE 1346/2000 dettato in materia di procedure d'insolvenza prevede l'applicazione della disciplina “concorsuale” chiunque sia il debitore, persona fisica o giuridica, commerciante o non commerciante.

Non è neppure mancata in giurisprudenza la voce che ha dichiarato rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità dell'art. 1 l. fall., per violazione dell'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui non includa gli imprenditori agricoli alla soggezione delle disposizioni sul fallimento e concordato preventivo: la Corte Costituzionale con sentenza del 20 aprile 2012 n. 104 ha rigettato la questione di legittimità costituzionale, consentendo il fallimento dei soli imprenditori commerciali.

In ogni caso, l'ampliamento della nozione di imprenditore agricolo operata dal D. Lgs. n. 228/2001 ha reso più sfumati i contorni con la figura dell'imprenditore commerciale, soprattutto nel caso in cui l'impresa venga svolta in forma societaria.

A tale ultimo riguardo, secondo quanto disposto dall'art. 2249 c.c., le società che hanno per oggetto l'esercizio di un'attività agricola, sono regolate dalle disposizioni relative alla società semplice, che per legge può esercitare solo attività non commerciale ed è quindi in linea di principio esclusa dal fallimento e dalle altre procedure concorsuali, sempre che essa non eserciti di fatto un'impresa commerciale.

Rimane salvo il caso in cui i soci abbiano voluto costituire la società ad oggetto agricolo secondo gli altri tipi previsti dal codice ed utilizzati anche per le società commerciali, con l'unica distinzione della necessaria ed espressa indicazione nella denominazione sociale che si tratta di società agricola (art. 2 comma 1 D. Lgs. 99/2004).

Quindi può trattarsi di:

  • una società di persone (s.s., s.n.c., s.a.s.): in caso di crisi di una società agricola di persone (sia una s.n.c. o una s.a.s.), essa può accedere sia all'accordo di ristrutturazione dei debiti sia alle procedure in caso di crisi da sovraindebitamento (secondo alcuni anche al piano attestato di risanamento), sempre che il loro oggetto sociale sia un'attività di natura agricola e tale attività sia effettivamente esercitata
  • una società di capitali (s.p.a., s.a.p.a., s.r.l.): una società di capitali con oggetto agricolo è soggetta a fallimento, a condizione che si riesca a provare la natura commerciale dell'attività in concreto svolta e cioè che l'attività sociale, oltre a soddisfare esigenze connesse alla produzione agricola, ha scopi commerciali o industriali e realizza attività del tutto indipendenti dall'impresa agricola o, comunque, prevalenti rispetto ad essa. In ogni caso, la natura commerciale deve essere rilevata in concreto rispetto all'oggetto sociale;
  • società cooperative agricole, regolate dagli artt. 2511 e ss. c.c.: la cooperativa con oggetto sociale non commerciale non fallisce a meno che si provi che, in concreto, esercita un'attività commerciale con fini speculativi. In tal caso, fallisce indipendentemente dal fatto che tale attività rientri o meno nell'oggetto sociale (Cass. SU 12 marzo 1986 n. 1665, Cass. SU 24 febbraio 1986 n. 1104).

Negli stessi casi in cui la cooperativa è soggetta a fallimento, essa può accedere anche alla procedura di concordato preventivo e agli altri strumenti di risanamento quali l'accordo di ristrutturazione o il piano attestato di risanamento.

Quando invece è esclusa dal fallimento può accedere alle procedure per la crisi da sovraindebitamento riservate ai soggetti che non possono fallire (secondo una tesi anche al piano attestato);

  • impresa familiare coltivatrice, disciplinata dagli artt. 230 bis c.c. e 48 della L. 203/1982, in cui partecipano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo, al fine avere un organismo collettivo finalizzato all'esercizio in comune di un'impresa agricola. Merita in particolare la responsabilità esterna, prevista per tutti gli appartenenti della famiglia, un esame di comparazione con le regole della società semplice (cui l'impresa familiare coltivatrice è fortemente ispirata) perfettamente analogiche, laddove i soci sono tutti responsabili per decisioni ed obbligazioni esterne assunte disgiuntamente, purché non prese in netto contrasto con decisioni prese a maggioranza, in tal caso la responsabilità è del singolo socio che ha agito in contrasto con la decisione della maggioranza.
L'oggetto sociale agricolo: condizione necessaria ma non sufficiente

Al riguardo si segnalano due tesi: una formale, che fa prevalere la forma sulla sostanza ed una sostanziale, che fa prevalere la sostanza sulla forma.

La tesi formale tradizionale voleva che le società che avessero come oggetto sociale esclusivo l'esercizio di un'attività agricola, così come indicata dall'art. 2135 c.c., acquistassero sempre la qualifica di imprenditore agricolo, sottraendosi per ciò solo alle procedure concorsuali: la sola qualificazione astratta si rivelava sufficiente a determinare la natura agricola dell'impresa senza alcuna verifica dell'attività concreta. Questa impostazione incideva sulla difesa delle società agricole in giudizio, nel senso che alla richiesta di fallimento era sufficiente opporre la circostanza che la società avesse un oggetto sociale esclusivamente agricolo.

Tuttavia, secondo la giurisprudenza più recente, premesso che la mera iscrizione di un'impresa nel Registro delle Imprese in qualità di soggetto esercente attività agricola ai sensi dell'art. 2135 c.c., di per sé non rappresenta uno schermo sufficiente contro la fallibilità, “solamente l'indagine dell'attività effettivamente svolta dall'imprenditore può rivelarne la eventuale natura agricola e, di conseguenza, la assoggettabilità o meno al fallimento. La mera indicazione dell'oggetto sociale di un'attività imprenditoriale non può, infatti, essere indice univoco della natura giuridica dell'impresa, poiché è la concreta attività svolta che la qualifica, non la potenziale attività indicata sul piano meramente lessicale” (Trib. Rovigo, decreto 20/11/2014; Trib. Udine, 21/09/2012; Appello L'Aquila 30/05/2011; Cass. n. 24495/2010).

Quindi, secondo tale orientamento sostanziale, qualora l'impresa svolga concretamente un'attività di tipo commerciale essa sarà esposta ad una dichiarazione di fallimento anche nel caso abbia un oggetto sociale di tipo esclusivamente agricolo.

Questo ragionamento va poi raccordato con un'altra ipotesi elaborata dalla giurisprudenza, in cui invece la forma prevale sulla sostanza: infatti, nei casi in cui l'impresa agricola presenti un oggetto non esclusivamente riconducibile all'agrarietà ex art. 2135 c.c., ma abbia nel suo oggetto anche attività propriamente industriali, commerciali, finanziarie rientranti nell'art. 2195 c.c., per la giurisprudenza di legittimità e di merito, l'impresa in questo caso si esporrà solo per tale dato formale a una dichiarazione di fallimento, perché per costante giurisprudenza, la società acquista la natura di impresa commerciale nel momento stesso in cui si costituisce e non dall'inizio dell'attività d'impresa.

Per cui si potrà dichiarare il fallimento di una società agricola che abbia nel suo oggetto un'attività di tipo commerciale ex art. 2195 c.c. indipendentemente dal fatto che abbia realmente esercitato tale attività (ex multis, Cass. n. 8694/2001; n. 8849/2005; Trib. Mantova 17/11/2005; Trib. Mantova 30/08/2007).

Per evitare tale inconveniente della prevalenza del dato formale in caso di previsione di un oggetto commerciale, è necessario che le imprese agricole e i professionisti che le assistono siano attenti nel redigere un oggetto sociale “totalmente agricolo”, cioè totalmente rientrante nell'art. 2135 c.c. al fine di evitare una dichiarazione di fallimento basata esclusivamente sul dato formale dell'oggetto sociale (commerciale); tuttavia, in ossequio alla tesi sostanziale sopra vista sull'attività in concreto esercitata per la qualificazione agricola dell'impresa, al dato formale dovrà accompagnarsi il dato sostanziale dello svolgimento di una attività consistente nella cura e nello sviluppo di un ciclo biologico di un prodotto vivente o di una sua fase.

Ciò in quanto l'agrarietà si fonda sul prodotto vivente concreto e si qualifica per il fatto che l'attività umana interagisce con un processo vitale il cui esito dà vita ad un prodotto vivente, sia esso di carattere animale o vegetale.

Lo svolgimento effettivo e diretto da parte dell'imprenditore dell'attività di cura del ciclo biologico vegetale o animale, infatti, costituisce il presupposto indispensabile dell'esenzione dal fallimento (Appello Bologna 22/04/2011; Trib. Udine 21/09/2012; Trib. Rovigo 20/11/2014), indipendentemente dalle modalità organizzative e dalle dimensioni dell'impresa agricola che, come visto, può essere costituita anche in forma di società commerciale “dovendosi avere riguardo unicamente alla natura dell'attività esercitata, quale che sia la complessità organizzativa assunta dall'azienda, sia perché ciò è consentito dall' art. 2249, comma 2. C.c. sia perché le norme dettate dal codice civile agli artt. 2082 e ss. disciplinano in generale l'attività d'impresa che può avere natura agricola o commerciale ed essere esercitata in forma individuale o collettiva”.

Quindi, secondo l'interpretazione maggioritaria, se di fatto è esercitata un'attività commerciale non solo contemporaneamente ma anche in misura prevalente o in via del tutto indipendente rispetto all'attività agricola, facendo venire meno qualsiasi collegamento, anche potenziale con il fattore terra, allora si sarà soggetti alla dichiarazione di fallimento in caso di insolvenza.

Si pensi al caso in cui, nell'ambito dell'istruttoria prefallimentare emerga che i debiti di natura commerciale siano molto superiori ai debiti derivanti da attività agricole di cui all'art. 2135 c.c., in questo caso, indipendentemente dalle indicazioni dell'oggetto sociale, ci troveremmo di fronte ad un'attività commerciale e quindi l'impresa sarà soggetta a una dichiarazione di fallimento in caso d'insolvenza (Cass. n. 12215/2012).

Inoltre, l'imprenditore agricolo può fallire se è contemporaneamente titolare di una diversa impresa commerciale, non rilevando a quale branca dell'attività sia legato lo stato d'insolvenza, data l'unità patrimoniale della persona fisica e dato che a fallire è l'imprenditore e non l'impresa.

A ciò si aggiunga che, nel momento in cui l'impresa non si limiti a svolgere attività agricole ex se ma siano esercitate anche attività connesse per le quali è richiesto sempre il rispetto del parametro della prevalenza, il giudice dovrà verificare la ricorrenza di tali parametri.

Sul punto giova evidenziare che l'attività connessa nasce come attività commerciale e che solamente al rispetto di determinati parametri richiesti, tra cui quello della prevalenza, per fictio iuris assume la natura di attività connessa agricola.

Quindi, la connessione tutte le volte dovrà essere verificata in ragione dei prodotti oggetto dell'attività in presenza di attività connessa cd. di prodotto o dei mezzi, e delle risorse umane utilizzati nel caso di attività connesse cd. di azienda.

Infatti, altra ipotesi di rischio fallibilità si ha nel caso in cui i prodotti commercializzati non abbiano le caratteristiche di omogeneità rispetto ai propri prodotti e quindi non abbiano una funzione integrativa. In tal caso la vendita potrebbe essere valutata come attività indipendente dall'attività agricola e quindi rientrante nell'art. 2195 c.c. come attività commerciale.

A questi principi, la recente sentenza n. 5342/2019 ne aggiunge un altro, affermando che “una volta accertato in sede di merito l'esercizio in concreto di attività commerciale, in misura prevalente sull'attività agricola contemplata in via esclusiva dall'oggetto sociale di un'impresa agricola costituita in forma societaria, questa resta assoggettabile a fallimento nonostante la sopravvenuta cessazione dell'esercizio di detta attività commerciale prevalente al momento del deposito di una domanda di fallimento a suo carico”.

Per altro verso, se la società commerciale che ha ad oggetto l'esercizio di un'attività agricola cessa tale attività, ma non svolge in concreto alcuna attività imprenditoriale, non può essere dichiarata fallita (Cass. n. 17397/2015).

Oneri probatori

La parte che insti per il fallimento di un soggetto deve allegare e dimostrare la sussistenza dei presupposti oggettivi e soggettivi idonei, in astratto, a dimostrarne l'assoggettabilità alla procedura concorsuale: e cioè, la qualità di imprenditore e l'incapacità a soddisfare i debiti, ammontanti alla misura minima di legge, con mezzi ordinari di pagamento.

All'esito, resta invece a carico del debitore l'onere della prova di eventuali circostanze esimenti, quali la carenza dei requisiti dimensionali (L. Fall., art. 1), o l'esistenza di uno status imprenditoriale speciale che lo sottragga al fallimento.

Infatti, come affermato sempre dalla Cassazione con la sentenza n. 16614/2016 “l'esenzione dell'imprenditore agricolo dal fallimento viene meno ove non sussista, di fatto, il collegamento funzionale della sua attività con la terra, intesa come fattore produttivo, o quando le attività connesse di cui all'articolo 2135, terzo comma, cod. civ.,assumano rilievo decisamente prevalente, sproporzionato rispetto a quelle di coltivazione, allevamento e silvicoltura, gravando su chi invochi l'esenzione, sotto il profilo della connessione tra la svolta attività di trasformazione e la commercializzazione dei prodotti ortofrutticoli e quella tipica di coltivazione ex articolo 2135, primo comma, il corrispondente onere probatorio(in senso conforme anche le sentenze n. 24995/2010 e n. 23158/2018).

L'apprezzamento concreto della ricorrenza dei requisiti di connessione tra attività commerciali ed agricole e della prevalenza di queste ultime, da condurre alla luce dell'art. 2135 c.c., comma 3, è rimesso al giudice di merito, restando insindacabile in sede di legittimità, se sorretto da motivazione adeguata, immune da vizi logici.

Per compiere tale giudizio si deve far riferimento al codice civile e alla legge fallimentare e non a norme di settore (quali quelle fiscali o contributive) né a regolamenti comunitari o leggi speciali (Cass. n. 10527/1998; n. 18/1989), né si può fare riferimento ai criteri di fallibilità di cui all'art. 1 comma 2 l.f. in quanto questi operano una distinzione all'interno della categoria degli imprenditori commerciali (App. Brescia 12/08/2016).

Quindi, il problema del riparto dell'onere della prova si risolve, in ultima analisi, sulla base della consueta distinzione tra fatti costitutivi – a carico della parte istante per il fallimento – ed impeditivi, consistenti nella dimostrazione dell'esistenza della connessione tra attività commerciali ed attività agricole e della prevalenza di quest'ultime nonché, con riferimento alle attività connesse, dell'esistenza dell'attività collaterale connessa con l'attività agricola principale e dalla sua non prevalenza.

Tale criterio distributivo in parte è previsto dalla stessa legge, per quanto concerne i requisiti dimensionali che delimitano la “no failure zone” (L. Fall., art. 1, comma 2); in parte, dev'essere enucleato nel rispetto del canone della prossimità della prova, che identifica, nella specie, nell'imprenditore la parte onerata della dimostrazione di fatti o qualità esimenti a lui propri: a pena, in caso contrario, di imposizione di una probatio diabolica, inesigibile dal creditore, impossibilitato ad accedere ad informazioni interne allo svolgimento della vita aziendale (cfr. Cass., sez. 6, 31 maggio 2011 n. 12023; Cass., sez. 1,20 agosto 2004, n. 16356, in tema di eccezione di esenzione da fallimento di impresa artigiana, secondo la previgente disciplina).

E' bene chiarire, peraltro, che l'allegazione della natura agricola non integra un'eccezione in senso stretto; cosicché al giudice competono pur sempre poteri istruttori officiosi, con ruolo di supplenza, anche in grado d'appello, giustificati dagli interessi di natura pubblicistica sottesi alla dichiarazione di fallimento (Cass., sez. 1, 18 novembre 2011 n.24310; Cass., sez. 1, 17 marzo 1997, n. 2323).

Ma resta il fatto che, in assenza di prova della causa esimente, soccombe il soggetto che appaia rientrare, secondo i dati acquisiti nell'istruttoria prefallimentare, nel novero degli imprenditori commerciali.

Le società agricole con qualifica IAP

La figura dell'imprenditore agricolo non necessariamente coincide con quella del proprietario del fondo. Deve essere infatti considerato imprenditore agricolo non solo il proprietario che esercita l'attività agricola, ma anche chi la esercita su un fondo altrui.

I coltivatori diretti (CD) sono piccoli imprenditori che si dedicano direttamente e abitualmente alla coltivazione manuale dei fondi, all'allevamento e alle attività connesse. Possono essere proprietari, affittuari, usufruttuari, enfiteuti (ovvero coloro cui spetta il godimento di un bene che però non gli appartiene).

L'imprenditore agricolo professionale (IAP) è una figura recentemente introdotta in sostituzione della figura dell'imprenditore agricolo a titolo principale (IATP). È imprenditore agricolo professionale chi sia in possesso di conoscenze e competenze professionali specifiche per il settore e dedichi alle attività agricole, direttamente o come socio all'interno di una società, almeno il 50% del proprio tempo di lavoro complessivo, ricavandone almeno il 50% del proprio reddito globale da lavoro. Parametri, questi, ridotti al 25% per chi si trovi ad operare in aree svantaggiate.

All'imprenditore agricolo professionale, iscritto nella competente sezione previdenziale e assistenziale, sono riconosciute le agevolazioni tributarie già previste per le persone fisiche con qualifica di coltivatore diretto.

Dopo l'entrata in vigore del D. Lgs. n. 101/2005, la qualifica di imprenditore agricolo professionale (IAP) può essere estesa anche alle società agricole alle seguenti condizioni:

  • L'oggetto sociale della società (di persone, cooperative e di capitali, anche a scopo consortile), deve prevedere l'esercizio esclusivo delle attività agricole previste dall'art. 2135 c.c.;
  • la ragione sociale deve riportare l'indicazione di società agricola;
  • nelle società di persone, almeno un socio deve essere in possesso della qualifica di IAP (per le s.a.s. la qualifica si riferisce ai soci accomandatari);
  • nelle società cooperative, almeno uno degli amministratori che sia anche socio dev'essere in possesso della qualifica di IAP;
  • nelle società di capitali, almeno un amministratore in possesso della qualifica di IAP.

La qualifica di imprenditore agricolo professionale può essere apportata da parte dell'amministratore a una sola società; nessun limite alla partecipazione come socio di altre società di persone.

In conclusione

La natura concreta dell'attività esercitata e il principio della connessione potenziale sono in ultima analisi i criteri principali per distinguere e separare lo spazio giuridico tra attività agricola e attività commerciale. Solamente l'indagine sull'attività concretamente svolta potrà quindi individuare la natura agricola o commerciale dell'impresa e quindi la sua assoggettabilità a fallimento indipendentemente dalle indicazioni formali dell'oggetto sociale.

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