Il punto sulla mancata risposta all'interrogatorio formale

24 Novembre 2020

Nella prassi è ricorrente l'applicazione dell'art. 232 c.p.c. il quale consente al giudice, ove la parte non fornisca risposta o non si presenti all'udienza, senza giustificato motivo, per rendere il dedotto interrogatorio, di ritenere ammessi i fatti oggetto dell'interrogatorio.
Premessa

L'interrogatorio formale è lo strumento istruttorio mediante il quale, nell'ambito del processo civile, una parte può provocare in corso di causa la confessione giudiziale dell'altra.

Per tale ragione, l'interrogatorio ha ad oggetto fatti formulati in senso sfavorevole alla parte alla quale è deferito, in quanto la confessione è, come noto, la dichiarazione che la parte fa in ordine alla sussistenza di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli all'altra parte (art. 2730, comma 1, c.c.).

Proprio in ragione di tale connotazione, la peculiare efficacia probatoria della confessione si correla, alla regola di esperienza in forza della quale se un soggetto dichiara fatti a sé sfavorevoli, con ogni probabilità afferma il vero.

Se nella prassi è piuttosto raro che la parte alla quale è deferito l'interrogatorio formale si presenti all'udienza dichiarando fatti a sé sfavorevoli, i.e. confermando la verità dei fatti dedotti dalla controparte, è invece ricorrente l'applicazione dell'art. 232 c.p.c. il quale consente al giudice, ove la parte non fornisca risposta o non si presenti all'udienza, senza giustificato motivo, per rendere il dedotto interrogatorio, di ritenere ammessi i fatti oggetto dell'interrogatorio.

L'omessa risposta all'interrogatorio formale

Come appena evidenziato, l'art. 232 c.p.c. stabilisce che la possibilità per il giudice di ritenere ammessi dalla parte cui è deferito l'interrogatorio i fatti dedotti mediante lo stesso si correla, in primo luogo, alla mancata risposta agli stessi.

In sostanza, la parte si presenta in udienza e rispetto ad uno o più fatti dedotti si rifiuta di rispondere.

A riguardo, consentendo così alla norma di avere un più ampio spazio operativo, la S.C. ha tuttavia precisato che la norma dell'art. 232 c.p.c. è applicabile anche nell'ipotesi di dichiarazioni che, per il loro contenuto reticente o evasivo, possono essere equiparate alla mancata risposta (Cass. civ., 31 marzo 2010, n. 7783, in Giust. Civ., 2010, I, 1643).

In sede applicativa è stato evidenziato che, qualora sia stato deferito all'opponente a decreto ingiuntivo interrogatorio formale in ordine alla differente imputazione dell'adempimento delle cambiali in possesso dell'opponente rispetto ai crediti vantati in sede monitoria, nell'ipotesi di mancata risposta dell'opponente medesimo su una tale specifica circostanza, la stessa deve ritenersi ammessa alla luce di quanto previsto dall'art. 232 c.p.c. (Trib. Napoli 6 dicembre 2006, in Giur. Merito, 2007, n. 7-8, 1961).

L'ingiustificata assenza all'udienza fissata per l'espletamento dell'interrogatorio formale

L'art. 232 c.p.c. – con la correlata possibilità per il giudice di ritenere ammessi dalla parte i fatti sfavorevoli alla stessa oggetto del deferito interrogatorio – trova applicazione anche nell'ipotesi nella quale la parte non si presenti, senza giustificato motivo, all'udienza fissata per l'espletamento di tale mezzo istruttorio.

A tal fine è necessario che alla parte, ove contumace, sia personalmente notificata l'ordinanza ammissiva dell'interrogatorio entro il termine ivi indicato (sul punto cfr., da ultimo, Trib. Tivoli, sez. lav., 30 novembre 2019, n. 935, in dejure.giuffre.it). È stato chiarito, sulla questione, che il principio secondo cui il provvedimento di rinvio d'ufficio di un'udienza istruttoria non deve essere notificato alla parte contumace, non prevedendolo l'art. 292 c.p.c. nè l'art. 82, comma 3, disp. att. c.p.c., trova applicazione anche quando oggetto di tale rinvio sia l'udienza fissata per l'espletamento dell'interrogatorio formale dello stesso contumace; pertanto, qualora la controparte abbia ritualmente provveduto alla notificazione dell'ordinanza ammissiva dell'interrogatorio, il giudice può valutare, ai sensi dell'art. 232 c.p.c., la mancata presentazione alla nuova udienza del contumace il quale ha gli elementi per venire a conoscere la relativa data (Cass. civ., 27 aprile 2018 n. 10157).

Sotto un distinto profilo, in giurisprudenza è stata ad esempio ritenuta valida giustificazione per la mancata presentazione della parte a rendere il deferito interrogatorio formale la circostanza che la stessa avesse la propria residenza negli Stati Uniti (App. Milano, sez. III, 9 giugno 2006 n. 1444, in Giustizia a Milano, 2006, n. 7, 55).

Nella giurisprudenza di merito, in applicazione dei generali principi in tema di interpretazione del disposto dell'art. 232 c.p.c., è stato, tra l'altro, affermato che:

in caso di opposizione a decreto ingiuntivo, la mancata comparizione in udienza dell'istante, per rendere interrogatorio formale proprio sulla circostanza contestata avente ad oggetto l'avvenuto pagamento di un debito, configura una ficta confessio, cioè a dire il riconoscimento dell'avvenuto pagamento, con la conseguenza che l'estinzione satisfattiva del diritto azionato e la cessazione sul punto della materia del contendere, implicano la revoca del decreto ingiuntivo opposto (Trib. Nola, sez. II, 26 aprile 2007);

in tema di accertamento dell'obbligo del terzo, qualora quest'ultimo si sottragga all'interrogatorio formale ammesso e ritualmente notificatogli con l'indicazione dell'udienza ove lo stesso doveva essere reso, il giudice, da tale comportamento, può ricavarne gli effetti di cui agli art. 548 comma 2 e 232 c.p.c., ritenendo accertati i fatti in guisa di ficta confessio e la sussistenza tra il debitore esecutato ed il terzo di un rapporto di credito (v., tra le altre, Trib. Nocera Inferiore 4 novembre 2010 n. 1690; Trib. Torre Annunziata 28 maggio 2006, in Guida al dir., 2006, n. 36, 63);

comprovata l'esistenza di una promessa di pagamento di una somma in favore del creditore, il debitore, non comparendo a rendere l'interrogatorio formale ritualmente deferitogli sui fatti di causa, rende operativo il dettato dell'art. 232 c.p.c., ovvero la possibilità per il giudicante di ritenere ammessi tali fatti (Trib. Bari, sez. II, 23 luglio 2004, in dejure.giuffre.it., con riferimento ad una fattispecie nella quale il debitore si era costituito tardivamente allo scopo di sostenere di avere già saldato parte della debitoria nelle mani dell'avvocato che aveva redatto la transazione, non onorata, e nelle more deceduto, ma tale prospettazione non era stata suffragata da idonea documentazione, atteso che il proprio fascicolo di parte non era stato depositato);

il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio formale non reso non se confermati solo da prove dirette (altrimenti l'interrogatorio sarebbe superfluo) ma anche utilizzando, per l'appunto, elementi di prova di carattere meramente indiziario: pertanto, qualora, la condotta processuale del convenuto contumace si aggiunga agli ulteriori elementi che per tabulas forniscono la prova dei presupposti fattuali posti a fondamento della pretesa azionata, costituita nella specie, l'esistenza di un rapporto locatizio tra i contraddittori, l'entità del canone, la mancata corresponsione delle pigioni, questi va condannato a rifondere all'attore il pagamento dei canoni di locazione scaduti e non corrisposti (Trib. Catanzaro, sez. II, 27 gennaio 2011).

La valutazione del giudice sulla valenza probatoria del comportamento processuale della parte

Si è già rilevato che se la parte, comparendo all'udienza non fornisce risposta all'interrogatorio o non si presenta a rendere lo stesso senza alcun giustificato motivo, ai sensi dell'art. 232 c.p.c., il giudice, valutato ogni altro elemento di prova, può ritenere come ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio.

Pertanto, qualora la parte, senza giustificato motivo, non si presenti a rispondere all'interrogatorio formale, rientra tra i poteri discrezionali del giudice del merito il ritenere, o meno, come ammessi, valutando ogni altro elemento probatorio, i fatti dedotti nel mezzo istruttorio (cfr., in tal senso, in sede di merito, tra le altre, App. Roma, sez. III, 7 settembre 2010 n. 3480; Trib. Bari, sez. I, 5 luglio 2006 n. 1875, in Guida al dir., 2007, n. 5, 37).

Invero, come sottolineato anche in sede di legittimità, l'inciso contenuto nell'art. 232 c.p.c. - secondo il quale il giudice può ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio, se la parte non si presenta o si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo valutato ogni altro elemento di prova - implica che la mancata risposta, se non equivale a una ficta confessìo, può assurgere a prova dei fatti dedotti secondo il prudente apprezzamento del giudice (art. 116 c.p.c.), che può trarre motivi di convincimento in tale senso non solo dalla concomitante presenza di elementi di prova indiziaria dei fatti medesimi, ma anche dalla mancata proposizione di prove in contrario. Il giudice può quindi ritenere ammessi i fatti dedotti nell'interrogatorio formale non reso non se confermati solo da prove dirette (altrimenti l'interrogatorio sarebbe superfluo) ma anche utilizzando, per l'appunto, elementi di prova di carattere meramente indiziario (Cass. civ., 18 aprile 2018, n. 9436; Cass. civ., 23 maggio 2008 n. 13422; cfr., tra le altre, Trib. Bari, sez. lav., 19 novembre 2018, n. 3967; nel senso che anche documenti formati dalla stessa parte che li produce, se caratterizzati da un apprezzabile grado di specificità, possono assumere valenza indiziaria e costituire una risultanza di riferimento sufficiente a consentire al giudice di ritenere per ammessi, ai sensi dell'art. 232, comma 1, c.p.c., i fatti dedotti nell'interrogatorio cui la parte non abbia risposto, Trib. Grosseto, 1° marzo 2016, n. 198).

In altri termini, la mancata risposta all'interrogatorio formale costituisce un comportamento processuale qualificato che, nel quadro degli altri elementi probatori acquisiti, può fornire elementi di valutazione idonei ad integrare il convincimento del giudice sulle circostanze articolate nei singoli capitoli (v., tra le molte, Trib. Genova, sez. lav., 9 gennaio 2019, n.2).

Ciò implica che qualora i fatti dedotti non siano suffragati da alcun elemento di riscontro, può negarsi ad esso qualsiasi valore sul piano istruttorio (cfr. Trib. Bari sez. lav., 14 ottobre 2019, n.4147).

È peraltro controverso all'interno della stessa giurisprudenza di legittimità se sussista o meno un dovere del giudice di indicare in motivazione le ragioni per le quali non abbia tenuto conto della mancata risposta al deferito interrogatorio. In particolare, secondo una prima tesi, qualora lo stesso giudice ritenga che i fatti dedotti non siano suffragati da alcun elemento di riscontro, può negare ad essi valore probatorio senza però prescindere dalla valutazione del risultato del mezzo istruttorio e dall'espressa menzione delle ragioni che sorreggono il proprio negativo apprezzamento (Cass. civ., 19 marzo 2009 n. 6697; in senso conforme, nella giurisprudenza di merito, tra le altre, Trib. Bari, sez. II, 30 marzo 2010 n. 1120, in www.giurisprudenzabarese.it; Trib. Roma, sez. XII, 20 aprile 2004; App. Reggio Calabria 23 marzo 2004, in In iure praesentia, 2004, n. 2, 17). In termini diversi, con un orientamento che sembra prevalere nella elaborazione più recente, si è evidenziato che la sentenza nella quale il giudice ometta di prendere in considerazione la mancata risposta all'interrogatorio formale non è affetta da vizio di motivazione, atteso che l'art. 232 c.p.c., a differenza dell'effetto automatico di ficta confessio ricollegato a tale vicenda dall'abrogato art. 218 del precedente codice di rito, riconnette a tale comportamento della parte soltanto una presunzione semplice che consente di desumere elementi indiziari a favore dell'avversa tesi processuale, sicché l'esercizio di tale facoltà, rientrando nell'ambito del potere discrezionale del giudice stesso, non è suscettibile di censure in sede di legittimità (Cass. civ., 12 luglio 2018 n. 18342; Cass. civ., 19 settembre 2014 n. 19833; Cass. civ., 6 agosto 2010 n. 18375; cfr., ex ceteris, Trib. Crotone, 1 agosto 2019, n. 983).

La possibilità di ritenere come ammessi, ai sensi dell'art. 232 c.p.c., i fatti dedotti nell'interrogatorio formale, cui il convenuto non abbia ingiustificatamente risposto, sono pertanto valutate dal giudice di merito alla luce del complessivo contesto, sostanziale e processuale, con la conseguenza che i fatti possono ritenersi di volta in volta provati o non provati all'esito di una valutazione caso per caso e che quest'ultima non è sindacabile in sede di legittimità purché adeguatamente e congruamente motivata (Cass. civ., 13 marzo 2009 n. 6181).

Tuttavia non si può trascurare cheuna parte minoritaria della giurisprudenza di merito si è espressa in termini difformi e più rigorosi circa le conseguenze della mancata risposta al deferito interrogatorio formale, affermando che se la parte la quale non si presenta all'interrogatorio il giudice deve astenersi da qualsiasi controllo probatorio del fatto non contestato e dovrà ritenerlo sussistente, proprio perché l'atteggiamento difensivo delle parti, elimina il fatto stesso dall'ambito degli accertamenti richiesti, in ossequio ai principi di concentrazione, immediatezza ed oralità che informano il nostro sistema processuale (Trib. Bolzano 3 aprile 2006).

Riferimenti
  • AA.VV., Il Giudice e la prova, Suppl. a Giur. Merito, 2009, n. 12;
  • Andrioli, Confessione (dir. proc. civ.), NNDI, IV, Torino 1959, 10 ss.;
  • Cappelletti, La testimonianza della parte nel sistema dell'oralità, 2 voll., Milano 1974;
  • Cannizzaro, L'interrogatorio formale e la confessione nei giudizi per risarcimento da incidente stradale, in Resp. civ. e prev., 1976, 104;
  • Comoglio, Confessione (dir. proc. civ.), E.G.I., VIII, Roma 1988;
  • Scrima, L'interrogatorio della parte: interrogatorio libero e interrogatorio formale, in Giur. Merito, 1999, 406;
  • Silvestri, Confessione nel diritto processuale civile, Dig. Civ., III, Torino, 1988;
  • Vaccarella, Interrogatorio delle parti, EdD, XXII, Milano 1972, 353.

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