La sostituzione del “titolo contrattuale” al dovere di neminem laedere costituisce domanda nuova inammissibile in appello?

Caterina Costabile
25 Novembre 2020

La Cassazione si è occupata di stabilire se la sostituzione del "titolo contrattuale" al dovere di neminem laedere ex art. 2043 c.c., pur se rimane immodificata la formulazione del petitum rivolto al ristoro del danno, costituisce o meno di una mutatio libelli e, quindi, una domanda "nuova" inammissibile in grado di appello ex art. 345 c.p.c.
Massima

Costituisce domanda nuova, inammissibile in appello, quella relativa ad un diritto cd. eterodeterminato (o non autoindividuante) allorquando i fatti storici allegati in primo grado a sostegno dell'azione vengono sostituiti o integrati da fatti nuovi e diversi, dedotti con i motivi di gravame. (Nella specie, la S.C. ha accolto il ricorso col quale si denunciava che, pur essendo stata introdotta in primo grado un'azione di risarcimento del danno per responsabilità extracontrattuale di una operatrice sanitaria per omessa vigilanza su una persona non autosufficiente, il giudice d'appello non aveva limitato la sua statuizione alla qualificazione giuridica della fattispecie, ma aveva erroneamente ravvisato una responsabilità di natura contrattuale in base a circostanze di fatto - la sussistenza di un contratto di assistenza e le relative trattative per la sua conclusione - dedotte per la prima volta con l'impugnazione).

Il caso

La Corte d'appello, in parziale riforma della pronuncia di primo grado, aveva accolto l'appello proposto da Alfa e Beta, poi deceduta nel corso del giudizio, riassunto dall'erede Alfa, ed ha accertato la responsabilità civile di Tizia - incaricata dell'assistenza domiciliare alla Beta, persona non autosufficiente - per i danni patrimoniali e non conseguiti alle lesioni personali che la prima aveva subito, cadendo dalla sedia di comodità, condannando la responsabile al risarcimento dei danni da liquidarsi nel prosieguo del giudizio. La Corte territoriale aveva, invece, rigettato il medesimo appello concernente l'altra domanda di condanna al risarcimento dei danni che la Beta e poi l'Alfa avevano proposto nei confronti di Caia, convenuta in giudizio n.q. di ex amministratrice di X s.r.l., società cancellata dal registro delle imprese, e della quale era dipendente Tizia.

Il Giudice di appello rilevava che l'avere Caia continuato ad agire come amministratore, anche dopo la estinzione della società, non aveva inciso sulla esecuzione del contratto ed, in ogni caso, la domanda risarcitoria risultava proposta nei confronti di soggetto non titolare della posizione passiva del rapporto, tali potendo ritenersi soltanto i soci, ex art. 2495, co. 2, c.c.

La X s.r.l. proponeva ricorso in Cassazione deducendo, tra l'altro, la violazione dell'art. 345 c.p.c., in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 atteso che le attrici avevano fatto valere con l'atto di citazione unicamente la "responsabilità extracontrattuale" delle convenute mentre soltanto con i motivi di gravame era stato richiesto di qualificare la responsabilità come "ex contractu".

La questione

La Cassazione ha affrontato la questione del se la sostituzione del "titolo contrattuale" al dovere di neminem laedere ex art. 2043 c.c., pur se rimane immodificata la formulazione del petitum rivolto al ristoro del danno, costituisce o meno di una mutatio libelli e, quindi, una domanda "nuova" inammissibile in grado di appello ex art. 345 c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

Ad avviso dei giudici di legittimità deve verificarsi se, nel caso concreto, la trasformazione del rapporto da extracontrattuale a contrattuale venga ad integrare una mera - differente - "qualificazione giuridica" della fattispecie concreta, così come dedotta in giudizio attraverso i fatti storici allegati dalle parti (attività qualificatoria sempre consentita al Giudice di merito, nel rispetto del contraddittorio, e dunque anche al Giudice di appello che può provvedervi "ex officio" sempre che la diversa qualificazione non abbia costituito oggetto di specifica discussione e sia stata espressamente disattesa in favore di altra soluzione del Giudice di prime cure: in tal caso rimanendo confinato il potere qualificatorio del Giudice del gravame nei soli limiti del devoluto: Cass. civ., sez. III, 21 maggio 2019, n. 13602; Cass. civ., sez. II, 5 agosto 2019, n. 20932), ovvero venga, invece, ad incidere sugli stessi "elementi identificativi della domanda", determinando una innovazione rispetto alla pretesa originaria.

La S.C. ha all'uopo rimarcato che l'indispensabile "connessione (della "diversa" domanda) alla vicenda sostanziale dedotta in giudizio", che le Sezioni Unite n. 12310/2015 richiedono quale precondizione necessaria all'esercizio del potere di "modificazione" della originaria domanda ex art. 183, comma 6, c.p.c. non appare ex se sufficiente a consentire di ricondurre la domanda "contrattuale" nell'ambito della mera attività di "qualificazione giuridica" del rapporto, originariamente fondato sulla diversa domanda di risarcimento danni da "responsabilità aquiliana". La semplice "attinenza" alla vicenda sostanziale non supera, infatti, la obiezione secondo cui, in presenza di diritti "eterodeterminati" - qual è il diritto di credito al pagamento della somma equivalente alla entità del bene od utilità perduta -, la domanda introduttiva di condanna al risarcimento del danno esige che l'attore indichi espressamente i "fatti materiali" che assume essere stati lesivi del proprio diritto, a pena di nullità per violazione dell'art. 163 n. 4 c.p.c., costituendo tali fatti materiali gli elementi indispensabili ad identificare la causa petendi, ossia il titolo o meglio il fatto genetico del diritto di cui si chiede la tutela (cfr. Cass. civ., sez. III, 12 ottobre 2012, n. 17408).

Per tale motivo, secondo l'orientamento giurisprudenziale di legittimità recepito anche dalla pronuncia in esame, costituisce domanda nuova, improponibile in appello ai sensi dell'art. 345 c.p.c., la deduzione di una nuova causa petendi la quale comporti, attraverso la prospettazione di nuove circostanze o situazioni giuridiche, il mutamento dei fatti costitutivi del diritto fatto valere in giudizio e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione ed i termini della controversia, in uno dei suoi elementi costitutivi: termini soggettivi, causa petendi, petitum (cfr. Cass. civ., sez. trib., 23 luglio 2020, n. 15730; Cass. civ., sez. II, 2 agosto 2019, n. 20870; Cass. civ., sez. III, 17 luglio 2003, n. 11202).

Osservazioni

è noto che si ha domanda nuova - inammissibile in appello - per modificazione della "causa petendi" quando il diverso titolo giuridico della pretesa, dedotto innanzi al giudice di secondo grado, essendo impostato su presupposti di fatto e su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado, comporti il mutamento dei fatti costitutivi del diritto azionato e, introducendo nel processo un nuovo tema di indagine e di decisione, alteri l'oggetto sostanziale dell'azione e i termini della controversia, in modo da porre in essere una pretesa diversa, per la sua intrinseca essenza, da quella fatta valere in primo grado e sulla quale non si è svolto in quella sede il contraddittorio (cfr. Cass. civ., sez. lav., 18 giugno 2020, n. 11897).

Dottrina e la giurisprudenza concordano nel distinguere i diritti in diritti “autodeterminati” e diritti “eterodeterminati”.

I diritti eterodeterminati sono i diritti che possono sussistere simultaneamente più volte con lo stesso contenuto tra gli stessi soggetti. I diritti di tale specie, cui appartengono con assoluta sicurezza i diritti di credito, sono individuati non dalla mera indicazione del loro contenuto ma anche dall'indicazione del fatto costitutivo che va specificato all'atto della proposizione della domanda, incidendo sulla individuazione della causa petendi e, conseguentemente, sull'esercizio del diritto di difesa dell'obbligato (cfr. Cass. civ., sez. III, 26 maggio 2020, n. 9712; Cass. civ., sez. II, 18 ottobre 2018, n. 26274; Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 2014, n. 25918).

I diritti autodeterminati sono i diritti che non possono sussistere simultaneamente più volte con lo stesso contenuto tra gli stessi soggetti. I diritti di tale specie, cui appartengono con assoluta sicurezza i diritti reali, sono individuati sulla base della sola indicazione del loro contenuto non essendo il fatto costitutivo necessario per la loro individuazione. Ciò perché i diritti autodeterminati conservano la loro identità qualunque sia il fatto genetico sul quale si fondono e rispetto agli stessi, pertanto, la causa petendi non assume efficacia individuatrice, come invece l'assume nei diritti etero determinati (cfr. Cass. civ., sez. II, 29 gennaio 2020, n. 2002; Cass. civ., sez. II, 12 novembre 2019, n. 29231).

Conseguentemente, con riferimento ai diritti autodeterminati, non viola il divieto dello "ius novorum" in appello la deduzione da parte dell'attore - ovvero il rilievo "ex officio iudicis" - di un fatto costitutivo del tutto diverso da quello prospettato in primo grado a sostegno della domanda introduttiva del giudizio (cfr. Cass. civ., sez. II, 23 settembre 2019, n. 23565; Cass. civ., sez. II, 4 marzo 2003, n. 3192).

Al contrario, in relazione ai diritti eterodeterminati, il mutamento delle caratteristiche del fatto posto a fondamento della domanda - allorquando i fatti storici allegati in primo grado a sostegno dell'azione vengono sostituiti o integrati da fatti nuovi e diversi, dedotti con i motivi di gravame - comporta il mutamento di quest'ultima con conseguente inammissibilità ex art. 345 c.p.c. (cfr. Cass. civ., sez. III, 26 febbraio 2019, n. 5503; Cass. civ., sez. I, 21 gennaio 2015, n. 1053).

Riferimenti
  • Di Marzio, L'appello civile dopo la riforma, Milano, 2013;
  • Palma, Brevi note in tema di domande autodeterminate, eterodeterminate e oggetto del giudizio d'appello, in Giust. civ., 2000, 11, 2979;
  • Russo, Sui rapporti tra diritti autodeterminati e divieto di res nova in appello, in Nuova Giur. Civ., 2013, 5, 10475.

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