Transazione e regole di interpretazione del contratto
27 Novembre 2020
Entro quali limiti il giudice può legittimamente estendere oltre il contenuto letterale dell'accordo gli effetti di una transazione intervenuta tra il datore ed il lavoratore?
In materia di rinunzie e transazioni intervenute nell'ambito di un rapporto di lavoro subordinato, la giurisprudenza ha evidenziato che la dichiarazione del lavoratore può assumere valore abdicativo nei limiti in cui essa sia stata rilasciata con la consapevolezza delle pretese (determinate o determinabili) che ne costituiscono oggetto e con il cosciente intento di abdicarvi o di transigere sulle stesse.
Trovano comunque applicazione le regole generali in ordine all'interpretazione del contratto (artt. 1362 ss. c.c.): il giudice, al fine di indagare sulla portata e sul contenuto transattivo di una scrittura negoziale, può attingere ad ogni elemento idoneo a chiarire i termini dell'accordo, ancorché non richiamati dal documento, senza che ciò comporti una violazione del principio in base al quale la transazione deve essere provata per iscritto.
Nel caso in cui le espressioni letterali impiegate dalle parti non siano sufficienti per ricostruire la loro comune volontà, dovrà tenersi conto dell'intento comune perseguito (recte porre fine all'incertus litis eventus). La giurisprudenza ha affermato che né una esteriorizzazione del dissenso sulle contrapposte pretese, né l'uso di espressioni che rivelino direttamente la natura transattiva del negozio sono necessari.
La configurabilità di una transazione, infatti, potrà essere desunta da qualsiasi elemento che esprima la volontà di porre fine ad ogni ulteriore potenziale contesa, sicché il solo dato testuale dell'accordo potrà essere legittimamente integrato - ove ritenuto non sufficiente - da una valutazione circa il comportamento assunto dalle parti, con obbligo del giudice di fornire una logica e ragionevole motivazione sul punto.
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