L'emergenza sanitaria da COVID-19 consente di derogare al principio di pubblicità dell'udienza
01 Dicembre 2020
Massima
In tema di nuovo rito camerale di legittimità non partecipato, il principio di pubblicità dell'udienza ex art. 6 CEDU ed avente rilievo costituzionale non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di particolari ragioni giustificative, ove obiettive e razionali, da ravvisarsi in relazione alla conformazione complessiva di tale procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non rivestenti peculiare complessità (nella specie, la Corte ha ritenuto giustificata la trattazione della controversia in adunanza camerale anziché, come richiesto dalla contribuente, in pubblica udienza, in ragione dell'emergenza pandemica da COVID-19). Il caso
Equitalia, cui è oggi succeduta l'Agenzia della Riscossione, notificava una cartella di pagamento sulla base di due ruoli straordinari formati dall'Agenzia delle entrate. La cartella di pagamento era diretta alla società cessionaria, per debiti tributari della società incorporata, sul presupposto che la cessione di azienda fosse avvenuta in frode dei crediti tributari. La società cessionaria proponeva ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale che lo rigettava. Proposto appello, il ricorso era accolto dalla Commissione Tributaria Regionale sul rilievo della omessa notifica - alla società ricorrente - degli avvisi prodromici alla cartella medesima, tenuto conto della natura solidaristica di tipo partitario del rapporto tra cedente e cessionario, con il corollario che anche il cessionario ha diritto alla notifica degli atti impositivi. L'Agenzia delle Entrate proponeva ricorso in Cassazione e i giudici di legittimità, per quello che interessa ai fini della presente nota, rigettavano l'istanza di trattazione della causa in pubblica udienza, sul rilievo che l'istante si è limitata a motivare genericamente le ragioni dell'istanza, adducendo non già il profilo nomofilattica della lite, quanto la sua particolare rilevanza, tenuto anche conto del suo valore, pari a Euro 181.996.411,42. La questione
La questione in esame è la seguente: può influire sulla decisione sul rinvio di una questione dall'adunanza camerale all'udienza pubblica la legislazione sull'emergenza pandemica in corso? Le soluzioni giuridiche
Nel giudizio di fronte alla Corte di cassazione il procedimento camerale, pur previsto nel codice del 1940, era inutilizzato: oggi è divenuto la regola. L'intervento novellatore del giudizio di legittimità recato dalla l. n. 197/2016 è ispirato, secondo una linea di tendenza registratasi nell'ultimo decennio, da pressanti esigenze di semplificazione, snellimento e deflazione del contenzioso dinanzi alla Corte di cassazione, in attuazione del principio costituzionale, di cui all'art. 111 Cost., e convenzionale: art. 6 CEDU, della ragionevole durata del processo e di quello, in esso coonestato, dell'effettività della tutela giurisdizionale; che in siffatta prospettiva il legislatore (attingendo ad indicazioni de iure condendo, provenienti dalle Commissioni ministeriali di riforma del processo civile del 2013 e del 2015, in parte approdate all'esame parlamentare) ha inteso modulare il giudizio di legittimità (incidendo, segnatamente, sugli artt. 375, 376 e 380-bis c.p.c., art. 380-bis c.p.c., comma 1 e art. 380-ter c.p.c.) in ragione di una più generale suddivisione del contenzioso in base alla valenza nomofilattica, o meno, delle cause, riservando a quelle prive di siffatto connotato (ossia, il contenzioso più nutrito) un procedimento camerale, tendenzialmente assunto come procedimento ordinario, "non partecipato" e da definirsi con ordinanza (in luogo della celebrazione dell'udienza pubblica e della decisione con sentenza, previste essenzialmente per le cause "dalla particolare rilevanza della questione di diritto"). Il codice di procedura civile, dopo avere nell'art. 375 c.p.c. - sotto la rubrica “pronuncia in camera di consiglio” - individuato i casi nei quali la Corte decide “in camera di consiglio”, usa l'espressione “adunanza della camera di consiglio” nel primo comma dell'art. 377 c.p.c. Quindi, nell'art. 380-bis c.p.c., sotto la rubrica «procedimento per la decisione in camera di consiglio sull'inammissibilità o sulla manifesta infondatezza del ricorso», il primo comma dispone circa la fissazione con decreto della “adunanza della Corte” e nel secondo comma parla di “data stabilita per l'adunanza”. Nell'art. 380-bis.1 c.p.c., sotto la rubrica “procedimento per la decisione in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice”, si parla poi – nel primo inciso - di “fissazione del ricorso in camera di consiglio dinanzi alla sezione semplice” e – nel secondo inciso – di “adunanza in camera di consiglio”. Nel terzo inciso la norma dispone espressamente che “in camera di consiglio la Corte giudica senza l'intervento del pubblico ministero e delle parti”. Nell'art. 380-terc.p.c., sotto la rubrica “procedimento per la decisione sulle istanze di regolamento di giurisdizione e di competenza”, si parla nel secondo comma di “decreto del presidente che fissa l'adunanza” e nel terzo comma si ripete la disposizione del terzo inciso dell'art. precedente. Dopo l'esperienza della cd. struttura unificata, il legislatore del 2009 aveva introdotto una apposita sezione della Cassazione — oggi, sezione sesta — prevista dall'art. 376 c.p.c., demandando alla stessa il compito di esaminare i ricorsi e di verificare se sussistessero i presupposti per la pronuncia in camera di consiglio, di cui alla norma in commento, ossia se il ricorso fosse inammissibile o manifestamente fondato o infondato. Ove ricorressero tali presupposti, il ricorso era deciso in sesta sezione con il rito camerale; in caso contrario, il ricorso era assegnato alla sezione semplice, che pronunciava in camera di consiglio nelle ipotesi previste dall'art. 375, n. 2 e 3, c.p.c. o, altrimenti, in pubblica udienza Il modello processuale introdotto dalla novella del 2016 nel giudizio di cassazione civile – sulla falsariga di quello già esistente per il giudizio penale: art. 611 c.p.p. – intervenendo, nelle intenzioni del legislatore, a snellire il procedimento riservando la pubblica udienza alle sole controversie che presentino rilevanza nomofilattica ovvero carattere di particolare complessità o difficoltà, risponde ad un interessi di livello costituzionale, qual è quello della ragionevole durata del processo contemplato dall'art. 111 Cost. e dall'art. 6 CEDU ed è volto ad attuare l'effettività della tutela giurisdizionale garantita dall'art. 24 Cost., restando la costruzione dei modelli processuali il compito del legislatore (Cass. civ., n. 24088/2017). Si è ritenuto che la pronuncia in camera di consiglio conseguente all'adunanza non partecipata sia incompatibile con l'enunciazione del principio di diritto nell'interesse della legge a norma dell'art. 363, comma 3, c.p.c., presupponendo quest'ultima la particolare importanza della questione giuridica esaminata (Cass. civ., n. 5665/2018). Peraltro, si è puntualizzato come quel che consente la decisione in camera di consiglio del ricorso, con le forme di cui all'art. 380-bis c.p.c., non è la complessità della questione, ma la sua manifesta fondatezza od infondatezza, giusta l'art. 375, n. 5, c.p.c., ed il giudizio di manifesta fondatezza od infondatezza non necessariamente sottende quello di “complessità”; neppure la mancanza di un numero adeguato di precedenti non impedisce la trattazione camerale, in quanto la manifesta fondatezza od infondatezza possono in teoria anche prescindere dall'esistenza di precedenti, ove ad esempio il ricorso sostenga una tesi peregrina, o viceversa, lapalissiana, sebbene vanamente si cercherebbe un precedente specifico sul punto (Cass. civ., n. 17407/2016). Si noti che, sebbene il legislatore non lo abbia espressamente previsto, è consentito il passaggio della causa dall'adunanza camerale della sezione ordinaria alla udienza pubblica: infatti, detta rimessione può rendersi necessaria in caso di particolare rilevanza delle questioni da trattare, atteso che il collegio non può essere vincolato alla valutazione operata sul punto dal presidente della sezione (Cass. civ., Sez. Un., n. 14437/2018; Cass. civ., n. 19115/2017, in applicazione analogica dell'art. 380-bis, comma 3, c.p.c.; Cass. civ., n. 5533/2017). Non sussiste, tuttavia, un obbligo del collegio in tal senso, ma una facoltà mera (Cass. civ., n. 8869/2017). Nessun dubbio in ordine alla compatibilità costituzionale e convenzionale del nuovo rito camerale non partecipato. Occorre osservare che il principio di pubblicità dell'udienza - di rilevanza costituzionale in quanto, seppur non esplicitato dalla Carta Fondamentale, è connaturato ad un ordinamento democratico e previsto, tra gli altri strumenti internazionali, segnatamente dall'art. 6 CEDU - non riveste carattere assoluto e può essere derogato in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (Corte cost., n. 80/2011). Una siffatta deroga - anche alla luce dei principi espressi dalla giurisprudenza della Corte EDU (Corte Edu, 21 giugno 2016, Tato Alarinho c. Portogallo), seguiti da un costante orientamento di legittimità (Cass. civ., n. 9041/2016; Cass. civ., n. 20282/2015; Cass. civ., n. 4268/2012; Cass.civ., n. 19947/2008) - è consentita in ragione della conformazione complessiva del procedimento, là dove, a fronte della pubblicità del giudizio assicurata in prima o seconda istanza, una tale esigenza non si manifesti comunque più necessaria per la struttura e funzione dell'ulteriore istanza, il cui rito sia volto, eminentemente, a risolvere questioni di diritto o comunque non di fatto, tramite una trattazione rapida dell'affare, non rivestente peculiare complessità. In tal senso, come accennato in precedenza, viene a declinarsi la disciplina dell'art. 380-bis c.p.c., funzionale alla decisione, in sede di legittimità (quale giudizio che, oltre a non postulare in sé profili di autonomo accertamento dei fatti, ha assunto, in ambito civile, a seguito della novella legislativa del 2012 recante la modifica dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, una ancor più spiccata accentuazione del sindacato sugli errores in iudicando rispetto a quello sul vizio di "motivazione", resecato nei confini indicati dall'esegesi compiuta da Cass. civ., Sez. Un., n. 8053/2014), di ricorsi che si presentino, all'evidenza ("a un sommario esame": art. 376 c.p.c.), inammissibili, manifestamente infondati o manifestamente fondati (art. 375 c.p.c.), ossia di impugnazioni per le quali, lungi dal porsi questioni giuridiche di rilevanza nomofilattica (cui soltanto è riservata la pubblica udienza e la decisione con sentenza dall'art. 375 c.p.c.), risulta consentanea, nei termini e per le ragioni innanzi evidenziati, la decisione resa con ordinanza (ex art. 375 c.p.c., quale provvedimento per definizione succintamente motivato: art. 134 c.p.c.) all'esito di adunanza camerale non partecipata; che, proprio sotto tale ultimo profilo, la garanzia del contraddittorio, necessaria in quanto costituente il nucleo indefettibile del diritto di difesa, costituzionalmente tutelato dagli artt. 24 e 111 Cost. (in rapporto all'art. 24 Cost., già Corte cost., n. 102/1981), è, comunque, assicurata dalla trattazione scritta della causa, con facoltà delle parti di presentare memorie per illustrare ulteriormente le rispettive ragioni (che, del resto, devono essere già compiutamente declinate con il ricorso per quanto riguarda, segnatamente, i motivi dell'impugnazione), non solo in funzione delle difese svolte dalla controparte, ma anche in rapporto alla proposta del relatore circa la sussistenza di ipotesi di trattazione camerale, ex art. 375 c.p.c. L'interlocuzione scritta, attraverso la quale viene a configurarsi il contraddittorio nell'ambito del procedimento di cui all'art. 380-bis c.p.c., si mostra come l'esito di un bilanciamento, non irragionevolmente effettuato dal legislatore alla stregua dell'ampia discrezionalità che gli appartiene nella conformazione degli istituti processuali (Corte cost. n. 152/2016), tra le esigenze del diritto di difesa e quelle, del pari costituzionalmente rilevanti, in precedenza evidenziate, di speditezza e concentrazione, in funzione della ragionevole durata del processo e della tutela effettiva da assicurare, anche in tale prospettiva, alle parti interessate dal contenzioso; esigenze, queste, che trovano congruente contestualizzazione nel peculiare assetto strutturale e funzionale del procedimento previsto dalla l. n. 197/2016. Infine, la previsione di una proposta di trattazione camerale da parte del relatore, in ragione della ravvisata esistenza di ipotesi di decisione del ricorso di cui all'art. 375 c.p.c. - in luogo della relazione (o cd. "opinamento") depositata in cancelleria, secondo la formulazione del previgente art. 380-bis c.p.c. - appartiene anch'essa all'esercizio della discrezionalità del legislatore in ambito processuale e non è tale da vulnerare il diritto di difesa, giacché trattasi di esplicitazione interlocutoria di mera ipotesi di esito decisorio, non affatto vincolante per il Collegio e che, di per sé, ove rimanga confinata nell'alveo del thema decidendum segnato dai motivi di impugnazione, neppure è idonea a sollecitare profili attinenti allo stesso principio del contraddittorio (Cass. civ., n. 395/2017). Osservazioni
La cameralizzazione non lede il diritto alla difesa e al contraddittorio, che resta il più ampio e si esplica con le difese scritte, per nulla meno efficaci delle orali, specie innanzi ad una Corte di legittimità; anzi, è semmai il contrario. Né può dirsi che il principio di pubblicità dell'udienza sia in sé un valore costituzionale del processo, come dimostra la piena legittimità dei procedimenti camerali (il vero controllo sull'operato del giudice di ultima istanza avviene mediante la motivazione). Non sussiste, al riguardo, contrasto con l'art. 6 CEDU: sia per la giurisprudenza della stessa Corte di Strasburgo (Corte EDU 12 maggio 2009, Gasparini; Corte EDU 8 maggio 2010, Udorovic), sia per la Corte costituzionale (Corte cost. n. 80/2011), sia per la Corte di cassazione (Cass. civ., n. 19947/2008). Non può sfuggire, invero, che il giudizio di cassazione è di legittimità, ossia rivolto per definizione alla trattazione di questioni tecniche di diritto, senza nessuna assunzione di prove ed altri profili, per i quali possa esistere l'esigenza di pubblicità dell'udienza Peraltro, nella sentenza in commento, la Corte di cassazione nel giustificare la trattazione del ricorso in camera di consiglio, anziché in pubblica udienza, oltre a richiamare i principi consolidati prima ricordati, con forza rinvia anche alle norme dettate dal legislatore per affrontare l'emergenza epidemiologica in atto e limitare il pericolo di diffusione del COVID-19. In particolare, l'art. 221, comma 4, d.l. 34/2020 prevede espressamente che il giudice può disporre che le udienze civili che non richiedono la presenza di soggetti diversi dai difensori delle parti siano sostituite dal deposito telematico di note scritte contenenti le sole istanze e conclusioni. Il giudice comunica alle parti almeno trenta giorni prima della data fissata per l'udienza che la stessa è sostituita dallo scambio di note scritte e assegna alle parti un termine fino a cinque giorni prima della predetta data per il deposito delle note scritte. Ciascuna delle parti può presentare istanza di trattazione orale entro cinque giorni dalla comunicazione del provvedimento. Il giudice provvede entro i successivi cinque giorni. Se nessuna delle parti effettua il deposito telematico di note scritte, il giudice provvede ai sensi del primo comma dell'articolo 181 del codice di procedura civile. Ma le ragioni ostative alla trattazione in pubblica udienza trovano giustificazione anche nei decreti adottati dal Primo Presidente della Corte (decreti del 7 maggio 2020, del 18 giugno 2020 e del 30 luglio2020) relativi alle misure organizzative - tuttora in vigore - relative alle modalità operative per regolare l'accesso ai servizi, al fine di evitare assembramenti all'interno dell'ufficio giudiziario e contatti ravvicinati tra tutte le persone. |