Anche nel processo contro le società si può lamentare la genericità del capo di imputazione

Ciro Santoriello
03 Dicembre 2020

In tema di responsabilità da reato dagli enti collettivi, la contestazione dell'illecito alla persona giuridica deve specificare quale sia il vantaggio che questa ha ottenuto o l'interesse della medesima che è stato perseguito mediante la realizzazione del reato presupposto...
Massima

In tema di responsabilità da reato dagli enti collettivi, la contestazione dell'illecito alla persona giuridica deve specificare quale sia il vantaggio che questa ha ottenuto o l'interesse della medesima che è stato perseguito mediante la realizzazione del reato presupposto. Quando tale elemento non sia presente nella contestazione, il giudice dovrà invitare il pubblico ministero ad integrare la contestazione e solo in caso di mancato adempimento all'invito potrà dichiarare la nullità dell'atto di esercizio dell'azione penale e rinviare gli atti alla Procura per provvedere altrimenti.

Il caso

Nel procedimento cui si riferisce la sentenza in commento si discute della sufficiente precisione e determinatezza di una imputazione formulata nei confronti di un ente collettivo in relazione al reato di accesso abusivo all'altrui sistema informatico posto in essere da organi apicali della società stessa.

La questione della sufficiente descrizione del fatto era già stata oggetto, nel medesimo procedimento, di una pronuncia giurisdizionale, Infatti, il processo per tali fatti era già giunto in fase dibattimentale quando il Tribunale competente aveva dichiarato la nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminatezza del capo di imputazione, rilevando le seguenti carenze:

  • mancata indicazione di prescrizioni/limite impartite dalle Procure;
  • mancata indicazione delle circostanze di fatto e di tempo degli specifici accessi abusivi al sistema informatico;
  • mero richiamo per relationem alla consulenza tecnica del pubblico ministero e, per quanto riguarda la descrizione dell'illecito amministrativo, la mancata indicazione dell'interesse perseguito dall'Ente.

Il processo, quindi, regrediva alla fase dell'udienza preliminare, veniva riunito a quello a carico di altri coimputati, ma i presunti vizi insiti nella contestazione non erano stati emendati giacché la nuova richiesta di rinvio a giudizio riproduceva di fatto la precedente, senza apportare sostanziali modifiche, in violazione di quanto disposto dal giudice del dibattimento ed anche la contestazione dell'illecito amministrativo era rimasta invariata.

Nonostante la mancata modifica delle imputazioni, già ritenute generiche dal Tribunale, la nuova richiesta di rinvio a giudizio era ritenuta immune da vizi dal giudice dell'udienza preliminare, che respingeva l'eccezione di nullità della richiesta di rinvio a giudizio formulata dalle difese nel procedimento ed era disposto il rinvio a giudizio tanto delle persone fisiche che della persona giuridica. Il decreto di rinvio a giudizio veniva impugnato in cassazione in quanto assunto, secondo i ricorrenti, in spregio agli adempimenti processuali scanditi dalle Sezioni Unite e da qualificare come abnorme per ragioni di carattere sia strutturale sia funzionale.

Sotto il primo profilo, si sostiene che il giudice dell'udienza preliminare non avrebbe il potere di assumere decisioni in contrasto con quelle del giudice del dibattimento; queste ultime sarebbero sempre destinate a prevalere giusta la previsione dell'art. 28 c.p.p. e ad esse, pertanto, il giudice inferiore deve adeguarsi, pur non condividendole. Sotto il secondo profilo, si osserva come l'ordinanza impugnata dia luogo a una "stasi" processuale, poiché il giudice del dibattimento non potrà che rilevare la nullità del decreto che dispone il giudizio per indeterminazione dell'imputazione e far nuovamente regredire il processo alla fase dell'udienza preliminare.

La questione

Il tema della corretta formulazione dell'imputazione viene di frequente all'attenzione della giurisprudenza.

Che la contestazione del fatto all'accusato debba rispondere a criteri di completezza e determinatezza è sancito dalla lett. b) dall'art. 417 c.p.p. secondo cui la richiesta di rinvio a giudizio (ovvero il decreto di citazione) deve contenere “l'enunciazione, in forma chiara e precisa, del fatto, delle circostanze aggravanti e di quelle che possono comportare l'applicazione di misure di sicurezza, con l'indicazione dei relativi articoli di legge”.

Se la radicale assenza di contestazione implica la mancata coincidenza con il modello legale minimo dell'atto imputativo con conseguente nullità insanabile ex artt. 178, 1° comma lett. b, c.p.p. e 179 c.p.p., più complesso è definire quali siano le conseguenze rinvenibili in caso di addebito generico, insufficiente o alternativo. In effetti, l'adeguata descrizione dei materialia delicti già al momento del deposito della richiesta di rinvio a giudizio, oltre ad orientare le scelte giurisdizionali circa i provvedimenti da assumere, sia durante che all'esito dell'udienza, rappresenta l'imprescindibile requisito per il compiuto esercizio del diritto di difesa; tale duplice esigenza impone che il "fatto" da contestare, una volta formulata l'imputazione, non presenti geometrie variabili se non a seguito di apporti istruttori recepiti nel corso della relativa fase e tali da richiederne la modifica.

In altri termini, lo strumento descritto dall'art. 423 c.p.p. non serve a legittimare una perdurante perfettibilità del "fatto”, secondo strategie o apatie del pubblico ministero, ma risponde alla precisa esigenza di adeguare i contenuti imputativi ad elementi che prima non erano evidenziati. Ecco perché secondo alcuni autori una contestazione generica, anche per l'udienza preliminare, si presenta idonea a determinare una nullità intermedia della richiesta di rinvio in funzione degli artt. 178, comma 1, lett. c e 180 c.p.p., se non addirittura un vizio assoluto per carenza di un requisito essenziale nella citazione dell'imputato.

Come è noto, dopo una prima fase in cui si è posta in assoluto contrasto con le osservazioni della dottrina sopra riportate, la Cassazione ha in qualche modo accolto questa impostazione, sia pur cercando di sollecitare una sorta di dialogo fra pubblico ministero e giudice nella precisazione della contestazione. In particolare, la Cassazione con la decisione delle sezioni unite 20 dicembre 2007 n. 5307, che pur ormai risalente non risulta essere stata sconfessata da successivi arresti, ha qualificato come abnorme il provvedimento con cui il giudice dell'udienza preliminare disponga la restituzione degli atti al pubblico ministero per genericità o indeterminatezza dell'imputazione, senza avergli previamente richiesto di precisarla; è solo nel caso in cui il pubblico ministero non colga la sollecitazione del giudice, che questi può dichiarare la nullità della richiesta di rinvio a giudizio, restituendo gli atti all'ufficio di Procura senza che ciò determini una inaccettabile regressione del procedimento ma anzi consentendo in questo modo un nuovo esercizio dell'azione penale in modo aderente alle effettive risultanze d'indagine

Medesima disciplina è sancita con riferimento al processo nei confronti degli enti collettivi.

Secondo l'art. 59, comma 2, d.lgs. n. 231/2001 la contestazione deve contenere gli elementi identificativi dell'ente giuridico, l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto che fonda la responsabilità, l'indicazione del reato presupposto e delle fonti di prova. Dunque, quanto all'indicazione del reato presupposto della responsabilità amministrativa dell'ente, deve ritenersi che l'esposizione non debba differire, quanto a completezza di contenuto, dalla formulazione della imputazione cui il pubblico ministero procede nell'esercizio dell'azione penale nei confronti di una persona fisica.

Inoltre, sicuramente applicabili nel giudizio de quo risultano le disposizioni di cui agli artt. 516 ss. c.p.p., in tema di nuove contestazioni, “con riferimento alle sole modalità di contestazione che concretamente possono adeguarsi alla fattispecie dell'illecito; è tale, ad esempio, la contestazione di un ulteriore illecito, sulla base di una pluralità di reati connessi a norma dell'art. 12, lett. b), c.p.p., mentre non appare compatibile con l'illecito la contestazione della circostanza aggravante”. La modifica dell'imputazione può operare sia con riguardo ai mutamenti che costituiscono un riflesso delle nuove contestazioni che hanno investito il reato da cui dipende l'illecito dell'ente, sia con riguardo alle modifiche che possono interessare l'illecito della persona giuridica, come quando si specifichino, ad esempio, i presupposti contemplati dagli artt. 5, 6 e 7 del d.lgs.231/2001.

Evidentemente, riconosciuta l'operatività della disciplina di cui agli artt. 516ss. c.p.p. alla società va riconosciuta la titolarità delle facoltà che le norme del codice di rito attribuiscono all'imputato, come la prestazione del consenso alla contestazione in caso di fatto nuovo risultante al dibattimento o la richiesta di un termine a difesa o di ammissione di nuove prove.

Le soluzioni giuridiche

Il ricorso è stato rigettato per inammissibilità sostenendosi la non impugnabilità dell'ordinanza con cui è stata rigettata l'eccezione di nullità e l'insussistenza dei presupposti della abnormità.

Come è noto, l'abnormità costituisce una forma di patologia dell'atto giudiziario priva di riconoscimento testuale in un'esplicita disposizione normativa, ma frutto di elaborazione da parte della dottrina e della giurisprudenza, tramite cui si è inteso porre rimedio, attraverso l'intervento del giudice di legittimità, agli effetti pregiudizievoli derivanti da provvedimenti non previsti nominatim come impugnabili, ma affetti da anomalie genetiche o funzionali tali da renderli difformi ed eccentrici rispetto al sistema processuale e con esso radicalmente incompatibili.

Secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione la categoria dell'abnormità ha carattere eccezionale e derogatorio rispetto al principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione, sancito dall'art. 568 c.p.p., ed al numero chiuso delle nullità deducibili secondo la previsione dell'art. 177 c.p.p.: essa è, dunque, riferibile alle sole situazioni in cui l'ordinamento non appresti altri rimedi idonei per rimuovere il provvedimento giudiziale, che sia frutto di sviamento di potere e fonte di un pregiudizio altrimenti insanabile per le situazioni soggettive delle parti (Cass. pen., Sez. un., 18 gennaio 2018, n. 20569). I caratteri e la ratio dell'istituto consentono di enucleare, prima ancora delle categorie dell'abnormità, le pre-condizioni di siffatta patologia dell'atto vale a dire:

  • il carattere definitorio, che solo può dare luogo a un pregiudizio insanabile, mentre i provvedimenti interlocutori sono sempre modificabili nel corso della relativa fase processuale;
  • l'assenza di specifici mezzi di impugnazione apprestati dall'ordinamento per reagire contro il provvedimento illegittimo;
  • l'assenza di cause di invalidità "tipiche" che consentano di porre nel nulla il provvedimento viziato.

Nel caso di specie, secondo la Cassazione, non ricorrerebbero il primo ed il terzo dei tre requisiti menzionati. Infatti, l'ordinanza impugnata è un provvedimento interlocutorio pronunciato nel corso dell'udienza preliminare, meramente strumentale rispetto alla emissione del decreto che dispone il giudizio (per questa definizione del decreto di rinvio a giudizio, Cass. pen, Sez. III, 10 aprile 2017, n. 35201), che, proprio perché prodromica ad altro provvedimento e suscettibile di essere sempre modificata fino al momento della decisione, non è idonea ad arrecare alle parti alcun pregiudizio insanabile.

In secondo luogo, l'eventuale genericità ed indeterminatezza del capo di imputazione non è un vizio privo di censura e rimedio, posto che esso, se sussistente, rientra nella categoria delle nullità tipizzate dall'art. 429, comma 2, c.p.p. e, per quanto riguarda l'ente collettivo, dall'art. 61, comma 2, l. n. 231/2001, e troverebbe rimedio nella relativa disciplina.

Non pertinente, peraltro, si rivela il richiamo alla famosa decisione Battistella delle Sezioni Unite, le quali sono intervenute con tale decisione nell'ambito di un quadro procedimentale che da un lato prevede che dall'accertamento della nullità del capo di imputazione per genericità dello stesso da parte del giudice del dibattimento, consegue, ai sensi dell'art. 185, comma 3, c.p.p., l'immediata regressione del procedimento allo stato o al grado in cui è stato compiuto l'atto nullo, con restituzione degli atti al giudice dell'udienza preliminare dinanzi al quale si è prodotta la nullità e dall'altro dispone che questi deve attivare il proprio potere-dovere di sollecitare il pubblico ministero ad integrare o precisare la contestazione – salva la possibilità per il pubblico ministero, prendendo atto del provvedimento del Tribunale, di modificare di propria iniziativa l'imputazione (Cass. pen., Sez. un., 20 dicembre 2007, n. 5307). In questo quadro, la qualifica di abnormità viene attribuita dalle Sezioni Unite – non, come pretenderebbero le difese, ad un decreto di rinvio a giudizio con cui non venga rinvenuto il vizio di genericità dell'imputazione, bensì – al caso in cui il giudice per l'udienza preliminare ritenga la richiesta di rinvio a giudizio viziata per genericità o indeterminatezza del capo di imputazione e restituisca gli atti al pubblico ministero senza avergli previamente richiesto di precisare la richiesta.

Di contro, nel caso in esame, non si è verificata alcuna regressione del procedimento dalla fase dell'udienza preliminare a quella delle indagini preliminari, sicché non viene in rilievo una categoria di abnormità già definita dalla giurisprudenza.

Quanto alla presunta violazione del disposto dell'art. 28 c.p.p., il vizio viene escluso in quanto nel caso di specie il giudice per l'udienza preliminare non ha dato vita ad alcun conflitto con il giudice del dibattimento. In proposito, posto che l'ordinanza con la quale il giudice del dibattimento dichiara la nullità del decreto che dispone il giudizio per genericità o indeterminatezza del capo di imputazione e restituisce degli atti al giudice dell'udienza preliminare non è impugnabile (anche se errata), dovendo il giudice per l'udienza preliminare, ai sensi dell'art. 185, commi 2 e 3, c.p.p., rinnovare l'atto nullo, nulla impone a quest'ultimo di rispettare in maniera pedissequa i parametri fissati nella parte motivazionale dell'ordinanza declaratoria della nullità. Nessuna norma infatti prevede un vincolo siffatto, come avviene invece, ad esempio, per il giudice di rinvio ex art. 627, comma 3, c.p.p.; inoltre una decisione giudiziale diventa "definitiva", quindi "stabile" e perciò "vincolante" in ogni sua parte quando siano esauriti i mezzi di impugnazione mentre un provvedimento semplicemente non impugnabile non può assumere gli effetti di vincolo generalizzato nel compendio statuizione e motivazione, poiché, anche se errato (ma non abnorme), non è suscettibile di controllo e di eventuale modifica, ma sarà destinato semplicemente a produrre effetti solo rebus sic stantibus.

In sostanza, l'ordinanza del giudice dibattimentale di dichiarazione della nullità del decreto di rinvio a giudizio con restituzione degli atti al giudice per l'udienza preliminare produce gli effetti derivanti dalla statuizione dispositiva (il decreto di rinvio a giudizio è spazzato via e occorre rinnovarlo), ma non in quella motivazionale che, sottraendosi a qualunque controllo, non vincola il giudice destinatario del provvedimento ad attenersi al suo contenuto, essendo questi obbligato soltanto a rinnovare l'atto nullo. Il che, secondo la Cassazione, è quanto si è verificato nel caso di specie dove il giudice dell'udienza preliminare ha adempiuto agli obblighi essenziali scaturenti dalla declaratoria di nullità; se poi il nuovo decreto soddisfi o meno il requisito di cui agli artt. 429, comma 2, c.p.p. e 61, comma 2, I. n. 231/2001, sarà compito del giudice del dibattimento stabilirlo confrontando l'atto non coi parametri indicati nella motivazione della precedente ordinanza emessa dal Tribunale, ma con il modello legale di riferimento e con i principi elaborati dalla giurisprudenza, nel pieno esercizio della propria autonomia valutativa, senza vincoli di sorta.

Osservazioni

La decisione in commento ribadisce per certi aspetti alcuni principi consolidati in tema di corretta modalità della formulazione dell'imputazione ed in ordine agli strumenti con cui reagire a contestazioni del pubblico ministero eccessivamente generiche e non determinate, ribadendo il dictum delle Sezioni Unite Battistella.

Al contempo, però, la pronuncia si segnala perché estende espressamente la portata di questi principi anche al processo verso le società.

Va in primo luogo evidenziato che rispetto a quanto da sempre si sostiene – ovvero che con riferimento al profilo relativo all'esposizione del fatto da cui deriva la responsabilità dell'ente, il pubblico ministero dovrà indicare che il reato presupposto è stato commesso nell'interesse o a vantaggio della persona giuridica, nonché quale sia la natura del rapporto funzionale che lega l'autore dell'illecito penale allo stesso ente, evidenziando anche l'eventuale insufficienza dei modelli organizzativi, di gestione o di controllo operanti all'interno della società –, nella decisione si indica chiaramente che l'imputazione deve precisare anche in cosa sia consistito il vantaggio ottenuto dalla società a seguito della commissione dell'illecito. Trattasi di profilo rilevante e che si ricollega a quanto di recente sta affermando la giurisprudenza in tema di responsabilità degli enti collettivo per i reati di lesioni o omicidi colposi conseguenti alla violazione della normativa antiifortunistica (Cass. pen., Sez. IV, 13 settembre 2019, n. 16713; Cass. pen., Sez. IV, 27 novembre 2019, n. 49775; Cass. pen., Sez. IV, 24 settembre 2019, n. 43656; Cass. pen, Sez. IV, 24 gennaio 2019, n. 16598), nel tentativo di arginare una tendenza – a volte riscontrabile nelle decisioni di merito – secondo cui, specie con riferimento agli illeciti colposi addebitabili ad un soggetto che riveste la qualifica di datore di lavoro in una società, la persona giuridica sarebbe beneficiata dal reato ogni qualvolta e per il solo fatto che si sia in presenza di una mera ricaduta patrimoniale favorevole in capo alla persona giuridica.

Alla luce di quanto (sia pur sommariamente) indicato nella pronuncia in esame, pare di poter sostenere che la Cassazione pretenda che la contestazione nei confronti dell'ente non si limiti ad asserire la presenza di un vantaggio in capo all'ente ma precisi come il delitto commesso dal singolo rispondesse ex ante ad un interesse della società o abbia consentito alla stessa di conseguire un vantaggio. Quando questa precisazione manchi, il giudice dovrà richiedere al pubblico ministero di integrare la contestazione e solo in caso di inerzia da parte del titolare della pubblica accusa potrà rinviare allo stesso gli atti dichiarando la nullità dell'esercizio dell'azione penale.

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