Valido il ricorso tributario se quello notificato al contribuente è difforme a quello depositato

Francesco Brandi
04 Dicembre 2020

Il ricorso tributario resta valido se l'atto notificato è diverso da quello nel fascicolo ma non lede il diritto di difesa. La sanzione dell'inammissibilità, infatti, è riservata alle discrepanze che incidono sulla comprensione del contenuto da parte del destinatario e sullo svolgimento della sua attività, in violazione del fondamentale diritto di difesa di cui all'art. 24 Cost..

Lo ha affermato la Cassazione con l'ordinanza n. 27388/20, depositata il 1° dicembre 2020, con cui ha accolto il ricorso di una società nei confronti dell'Agenzia delle Entrate.

Ricorso tributario: inammissibilità.

Sul punto si ricorda che le previsioni di inammissibilità, proprio per il loro rigore sanzionatorio, devono essere interpretate in senso restrittivo, limitandone cioè l'operatività ai soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato; ciò anche tenendo presente l'insegnamento fornito dalla Corte Costituzionale, con particolare riguardo al processo tributario, secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in armonia con i valori della «tutela delle parti in posizione di parità, evitando irragionevoli sanzioni di inammissibilità» (Corte Costituzionale nn. 189 del 2000 e 520 del 2002).


In particolare, con riferimento alla previsione di cui al D.lgs. n. 546/1992, art. 22, comma 1, riguardante la attività di consegna del ricorso in originale all'Ufficio finanziario e di deposito della copia, attestata come conforme dalla parte, presso la Segreteria della Commissione, non si può far discendere l'inammissibilità del ricorso introduttivo del giudizio dalla eventuale irregolarità che abbia avuto ad oggetto tale procedura - come nel caso di specie in cui l'ordine procedimentale risulta esattamente "rovesciato", con la consegna della copia (anziché dell'originale) all'Ufficio e il deposito dell'originale (anziché della copia conforme) presso l'organo giurisdizionale. (cfr. Cass. 17533/2019).


Ancora, l'omessa sottoscrizione dell'atto deve essere intesa in senso restrittivo, ossia come mancanza radicale del requisito imposto dalla legge, la quale non ricorre allorché la copia dell'atto, notificata all'Ufficio finanziario, sia una fotocopia dell'originale regolarmente sottoscritto e depositato nella segreteria della Commissione tributaria, ben potendo, in tal caso, l'Amministrazione finanziaria riscontrare l'esistenza della firma della parte o del suo difensore tramite consultazione di detto originale, cui la fotocopia notificatale implicitamente rinvia (cfr. Cass. n. 4315/2011).

Caso concreto.

La Commissione tributaria regionale aveva dichiarato inammissibile il ricorso della contribuente sul presupposto che l'esemplare notificato all'Agenzia delle Entrate, risultava difforme rispetto a quello depositato in atti. Nella specie si trattava di tre distinti ricorsi avverso tre diversi avvisi di accertamento. Il ricorso relativo all'annualità 2005 era stato dichiarato inammissibile in quanto l'esemplare notificato all'Agenzia delle Entrate risultava difforme da quello depositato in atti, avente ad oggetto l'annualità 2004.
Di qui il ricorso in Cassazione dove la società ha contestato la pronuncia per avere la Commissione tributaria regionale dichiarato l'inammissibilità del ricorso senza avere individuato un interesse leso, laddove la legge, nel sancire l'inammissibilità del ricorso in caso di difformità tra l'esemplare notificato e quello depositato, è volta a garantire esclusivamente il contraddittorio e il diritto di difesa.


Nell'accogliere il ricorso, la Cassazione restringe di molto i caso in cui può essere pronunciata una sentenza di inammissibilità.

Il diritto inviolabile alla difesa per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi, sancito dall'articolo 24 della Costituzione, può essere vanificato attraverso una pronuncia di inammissibilità solo in relazione a vizi di natura non formale, che a loro volta pregiudichino interessi del pari costituzionalmente protetti quali l'effettività del contraddittorio (cfr. Cass. n. 3042/2008).


Ai fini dell'accertamento dell'operatività della sanzione dell'inammissibilità, occorre avere riguardo non tanto all'aspetto quantitativo e qualitativo della discrepanza di forma-contenuto tra l'atto depositato e quello notificato, quanto, piuttosto, al profilo effettuale, ossia alla concreta incidenza della difformità sulla comprensione, da parte del destinatario, del contenuto del ricorso e, di conseguenza, sullo svolgimento dell'attività difensiva.


Nel caso di specie, risulta incontroverso e, comunque, emerge dalla sentenza gravata, che l'Agenzia delle Entrate, nonostante l'appurata difformità tra l'atto notificatole e quello inserito nel fascicolo d'ufficio all'atto della costituzione della società, abbia articolato compiute difese proprio in ordine al ricorso avente ad oggetto l'impugnazione dell'avviso di accertamento relativo all'anno in contestazione, così che non vi è controversia tra le parti in merito all'individuazione dell'oggetto del contendere, ossia sul petitum e sulla causa petendi dell'azione proposta. Ne discende che l'incontestata diversità contenutistica tra l'originale notificato all'amministrazione finanziaria rispetto all'esemplare inserito nel fascicolo della parte ricorrente, osservata alla luce del criterio ermeneutico suggerito dalla più recente elaborazione della Cassazione e del canone di effettività della tutela giurisdizionale, «non risulta avere in concreto assunto attitudine lesiva del diritto di difesa» (cfr. in senso conforme Cass. n. 13058/2017).


Confermato dunque l'orientamento per cui le previsioni di inammissibilità vanno interpretate in senso restrittivo, essendo giustificate solo come extrema ratio, in quanto lesive del principio di effettività della tutela giurisdizionale (cfr. Cass. nn. 16758/2016 e 10282/2013).

Fonte: Diritto e Giustizia

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