Abuso del diritto ed elusione fiscale: l'inopponibilità all'Amministrazione Finanziaria degli atti privi di valide ragioni economiche

09 Dicembre 2020

Le parti del rapporto obbligatorio sono chiamate al rispetto di una serie di regole normativizzate all'art. 10, Legge n. 212/2000, rubricato “Principio di leale collaborazione e buona fede”. Il suddetto principio impone alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede, in linea con la necessità di migliorare il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuente. La relazione tra le parti si configura come un'obbligazione, seppur intercorrente tra soggetti che non si trovano in posizione paritaria, pertanto è possibile applicare le stesse regole previste in ambito civilistico.
Le regole di condotta del rapporto obbligatorio

Le parti del rapporto obbligatorio sono chiamate al rispetto di una serie di regole normativizzate all'art. 10, Legge n. 212/2000, rubricato “Principio di leale collaborazione e buona fede”.

Il suddetto principio impone alle parti di comportarsi secondo correttezza e buona fede, in linea con la necessità di migliorare il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuente.

La relazione tra le parti si configura come un'obbligazione, seppur intercorrente tra soggetti che non si trovano in posizione paritaria, pertanto è possibile applicare le stesse regole previste in ambito civilistico.

Primo fra tutti il dovere informativo: il contribuente è tenuto ad informare l'amministrazione finanziaria della propria situazione reddituale al fine di contribuire alle spese statali mediante la presentazione della dichiarazione (l'Amministrazione finanziaria assume iniziative volte a garantire che i modelli di dichiarazione, le istruzioni e, in generale, ogni altra propria comunicazione siano messi a disposizione del contribuente in tempi utili e siano comprensibili anche ai contribuenti sforniti di conoscenze in materia tributaria e che il contribuente possa adempiere le obbligazioni tributarie con il minor numero di adempimenti e nelle forme meno costose e più agevoli (art. 6, comma 3, Legge n. 212/2000)) e dall'altro l'amministrazione finanziaria deve informare in modo adeguato il contribuente di ogni attività posta in essere nei suoi confronti per consentire allo stesso di esercitare le proprie difese. Le parti sono obbligate all'informativa sulle circostanze cd. rilevanti che possono avere incidenza sul prosieguo del rapporto obbligatorio.

Ad esempio, l'amministrazione deve informare il contribuente di ogni fatto o circostanza a sua conoscenza dai quali possa derivare il mancato riconoscimento di un credito ovvero l'irrogazione di una sanzione, richiedendogli di integrare o correggere gli atti prodotti che impediscono il riconoscimento, seppur parziale, di un credito. Ancora, il dovere di chiarezza che impone all'amministrazione finanziaria di redigere in modo chiaro e intellegibile ogni atto interno, sia sotto forma di circolare, sia sotto forma di risoluzione da portare a conoscenza dei contribuenti con mezzi idonei. L'Amministrazione Finanziaria deve assumere idonee iniziative volte a consentire la completa e agevole conoscenza delle disposizioni legislative e amministrative vigenti in materia tributaria, anche curando la predisposizione di testi coordinati e mettendo gli stessi a disposizione dei contribuenti presso ogni ufficio impositore. Tutti gli atti dell'amministrazione finanziaria e dell'agente della riscossione devono essere adeguatamente motivati e tali da far comprendere le ragioni della pretesa.

Essi devono contenere tassativamente l'indicazione dell'ufficio presso il quale è possibile ottenere informazioni complete in merito all'atto notificato o comunicato o il responsabile del procedimento; l'organo o l'autorità amministrativa presso i quali è possibile promuovere un riesame anche nel merito dell'atto in sede di autotutela; le modalità, il termine, l'organo giurisdizionale e l'autorità amministrativa cui è possibile ricorrere in caso di atti impugnabili. Al fine di rafforzare il rapporto tra amministrazione finanziaria e contribuente è stato istituito il cd. Garante del contribuente che, anche sulla base di segnalazioni inoltrate per iscritto dal contribuente o da qualsiasi altro soggetto interessato che lamenti disfunzioni, irregolarità, scorrettezze, prassi amministrative anomale o irragionevoli o qualunque altro comportamento suscettibile di incrinare il rapporto di fiducia tra cittadini e amministrazione finanziaria, rivolge richieste di documenti o chiarimenti agli uffici competenti, i quali rispondono entro trenta giorni e attiva le procedure di autotutela nei confronti di atti amministrativi di accertamento o di riscossione notificati al contribuente. È inoltre previsto un vero e proprio codice di comportamento per il personale addetto alle verifiche tributarie emanato dal Ministro delle Finanze, sentiti i direttori generali del Ministero e delle finanze ed il Comandante Generale della Guardia di Finanza.

La violazione del principio di buona fede: l'abuso del diritto e l'elusione fiscale

Come noto, l'obbligazione tributaria è una relazione che intercorre tra due soggetti che si trovano in posizioni opposte: l'Amministrazione finanziaria che mira alla massimizzazione del profitto, dall'altra il contribuente punta a ridurre il carico fiscale.

Qualora il contribuente non si comporti in modo conforme alle regole della correttezza e della buona fede, la condotta è considerata fiscalmente rilevante. L'abuso del diritto e l'elusione fiscale hanno subìto nel tempo una serie di modifiche: originariamente l'istituto era disciplinato dall'art. 37-bis d.P.R. n. 600/73 per poi essere trasfuso nell'art. 10-bis L. n. 212/2000.

Il passaggio non è di poco rilievo, se si considera che l'attuale disciplina è contenuta all'interno dello Statuto dei diritti del contribuente e, dunque, diviene destinataria di una tutela propria dei principi statutari. La disciplina dell'abuso del diritto o elusione fiscale è stata inserita in un apposito e nuovo articolo, l'art. 10-bis della legge 27 luglio 2000, n. 212 (Statuto dei diritti del contribuente), per soddisfare l'esigenza di introdurre un istituto che, conformemente alle indicazioni della legge delega 11 marzo 2014, n. 23, unifichi gli istituti dell' elusione e dell' abuso del diritto e conferisca a questo regime valenza generale con riguardo a tutti i tributi, sia quelli armonizzati, per i quali l'abuso trova fondamento nei principi dell'ordinamento dell'Unione Europea, sia quelli non armonizzati, per i quali il fondamento è individuabile nel principio costituzionalmente tutelato della capacità contributiva. Il punto da cui muove l'istituto è da individuarsi nella necessità che ogni condotta posta in essere dal contribuente sia sorretta da “valide ragioni economiche” che la giustifichino. Qualora tali ragioni non sussistano e dalla condotta derivino dei vantaggi indebiti, l'operazione è considerata fiscalmente rilevante con conseguente irrogazione di una sanzione.

L'art. 10-bis, L. 212/2000, precisa che “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

Tali operazioni non sono opponibili all'amministrazione finanziaria che ne disconosce i vantaggi determinando i tributi sulla base delle norme e dei principi elusi e tenuto conto di quanto versato dal contribuente per effetto di dette operazioni”. La legge considera abusive le operazioni prive di sostanza economica i fatti, gli atti e i contratti anche tra loro collegati inidonei a produrre effetti significativi diversi dai vantaggi fiscali.

Sono indici di mancanza di sostanza economica, in particolare, la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità dell'utilizzo degli strumenti giuridici a normali logiche di mercato, nonché i vantaggi fiscali indebiti, i benefici anche non immediati, realizzati in contrasto con le finalità delle norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario (per approfondimenti sull'elusione fiscale vd. si A. Lovisolo, L'evasione e l'elusione tributaria in Dir. prat. trib. 1984, I, 1290.). Ciò che si desume dalla lettura della norma è la prevalenza della sostanza sulla forma: anche se l'operazione formalmente è corretta, rileva la violazione sostanziale che determina un aggiramento della ratio della norma. Il legislatore si premura di specificare che non si considerano abusive, in ogni caso, le operazioni giustificate da valide ragioni extra fiscali, non marginali anche di ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o funzionale dell'impresa ovvero dell'attività professionale del contribuente. Resta ferma, in ogni caso, la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale. L'elusione fiscale si presenta come una violazione indiretta della norma giuridica (in ossequio ai principi espressi dalla Raccomandazione 2012/772/UE l'elusione fiscale sussiste quando l'operazione economica in esame manca di sostanza economica, i cui indici sono: la non coerenza della qualificazione delle singole operazioni con il fondamento giuridico del loro insieme e la non conformità degli strumenti giuridici alle normali logiche di mercato. I vantaggi fiscali indebiti si considerano i benefici realizzati in contrasto con le norme fiscali o con i principi dell'ordinamento tributario) se si tiene in considerazione che l'ordinamento giuridico riconosce il diritto di dedurre le spese dal reddito complessivo ovvero di detrarre delle somme dall'imposta lorda, purchè tale diritto sia esercitato secondo i principi della correttezza e buona fede.

Il diritto alle deduzioni o detrazioni è strumentale alla corretta applicazione del principio di capacità giuridica, perché consente di colpire l'effettiva capacità contributiva del soggetto. Se il diritto viene esercitato senza valide ragioni economiche la condotta è sanzionata con il disconoscimento e conseguente recupero dell'imposta elusa. In altre parole, il fatto economicamente rilevante generatore dell'obbligazione tributaria si è verificato, ma il contribuente cerca di ridurre gli effetti, minimizzando il carico tributario, cercando di ottenere un risparmio di imposta indebito. La riduzione dell'onere fiscale è non soltanto un comportamento lecito, ma riconosciuto dall'ordinamento giuridico al fine di rendere la pretesa compatibile con la capacità contributiva del contribuente, tuttavia, laddove il diritto non fosse esercitato sulla base di valide ragioni economiche, la condotta andrebbe sanzionata. Proprio tale circostanza rappresenta una peculiarità dell'istituto in esame che ravvisa il suo fondamento nella legittimità di una condotta strumentale, tuttavia, al raggiungimento di uno scopo non riconosciuto dall'ordinamento giuridico (Sulla clausola antiabuso F. Amatucci, in Abuso del diritto ed elusione fiscale, a cura di E. d. V, V. Ficari, G. Marini, Torino, 2017, 99 ss.).

Il contribuente eccede i limiti previsti dalla legge, abusando del suo diritto, e la condotta assume i caratteri di una condotta fiscalmente rilevante. Come noto, l'elusione fiscale differisce dall'evasione fiscale, perché il contribuente pone in essere un comportamento formalmente legittimo, mentre la condotta evasiva si configura come una violazione diretta della norma giuridica per mezzo della quale il contribuente si sottrae al carico fiscale (in materia tributaria, i concetti di evasione ed elusione (o abuso), pur accomunati dalla richiesta di un tributo maggiore rispetto a quanto dichiarato dal contribuente, non sono sovrapponibili, atteso che mentre il primo si riferisce alla pretesa impositiva su fatti realmente posti in essere, anche di rilievo penale, ma occultati al Fisco (come l'uso di documenti falsi), il secondo riguarda la pretesa impositiva su fatti che non sono stati realmente posti in essere (e dunque non dichiarati), ma che, secondo il Fisco, si sarebbero dovuti compiere, stante la finalità perseguita di ottenere, attraverso l'uso distorno degli strumenti giuridici, risparmi di imposta non dovuti perché incoerenti con lo spirito della legge e i principi del sistema fiscale, in ciò consistendo l'equivalenza dell'elusione con l'abuso).

Con l'elusione, il contribuente mira ad una minimizzazione dell'onere fiscale, indebitamente e, pertanto, tale condotta è sanzionata (Le costruzioni di puro artificio vanno considerate in relazione alla loro sostanza economica e deve escludere il carattere elusivo di una operazione caratterizzata dalla compresenza seppur non marginale di ragioni extra fiscali che possono consistere in esigenze di natura organizzativa che implicano un miglioramento strutturale e funzionale del contribuente).

Il contribuente, infatti, non può trarre indebiti vantaggi fiscali dall'utilizzo distorto, pur se non in diretta violazione della norma tributaria, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione (M. Beghin, L'elusione tributaria tra inopponibilità dei vantaggi fiscali, nullità dei contratti ed “invasivo” esercizio della funzione giurisdizionale in Elusione fiscale; G. Maisto, Elusione ed abuso del diritto tributario, in Quaderni della rivista di diritto tributario, Giuffrè).

Pur agendo formalmente secondo le prescrizioni di legge, la norma tributaria è elusa ponendo in essere una condotta anomala. Per distinguere l'elusione fiscale dal lecito risparmio di imposta, occorre differenziare i vantaggi fiscali indebiti da quelli conformi alla logica della norma tributaria, superando il mero dato letterale (F. Amatucci, Principi e nozioni di diritto tributario, Giappichelli, 2018, 120 ss.).

Da quanto fino a tal punto esaminato appare opportuno sottolineare che in materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l'uso distorto, pur se non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta, in difetto di ragioni economicamente apprezzabili che giustifichino l'operazione, la cui ricorrenza rientra nell'onere probatorio (l'elemento del vantaggio indebito dell'abuso del diritto non è rinvenibile nella mera violazione della “ratio” formale degli istituti volti ad ottenere il risparmio fiscale, ovverosia nel riscontro di una semplice originalità degli schemi giuridici scelti dal contribuente per ottenere il risparmio fiscale. Ma consiste nella violazione della “ratio” sostanziale delle norme fiscali applicate, vale a dire nel contrasto fra la finalità dell'operazione economica realizzata e quella degli istituti tributari attivati. Inoltre, nell'accertamento processuale dell'elusione, la prova dell'essenzialità dell'indebito incombe preliminarmente sull'Amministrazione finanziaria, gravando però sul contribuente l'onere dell'allegazione contraria delle ragioni extrafiscali delle operazioni controverse.) del contribuente (CTR, sez. II, n. 2221/2017 in Redazione Giuffrè, 2017).

È considerata pratica abusiva l'operazione economica che, attraverso l'impiego “improprio” e “distorto” dello strumento negoziale abbia come scopo l'elusione della norma giuridica, mentre l'astratta configurabilità di un vantaggio fiscale non è sufficiente ad integrare la fattispecie abusiva (Cass. civ. Sez. V, 30/09/2020, n. 20823 in Massima Redazionale, 2020.).

Mentre, la Suprema Corte afferma che non integra elusione fiscale il perseguimento di un risparmio di imposta unitamente ad un reale obiettivo economico (Cass. civ. Sez. V, trib. 28 maggio 2020). Anche la Corte di Giustizia si è più volte pronunciata sulla tematica delle condotte elusive, con la sentenza Halifax i giudici comunitari hanno evidenziato che affinchè possa parlarsi di comportamento abusivo, le operazioni controverse devono, nonostante l'applicazione formale delle condizioni previste dalle pertinenti disposizioni della VI Direttiva e dalla legislazione nazionale che la traspone, portare ad un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all'obiettivo perseguito da quelle stesse disposizioni. Secondo la pronuncia in questione l'elusione fiscale deve risultare da elementi obiettivi che le dette operazioni hanno essenzialmente lo scopo di ottenere un vantaggio fiscale (CGUE 21 febbraio 2006, Halifax, causa C – 255/07.)

Dalle considerazioni fin qui svolte si giunge a ritenere che la clausola antielusiva ha un carattere generale con il compito di assicurare la giustizia nella ripartizione del carico tributario tra i contribuenti. Uno strumento per combattere l'elusione fiscale è l'art. 53 Cost. (M. Beghin, Evoluzione e stato della giurisprudenza tributaria: dalla nullità negoziale all'abuso del diritto nel sistema impositivo nazionale in G. Maisto, Elusione ed abuso del diritto tributario, op. loc. cit.atteso che la correttezza delle condotte è richiesta proprio al fine di conseguire un'equità fiscale che prescrive l'obbligo a carico di ciascun contribuente di concorrere alle spese dello Stato in ragione della propria capacità contributiva. La capacità contributiva in ragione della quale il contribuente è chiamato a concorrere alle pubbliche spese “impone” il ragionevole collegamento del tributo ad un effettivo indice di ricchezza (CTR., sez. II, n. 2221/2017 in Redazione Giuffrè, 2017).

Il procedimento di interpello antielusivo

Come noto, l'ordinamento giuridico ha previsto una serie di strumenti per consentire alle parti del rapporto obbligatorio di confrontarsi preliminarmente sull'interpretazione di una norma giuridica o sulla relativa qualificazione ovvero per avere chiarimenti sull'adozione di una determinata condotta. Si tratta del procedimento di interpello disciplinato all'art. 11, Legge n. 212/2000, rubricato “Diritto di interpello” che consente l'instaurazione di un momento di confronto tra le parti, per prevenire l'adozione di condotte fiscalmente rilevanti. Nella fattispecie, il procedimento di interpello antielusivo consente al contribuente, di richiedere all'Ufficio se la condotta che è in procinto di adottare possa integrare gli estremi di una condotta elusiva e rientrare nell'ambito di operatività dell'art. 10 bis l. 212/2000. Il procedimento è attivabile mediante la proposizione di una istanza in carta semplice contenente la descrizione della condotta e la richiesta espressa della natura elusiva o meno. Il contribuente si rivolge all'Ufficio per ottenere un chiarimento circa l'applicazione della disciplina sull'abuso del diritto ad una specifica fattispecie. L'interpello antiabuso è per sua natura speciale di guisa che si conclude nel termine di centoventi giorni. La risposta scritta e motivata vincola ogni organo dell'amministrazione con esclusivo riferimento alla oggetto dell'istanza e limitatamente al richiedente. Tuttavia, la mancata risposta da parte dell'Ufficio consente l'applicazione della disciplina del silenzio assenso, atteso che l'Ufficio dimostra, assumendo una condotta di contegno, di condividere la soluzione indicata dal contribuente. Sulla base del principio del venire contra factum proprium ogni atto, a carattere impositivo o sanzionatorio, difforme dalla risposta espressa o tacita è affetto da nullità. Tale efficacia si estende ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello, salvo rettifica della soluzione interpretativa da parte dell'amministrazione con valenza esclusivamente per gli eventuali comportamenti futuri dell'istante. L'amministrazione provvede alla pubblicazione mediante la forma di circolare o di risoluzione delle risposte rese nei casi in cui un numero elevato di contribuenti abbia presentato istanze aventi ad oggetto la stessa questione o questioni analoghe fra loro. Il contribuente può chiedere all'Amministrazione Finanziaria anche la disapplicazione della norma antielusiva (art. 10-bis l. 212/2000), mediante l'instaurazione di un procedimento di interpello cd. disapplicativo (Il contribuente che presenta interpello per la disapplicazione delle norme anti - elusive ha l'onere di fornire la prova contraria, purchè dimostri la sussistenza di “oggettive situazioni di carattere straordinario” specifiche ed indipendenti dalla sua volontà, che hanno impedito il raggiungimento della soglia di operatività e del reddito minimo presunto. Cfr. Cass. Civ. Sez. V, Ord. 20/04/2018 n. 9852).

Il contribuente è tenuto, tuttavia, a dimostrare che la condotta sia stata tenuta per ragioni di impossibilità oggettive. L'Amministrazione finanziaria inizia un procedimento che consta di una fase istruttoria, di analisi delle documentazioni addotte dal contribuente. Molto si è discusso circa l'impugnabilità o meno del diniego di interpello disapplicativo. La soluzione al quesito non può prescindere dalla considerazione che il procedimento di interpello disapplicativo origina una fase istruttoria, di raccolta di elementi, che pone il contribuente in una situazione di debolezza (in caso di interpello disapplicativo, il contribuente è, quantomeno in astratto e ferme restando tutte le riserve del caso, obbligato per legge a presentare l'istanza al fine di fruire di un regime fiscale cui altrimenti (sempre in teoria) non avrebbe accesso. In tal senso A. Fazio, L'interpello tributario nella prospettiva della responsabilità sociale dell'impresa in Dir. e Prat. Trib. 2019, 2, 542.).

Il diniego all'istanza di interpello disapplicativo, anche se non rientra tra gli atti elencati dall'art. 19 D.lgs. n. 546/1992 è impugnabile. Tale atto, infatti, ha la capacità di incidere immediatamente sulla sfera giuridica del destinatario e quindi non può negarsi che il contribuente abbia l'interesse ex art. 100 c.p.c., ad invocare il controllo giurisdizionale sulla legittimità dell'atto in esame.

Istituti a confronto: negozio in frode alla legge e simulazione

L'elusione fiscale presenta elementi in comune con il cd. negozio in frode alla legge.

L'ordinamento giuridico prescrive che il negozio in frode alla legge è quello “che persegue una finalità vietata in assoluto dall'ordinamento in quanto contraria a norme imperative o ai principi dell'ordine pubblico o del buon costume ovvero perché diretta ad eludere una norma imperativa”.

Si tratta, dunque, di una operazione negoziale che apparentemente rispetta il dettato normativo, ma ne viola indirettamente la ratio. L'intento dei contraenti nel negozio in frode alla legge non ha una rilevanza meramente soggettiva, ma il contratto diviene lo strumento per aggirare l'ordinamento giuridico. Occorre, dunque, considerare il tipo negoziale atteso che ogni tipo assolve ad una funzione economico - sociale ed è il mezzo che il legislatore riconosce ai privati per perseguire quel determinato scopo. L'ordinamento giuridico irroga al contratto stipulato in frode alla legge la sanzione della nullità. L'art. 1343 c.c. evidenzia che “si reputa, altresì, illecita la causa quando il contratto costituisce il mezzo per eludere l'applicazione di una norma imperativa”.

L'elusione fiscale differisce dalla simulazione, istituto che determina una incongruenza tra quanto voluto e quanto dichiarato. La simulazione può essere assoluta, allorquando le parti non vogliono che dal contratto derivi alcun effetto ovvero relativa e in tal caso si parla di negozio dissimulato, perché le parti vogliono che dal contratto derivino effetti di un altro contratto del quale sussistano i requisiti di sostanza e di forma. Di particolare rilevanza è la cd. controdichiarazione, documento all'interno del quale le parti attestano che il contratto stipulato tra loro non è voluto ovvero è voluto con effetti diversi. La simulazione non può essere opposta né dalle parti contraenti, né dagli aventi causa o dai creditori del simulato alienante, ai terzi che in buona fede hanno acquistato diritti dal titolare apparente, salvo gli effetti della trascrizione della domanda di simulazione (art. 2652, 4, c.c.). I terzi possono far valere la simulazione in confronto delle parti, quando essa pregiudica i loro diritti. Secondo la disciplina civilistica, la simulazione può essere provata con ogni mezzo e, dunque, anche con testimoni o per presunzioni, senza limiti di sorta.

Il procedimento di accertamento antielusivo

Senza pregiudizio dell'ulteriore azione accertatrice, nei termini stabiliti per i singoli tributi, l'abuso del diritto è accertato con apposito atto, preceduto a pena di nullità dalla notifica al contribuente di una richiesta di chiarimenti da fornire entro il termine di sessanta giorni, all'interno della suddetta richiesta sono indicate anche le ragioni sottese alla presunzione di condotta elusiva. Al fine di rideterminare la pretesa erariale, dunque, al seguito di una condotta cd. elusiva l'Amministrazione Finanziaria origina un procedimento di accertamento cd. antielusivo.

Con il metodo antielusivo l'Amministrazione Finanziaria accerta la sussistenza della condotta antielusiva sulla base di presunzioni gravi, precise e concordanti (art. 39, primo comma, d.P.R. n. 600/1973) ed al seguito di un confronto con il contribuente. Successivamente, qualora sussistano elementi sufficienti l'Ufficio emette il provvedimento di accertamento contro il quale il contribuente può presentare impugnazione nel termine di sessanta giorni dalla notifica. Prima, tuttavia, di emettere il suddetto provvedimento l'Ufficio è tenuto a convocare il contribuente per consentire di esercitare il proprio diritto di difesa e presentare giustificazioni o documenti a sostegno della non elusività della condotta. Si tratta, dunque, di un contraddittorio riconosciuto dalla lettera del dettato legislativo che testualmente prevede che “a pena di nullità deve essere notificata al contribuente una richiesta di chiarimenti in cui sono indicati i motivi per cui si ritiene configurabile un abuso del diritto”.

L'Amministrazione Finanziaria opera sulla base di indizi gravi, precisi e concordanti, sicchè il contribuente può contestare la presunzione dimostrando la regolarità della propria condotta. Non è sufficiente, dunque, che sussista un solo indizio essendo necessario che siano molteplici gli elementi indiziari che hanno indotto l'Ufficio ad attivare il procedimento di accertamento ed, eventualmente, all'emanazione del provvedimento conclusivo. Gli elementi divengono qualificati per effetto dell'instaurazione della fase del contraddittorio che consente all'Ufficio di reperire ulteriori informazioni in sede di confronto. Qualora le giustificazioni addotte non siano idonee ad impedire l'emissione dell'atto impositivo l'Ufficio procede all'adozione del provvedimento di accertamento che deve contenere una motivazione analitica a pena di nullità in relazione alla condotta abusiva, alle norme o ai principi elusi, agli indebiti vantaggi realizzati, nonché ai chiarimenti forniti dal contribuente a seguito di richiesta. L'Ufficio mediante il provvedimento di accertamento provvede a rideterminare l'imposta in considerazione dell'indebito vantaggio fiscale, in aggiunta alle sanzioni ed interessi. Ciò in ragione del fatto che la sanzione irrogata dall'ordinamento giuridico in caso di condotta antielusiva è l'inopponibilità, come se la condotta non fosse stata mai posta in essere.

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