Rito sommario di cognizione e proposizione in via riconvenzionale di causa pregiudiziale riservata alla decisione collegiale

Roberta Metafora
09 Dicembre 2020

La Corte costituzionale ha ritenuto irragionevole che nel caso in cui venga proposta nel procedimento sommario di cognizione una domanda riconvenzionale riservata alla decisione collegiale che sia legata da un rapporto di pregiudizialità-dipendenza con quella principale il giudice adìto ai sensi degli artt. 702-bis e ss. debba dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale proposta, per cui ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 702-ter, comma 2, ultimo periodo, c.p.c., nella parte in cui non prevede che, qualora con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice adito possa disporre il mutamento del rito fissando l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c.
Massima

Va dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 702-ter, comma 2, ultimo periodo, c.p.c., nella parte in cui non prevede che, qualora con la domanda riconvenzionale sia proposta una causa pregiudiziale a quella oggetto del ricorso principale e la stessa rientri tra quelle in cui il tribunale giudica in composizione collegiale, il giudice adito possa disporre il mutamento del rito fissando l'udienza di cui all'art. 183 c.p.c.

Il caso

Gli eredi nominati in un testamento olografo agivano con ricorso ex art. 702-bis c.p.c. nei confronti del proprio genitore chiedendo la restituzione dei beni devoluti in loro favore per effetto della successione. Il convenuto, nel costituirsi in giudizio, domandava in via riconvenzionale l'accertamento della nullità del testamento, affermando la propria qualità di erede in virtù di un precedente testamento pubblico.

Il tribunale adìto notava che la domanda riconvenzionale proposta dal convenuto, essendo demandata alla decisione del tribunale in composizione collegiale, avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile a causa del disposto dall'art. 702-ter, comma 2, ultimo periodo, c.p.c., essendo il rito sommario di cognizione attivabile solo per la risoluzione delle cause attribuite alla cognizione del tribunale in composizione monocratica. Sennonché, avendo la causa riconvenzionale carattere pregiudiziale rispetto a quella formulata in via principale, sollevava questione di legittimità costituzionale del disposto appena citato nella parte in cui prevede in ogni caso la declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale di competenza collegiale, in quanto la norma appariva in contrasto: 1) con il principio di ragionevolezza ex art. 3 Cost., atteso che, a differenza dell'ipotesi in cui la causa riconvenzionale rientri nella competenza per materia o valore di un altro giudice (per la quale l'art. 34 c.p.c. consente lo spostamento di entrambe le controversie al giudice superiore), nel caso in cui la questione pregiudiziale può essere trattata dal medesimo ufficio giudiziario, anche se in diversa composizione, non è assicurata analoga trattazione congiunta; 2) con l'art. 24 Cost., nella misura in cui consente al ricorrente di abusare dei propri poteri processuali ottenendo celermente una decisione sulla domanda principale dipendente, in virtù della maggiore celerità del procedimento sommario rispetto a quello ordinario di cognizione che il convenuto è costretto ad incardinare a seguito della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale.

La questione

La questione sottoposta alla Consulta riguarda la conformità al principio di ragionevolezza e quella di difesa della disposizione contenuta nell'ultimo periodo del 2° comma dell'art. 702-ter c.p.c. nella parte in cui impone al tribunale monocratico adìto con il rito sommario di cognizione di dichiarare inammissibile la domanda riconvenzionale proposta laddove rilevi che essa spetta alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, come tale non rientrante tra le controversie che possono essere trattate con il rito di cui agli artt. 702-bis e ss.c.p.c.

Le soluzioni giuridiche

La Corte costituzionale, ritenuta ammissibile e rilevante la questione, osserva che, come costantemente affermato dalla giurisprudenza di legittimità e di recente ribadito anche con riguardo al rito sommario di cognizione, la connessione tra cause per subordinazione, dovuta ad un rapporto di pregiudizialità-dipendenza, impone la trattazione e la decisione congiunta dei diversi rapporti sostanziali in un solo processo per realizzare il coordinamento del contenuto della loro disciplina. Pertanto, laddove sussista un rapporto di pregiudizialità-dipendenza tra la causa principale e quella riconvenzionale, entrambe le cause vanno trattate congiuntamente, sino al punto di imporre, laddove non sia possibile il simultaneus processus, la sospensione del processo pregiudicato ai sensi dell'art. 295 c.p.c. (e dell'art. 337 c.p.c.). Difatti, qualora nessun coordinamento risulti possibile, potrebbe verificarsi un vero e proprio conflitto di giudicati nell'ipotesi di pronunce contrastanti, «che comporterebbe la “prevalenza” di quella successiva, sempreché non sia stata sottoposta a revocazione; impugnazione questa che è consentita soltanto ove tale seconda sentenza non abbia pronunciato sulla relativa eccezione di giudicato».

Partendo da questa premessa, la Corte osserva che, non essendo possibile interpretare in senso estensivo il dato normativo contenuto nel 2° comma dell'art. 702-terc.p.c. a causa dell'univoco tenore della norma, non resta che dichiararne l'incostituzionalità, in quanto «la norma censurata, nel prevedere in ogni caso, ossia a prescindere dal tipo di connessione sussistente tra la causa riconvenzionale e quella principale, la declaratoria di inammissibilità della prima, ove demandata alla cognizione del tribunale in composizione collegiale, pone una conseguenza sproporzionata e, quindi, irragionevole ex art. 3 Cost., rispetto al pur legittimo scopo perseguito dal legislatore». L'illegittimità costituzionale dell'art. 702-ter, comma 2, ultima parte c.p.c., poi, risulta evidente anche in quanto essa è manifestamente lesiva del diritto di difesa del convenuto, giacché, per effetto della scelta unilaterale dell'attore in favore del rito sommario, la cui causa dipende sul piano del diritto sostanziale da quella riconvenzionale, il convenuto vede inesorabilmente dichiarata inammissibile la propria domanda, risultando costretto a proporre separatamente dinanzi allo stesso tribunale (in composizione collegiale) la domanda riconvenzionale pregiudiziale a quella dedotta in via principale del ricorrente con le forme del procedimento sommario di cognizione.

Per tali motivi, deve affermarsi che, in caso di connessione per pregiudizialità necessaria, il giudice debba poter valutare la domanda riconvenzionale previo mutamento del rito e fissazione dell'udienza di cui all'art. 183 c.p.c., al pari di quanto prevede il terzo comma dell'art. 702-ter c.p.c., nella diversa ipotesi in cui le difese svolte dalle parti richiedano un'istruzione non sommaria.

Osservazioni

Alla base della riforma compiuta dal legislatore del 2009 (poi ribadita dall'art. 183-bis c.p.c., che ammette il passaggio dal rito ordinario a quello sommario solo nelle cause spettanti alla competenza del tribunale monocratico) vi è la considerazione che trattandosi di un rito semplificato, destinato alle cause cd. semplici, esso non possa essere utilizzato per quelle cause che, per la delicatezza della materia, sono destinate alla trattazione collegiale. Partendo da questa premessa, allora, l'art. 702-ter, comma 2, c.p.c. in coerenza con quanto più in generale affermato dall'art. 702-bis, sancisce l'inammissibilità delle domande riconvenzionali rientranti nella competenza del tribunale in composizione collegiale, con ciò realizzando l'ulteriore fine di evitare che la domanda riconvenzionale sia proposta dal convenuto nel procedimento sommario in modo strumentale, al solo fine di determinare la conversione in rito ordinario (Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione (primissime brevi note)).

Da subito, perciò, è prevalsa l'idea, soprattutto a causa dell'inequivoco tenore letterale che il cumulo processuale con le forme del procedimento sommario fosse possibile solo ove le domande connesse fossero proponibili con il rito speciale (così Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, Bologna, 2013, 273, il quale utilizza all'uopo l'efficace locuzione divide et iudica).

La soluzione prescelta, tuttavia, comportava numerosi inconvenienti nell'ipotesi in cui la causa riconvenzionale attribuita alla competenza collegiale fosse legata da un vincolo di continenza o pregiudizialità alla causa principale attribuita alla competenza monocratica.

In questi casi la dottrina aveva notato che per effetto della declaratoria di inammissibilità della domanda riconvenzionale il convenuto era costretto, pena la violazione dei principi del giusto processo e dell'effettività del diritto di difesa, a riproporla seguendo le regole del rito ordinario, il che però avrebbe determinato la sospensione del procedimento sommario, con conseguente frustrazione delle esigenze acceleratorie ad esso sottese (Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione, cit.) e con l'ulteriore rischio, laddove la sospensione non fosse stata possibile, del contrasto tra giudicati.

Per evitare tali rischi, parte della dottrina aveva prospettato una soluzione interpretativa secondo cui nei casi di connessione forte per pregiudizialità-dipendenza tra la causa principale e quella riconvenzionale il giudice avrebbe dovuto dichiarare l'inammissibilità del procedimento sommario per entrambe le cause (Balena, Il procedimento sommario di cognizione, in Foro it., 2009, I, 331; Trib. Biella 9 febbraio 2010); altri, invece, “forzando” il dato normativo, sostenevano un'interpretazione della disposizione, ragionevole e costituzionalmente orientata, la quale, ricorrendo i presupposti appena ricordati, riconosceva in capo al giudice il potere di mutare il rito indirizzando la cognizione delle due domande congiuntamente nello stesso processo secondo il rito ordinario (Olivieri, Il procedimento sommario di cognizione, cit.; nello stesso senso Proto Pisani, Appunti sull'ultima riforma, in Giusto proc. civ., 2010, 117, secondo cui «un'interpretazione costituzionalmente orientata» dell'art. 702-ter, comma 2, c.p.c. indurrebbe a «salvare gli effetti sostanziali e processuali della domanda proposta originariamente in via sommaria, ed a ritenere che il giudice con la stessa ordinanza debba disporre il mutamento del rito»; Romano, A.A., Appunti sul nuovo procedimento sommario di cognizione, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2010, 180, secondo cui, qualora il giudice, anziché dichiarare inammissibile la domanda, disponesse il passaggio al rito ordinario con ordinanza ex art. 702-ter, comma 3, c.p.c. «l'inimpugnabilità di tale ordinanza parrebbe sanare il vizio, precludendone il rilievo nel corso del giudizio»; Bove, Il procedimento sommario di cognizione, ibid., 440, secondo cui il passaggio al rito ordinario «dovrebbe rendere ormai irrilevante il fatto che la domanda fosse inammissibile».

Nonostante le illuminate interpretazioni della norma prospettate da autorevole dottrina, la giurisprudenza ha sempre negato la possibilità di procedere al mutamento del rito delle domande proposte e alla loro contestuale trattazione con il rito ordinario. Sul punto si v. Trib. Bari, 22 aprile 2010, secondo cui nell'ipotesi in cui una controversia spettante alla decisione del collegio sia stata introdotta con il ricorso di cui all'art. 702-bisc.p.c. va dichiarata l'inammissibilità la domanda, senza che sia possibile disporre il passaggio al rito ordinario, nonché Trib. Roma, 27 maggio 2019, Foro it., 2019, I, 2939, con nota di P. Farina, ove si precisa che la trasmigrazione del rito è contemplata legislativamente solo per il caso in cui il giudice ritenga, sulla base delle difese svolte dalle parti, necessaria una istruzione non sommaria della causa; v. però in senso contrario Trib. Milano, 20 marzo 2015, id., 2015, I, 2949, con nota di V. Mastrangelo, che ammette la possibilità per il giudice adìto di mutare il rito anche qualora una causa destinata alla decisione collegiale venga introdotta secondo il rito sommario di cognizione, così garantendo il rispetto dei principî di uguaglianza e ragionevolezza, nonché di strumentalità e di effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni sostanziali (in dottrina, sul principio di effettività, v. Dalfino, Accesso alla giustizia, principio di effettività e adeguatezza della tutela giurisdizionale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2014, 907 ss., nonché Oriani, Il principio di effettività della tutela giurisdizionale, Napoli, 2008).

La chiusura manifestata dalla giurisprudenza è stata aspramente criticata in dottrina, la quale, ravvisata la patente violazione «del principio di eguaglianza e di ragionevolezza ex art. 3 Cost., nonché la lesione dei canoni di cui agli artt. 24 e 111 Cost. e, segnatamente, del principio di strumentalità e di effettività della tutela giurisdizionale delle situazioni sostanziali, siccome intesa a favorire decisioni sul merito anziché in rito», da tempo auspica una pronuncia di illegittimità costituzionale della disposizione «nella parte in cui non prevede la conversione del rito sommario in quello ordinario in luogo della declaratoria di inammissibilità» (Tedoldi, Il nuovo procedimento sommario di cognizione, cit., 170-173 e 183).

Va pertanto salutata con estremo favore la decisione in commento, la quale, nel permettere la trattazione congiunta della domanda principale monocratica e di quella riconvenzionale collegiale con il rito ordinario, evita il rischio di giudicati contraddittori e nel contempo tutela adeguatamente il diritto alla difesa del convenuto e il contraddittorio.

Sebbene la Corte costituzionale taccia sul punto, non pare dubbio che il mutamento del rito in favore di quello ordinario permetta il rispetto delle norme sulla composizione dell'organo giudicante, per cui, in applicazione dell'art. 281-nonies c.p.c., avente la finalità di pervenire ad una decisione unitaria sulla totalità dei petita, a prescindere dalla loro astratta riconducibilità ratione materiae alle attribuzioni funzionali dell'organo monocratico ovvero dell'organo collegiale, le cause connesse dovranno essere trattate e decise dal tribunale in composizione collegiale. Com'è noto, infatti, l'art. 281 nonies c.p.c., riferibile ad ogni tipo di connessione (Trib. Alba, 12 ottobre 2000) si applica tanto nel caso in cui più domande separatamente proposte siano successivamente riunite, sia nell'ipotesi in cui siano proposte cumulativamente ab initio, sia infine quando il cumulo di cause sia conseguenza dell'introduzione in via incidentale di altre domande, a seguito di domande riconvenzionali o di chiamata di terzo o intervento volontario (v. per tutti Proto Pisani, Lezioni di diritto processuale civile, Napoli, 2006, 126).

Inoltre, nonostante il silenzio della Consulta in merito, pare pacifico che, anche in mancanza di una specifica indicazione in tal senso, alla soluzione di ammettere il simultaneus processus con le forme del rito ordinario possa giungersi anche in caso di proposizione di domanda da o nei confronti del terzo legato da una connessione cd. forte con quella principale.