Gli effetti della mancata dichiarazione del terzo nel procedimento esecutivo di pignoramento presso terzi
10 Dicembre 2020
Il quadro normativo
L'impianto del pignoramento presso terzi - come originariamente disegnato in sede di elaborazione del Codice di Procedura Civile e rimasto, per quanto di interesse ai fini del presente approfondimento, nella sostanza inalterato fino alle novità apportate dalla legge n. 228/2012 - prevedeva che il terzo pignorato rendesse la propria dichiarazione in udienza dinanzi al giudice dell'esecuzione e che quest'ultimo, in mancanza di opposizione, assegnasse le somme rese disponibili dal terzo pignorato. Per il caso in cui il terzo pignorato non rendesse dichiarazione, oppure rendesse una dichiarazione che non soddisfacesse il creditore procedente, tale originario impianto normativo prevedeva la possibilità, su istanza di parte, di attivare una fase contenziosa, ossia un vero e proprio giudizio di merito finalizzato a pervenire all'accertamento dell'obbligo del terzo, con l'effetto di sospendere l'esecuzione, la quale sarebbe stata eventualmente riattivata una volta statuita in via definitiva con sentenza l'esistenza dell'obbligo del terzo. Si trattava di un meccanismo nel suo complesso coerente, dal momento che veniva riconosciuta all'attività finalizzata alla verifica di quanto eventualmente dovuto dal terzo pignorato al debitore esecutato natura di accertamento, tale da imporre una attività processuale ad hoc, sorretta da idonee garanzie per tutte le parti coinvolte da un tale accertamento e finalizzata a pervenire alla individuazione di quanto eventualmente dovuto dal terzo pignorato al debitore esecutato. Si trattava, tuttavia, di un meccanismo che, seppur come detto coerente, strideva con esigenze di velocità e di snellezza della procedura esecutiva, specie di quelle di natura mobiliare, avvertite come sempre più stringenti da parte del legislatore e più in generale della società. Del resto, non era raro, nella prassi degli uffici giudiziari, che questi giudizi di accertamento dell'obbligo del terzo, scaturiti da procedure esecutive di pignoramento presso terzi, si risolvessero molto agevolmente sulla base, ad esempio, di una dichiarazione positiva resa nel corso del processo di cognizione dal terzo pignorato, ovvero sulla base di una dichiarazione, avente carattere confessorio, resa nel corso dell'attività istruttoria da parte del terzo pignorato chiamato a rendere prova per interpello. In tutti questi casi, appariva ingiusto ed illogico gravare il sistema dell'amministrazione della giustizia di una attività processuale che si rivelava spesso del tutto superflua; allo stesso modo, apparivano ingiustamente diluiti a dismisura i tempi di definizione di tali procedure esecutive a tutto scapito delle legittime aspettative di soddisfazione del proprio credito vantate dal creditore procedente. È in questo quadro, allora, che si iscrive la riforma della disciplina dettata in materia di pignoramento presso terzi introdotta per effetto dell'art. 1 della legge n. 228/2012. Il nuovo impianto normativo disegnato in quella occasione dal legislatore si fonda sul principio, evidentemente avvertito come prioritario dal legislatore, che tutte le questioni concernenti l'accertamento dell'obbligo del terzo pignorato debbano essere risolte dal giudice dell'esecuzione all'interno della procedura esecutiva, senza alcuna necessità, dunque, di sospendere la procedura e di introdurre autonomi giudizi di cognizione dei quali occorra necessariamente attendere l'esito. La riforma del 2012, poi, distingue tra due possibili casi, che invece, come accennato sopra, nel precedente assetto normativo venivano sostanzialmente accomunati: quello in cui il terzo pignorato non renda affatto la propria dichiarazione e quello in cui una dichiarazione venga resa dal terzo pignorato, ma sulla stessa sorga contestazione. Mentre nel primo caso troverà applicazione il meccanismo previsto dal novellato art. 548 c.p.c., con l'effetto che, a determinate condizioni e perdurando l'inerzia del terzo pignorato, il debito dello stesso nei confronti del debitore esecutato potrà ritenersi come non contestato, nel secondo caso troverà applicazione l'art. 549 c.p.c., con l'effetto che il giudice dell'esecuzione sarà chiamato ad accertare, con ordinanza resa in seno alla procedura esecutiva di pignoramento presso terzi, la eventuale sussistenza dell'obbligo del terzo nei confronti del debitore esecutato. L'attuale formulazione dell'art. 548 c.p.c. scaturisce da diverse modifiche succedutesi rapidamente nel corso degli ultimi anni: evidentemente il nuovo assetto normativo voluto dal legislatore nel 2012 (un assetto che prevedeva un primo comma dell'art. 548 c.p.c., ora abrogato, che faceva scattare il meccanismo della non contestazione, relativamente al pignoramento dei crediti retributivi, già all'esito della prima udienza, senza necessità di disporre alcun rinvio e che non recava alcuna espressa precisazione in merito alla individuazione del credito pignorato, potendo in teoria limitarsi il creditore procedente ad indicare anche solo genericamente la natura e l'entità del credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato) ha imposto negli anni immediatamente successivi diversi correttivi allo scopo di pervenire ad una soluzione sufficientemente equilibrata e soddisfacente, cosicché si sono succeduti, dapprima con la l. n. 162/2014 e poi con il d.l. n. 83/2015 (convertito con modifiche in l. n. 132/2015), due significativi interventi integrativi della disposizione in questione, che hanno condotto alla formulazione normativa sopra riportata.
Il procedimento
Andiamo allora ad esaminare un po' più da vicino il meccanismo di non contestazione introdotto dall'art. 548 c.p.c. L'atto di pignoramento presso terzi, contenente tutti gli elementi previsti dall'art. 543 c.p.c. (ivi compresa, in conformità al comma 1, n. 2, di tale articolo, «l'indicazione, almeno generica, delle cose o delle somme dovute e l'intimazione al terzo di non disporne senza ordine del giudice») viene notificato su istanza del creditore procedente e ad opera dell'ufficiale giudiziario al debitore esecutato e al terzo pignorato. Ove il terzo pignorato renda dichiarazione positiva a norma dell'art. 547 c.p.c. e la stessa non venga contestata, il giudice dell'esecuzione, in mancanza di opposizioni di sorta o di cause ostative rilevabili d'ufficio, provvederà all'assegnazione del credito a norma dell'art. 553 c.p.c. Ove il terzo pignorato renda una dichiarazione (sia essa negativa o parzialmente positiva) che venga contestata dal creditore si attiverà, su istanza di parte, il procedimento endo-esecutivo di cui all'art. 549 c.p.c. Ove, infine, il terzo pignorato resti inerte, non facendo pervenire al creditore procedente alcuna dichiarazione (deve infatti ricordarsi che attualmente il terzo pignorato, ai sensi dell'art. 547 c.p.c., deve rendere la propria dichiarazione direttamente al creditore procedente, mediante lettera raccomandata o messaggio di posta elettronica certificata), troverà applicazione l'art. 548 c.p.c. Attualmente non è prevista alcuna ipotesi di immediata presunzione di non contestazione del credito (come accennato in precedenza una tale ipotesi era originariamente prevista dal primo comma dell'art. 548 c.p.c., come scaturito a seguito della riforma introdotta dall'art. 1, comma 20, della l. n. 228/2012), cosicché all'esito della prima udienza, in mancanza di dichiarazione di terzo, il giudice dell'esecuzione dovrà limitarsi, stando al dettato dell'attuale primo comma dell'art. 548 c.p.c., a disporre un rinvio ad altra udienza e tale ordinanza dovrà essere notificata al terzo pignorato a cura del creditore almeno dieci giorni prima della nuova udienza. Alla successiva udienza, ove il terzo pignorato non compaia e non renda quindi alcuna dichiarazione nonostante la rituale notifica dell'ordinanza di rinvio, il giudice dell'esecuzione potrà ritenere come non contestato il debito del terzo pignorato nei confronti del debitore esecutato (ovvero – ma si tratta di ipotesi meno ricorrente nella prassi e sulla quale non è il caso di soffermarsi estesamente - l'esistenza dei beni del debitore in possesso del terzo) e procedere quindi alla assegnazione con ordinanza resa ai sensi dell'art. 553 c.p.c. Un tale meccanismo presuntivo (tale per cui il debito, in assenza di dichiarazione, si ritiene come non contestato), tuttavia, troverà applicazione soltanto a condizione che il credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato risulti sufficientemente identificato sulla base dell'atto di pignoramento: solo in presenza di tale condizione il giudice dell'esecuzione potrà provvedere alla assegnazione del credito pur in assenza di dichiarazione di terzo. Viceversa, ove sulla base dell'atto di pignoramento risultasse impossibile pervenire ad una esatta identificazione del credito (o dei beni) del debitore esecutato in possesso del terzo (circostanza ben possibile – dal momento che l'art. 543 c.p.c., nell'individuare i requisiti dell'atto di pignoramento presso terzi, prescrive unicamente la individuazione generica dei crediti o dei beni del debitore in possesso del terzo – e che dunque non incide in alcun modo sulla validità del pignoramento notificato), si avranno due alternative: ove non vi sia alcuna espressa istanza del creditore, si procederà alla estinzione della procedura in assenza di un compendio pignorato; ove invece il creditore procedente (o i creditori intervenuti legittimati a svolgere atti di impulso della procedura) ne faccia richiesta, verrà dato ingresso alla fase endo-esecutiva di accertamento dell'obbligo del terzo, ai sensi dell'art. 549 c.p.c. È quanto prevede, in particolare, l'art. 549 c.p.c. nella formulazione scaturita a seguito delle modifiche introdotte per effetto del d.l. n. 83/15 (convertito, con modificazioni, in legge n. 132/2015), stando al quale «se sulla dichiarazione sorgono contestazioni o se a seguito della mancata dichiarazione del terzo non è possibile l'esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo, il giudice dell'esecuzione, su istanza di parte, provvede con ordinanza, compiuti i necessari accertamenti nel contraddittorio tra le parti e con il terzo». Il passaggio dal regime presuntivo previsto dall'art. 548 c.p.c. alla fase endo-esecutiva di accertamento dell'obbligo del terzo è tutt'altro che irrilevante, a ben vedere: se è vero, infatti, che anche il procedimento di accertamento dell'obbligo del terzo si svolge adesso in forma semplificata dinanzi al giudice dell'esecuzione, è altresì vero però che in tale fase non vige alcuna vera e propria presunzione di esistenza del debito, cosicché incomberà pur sempre sul creditore procedente fornire la prova dell'esistenza del debito del terzo pignorato nei confronti del debitore esecutato. Ci si potrebbe chiedere, a questo punto, quali siano le condizioni per considerare esattamente identificato il credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato e fino a dove si spinga l'onere di allegazione da parte del creditore procedente. Non c'è dubbio che tanto l'espressione contenuta nella attuale formulazione dell'art. 548 c.p.c. (il quale richiede, ai fini della operatività della presunzione di esistenza del debito del terzo pignorato che dello stesso sia possibile la “identificazione”), quanto quella ancora più esplicita contenuta nell'art. 549 c.p.c. (che richiede la “esatta identificazione” di un tale debito del terzo pignorato verso il debitore esecutato), si contrappongano alla previsione contenuta nell'art. 543 c.p.c., il quale ai fini della validità del pignoramento si limita a richiedere l'indicazione “almeno generica delle cose o delle somme dovute”. E così, la frase contenuta nell'atto di pignoramento, con la quale si affermi, ad esempio, «risulta al creditore procedente che il debitore esecutato sig. Rossi sia creditore di somme nei confronti del terzo pignorato società Alfa per un importo idoneo a soddisfare il credito precettato», se può integrare il presupposto della generica indicazione delle somme dovute, non soddisfa invece quel requisito di esatta identificazione del credito imposto dall'art. 548 e dall'art. 549 c.p.c. Si impone, dunque, al creditore procedente che voglia ottenere il riconoscimento della presunzione prevista dall'art. 548 c.p.c., un onere di allegazione ulteriore e più puntuale: quanto meno sarà necessario che il creditore procedente indichi, nel proprio atto di pignoramento, il titolo in base al quale il debitore esecutato vanti un credito nei confronti del terzo pignorato (se, ad esempio, un tale credito costituisca il corrispettivo non ancora versato di una compravendita o di una cessione di ramo di azienda; ovvero se si tratti di somme corrisposte mensilmente a titolo di retribuzione da parte del datore di lavoro) e l'entità, individuata in modo sufficientemente preciso, di un tale credito. Non pare, invece, potersi imporre al creditore procedente un onere di allegazione ulteriore rispetto a questo e neppure un onere di documentare le proprie allegazioni mediante il deposito di riscontri che suffraghino quanto affermato nei propri atti, dal momento che una tale pretesa non pare davvero evincibile dal contenuto dell'art. 548 c.p.c. e finirebbe per eludere il senso stesso della riforma varata nel 2012. Ci si potrebbe chiedere, allora, se il creditore procedente che non abbia indicato in maniera sufficientemente precisa il credito del debitore esecutato nei confronti del terzo pignorato nell'atto di pignoramento possa in qualche modo emendare tale omissione, o sia necessariamente costretto, volendo dare seguito all'esecuzione, a chiedere l'introduzione della fase di accertamento dell'obbligo del terzo, con gli inevitabili rischi che una tale scelta processuale comporta (in termini, quanto meno, di regolamentazione delle spese della relativa fase di accertamento). Sul punto, il combinato disposto degli articoli 548 e 549 c.p.c. non sembrerebbe invero offrire grandi spiragli: tuttavia, una tale opzione (quella cioè di consentire al creditore procedente di integrare il proprio pignoramento con un atto da notificarsi tanto al debitore esecutato, quanto al terzo pignorato), avendo la funzione di agevolare l'operatività della previsione contenuta nell'art. 548 c.p.c. (sempre che il creditore procedente sia in grado di fornire elementi aggiuntivi in merito alla identificazione del credito pignorato, rispetto a quelli già forniti nell'originario atto di pignoramento) non sembra doversi escludere del tutto e viene peraltro praticata in alcuni uffici giudiziari. Ultima questione da affrontare è quella che concerne i rimedi esperibili contro l'ordinanza di assegnazione resa ai sensi dell'art. 548 c.p.c.; l'ordinanza di assegnazione, cioè, che assegni un credito sul solo presupposto della sua non contestazione da parte del terzo pignorato. Contro tale ordinanza l'ultimo comma dell'art. 548 c.p.c. prevede uno specifico rimedio, costituito da una opposizione ai sensi dell'art. 617 c.p.c. L'originaria formulazione della norma, come concepita dal legislatore nel 2012, prevedeva espressamente che un tale rimedio dovesse essere esperito ai sensi dell'art. 617, comma 1, c.p.c. Si trattava, tuttavia, di una soluzione non soddisfacente, specie ove si pensi al fatto che il giudice della cognizione al quale venga sottoposta una opposizione agli atti esecutivi preventiva, non dispone di alcun potere cautelare di disporre la sospensione dell'efficacia esecutiva dell'atto opposto. Veniva così modificata, con il d.l. n. 83/2015, anche in questa ultima parte la nuova formulazione dell'art. 548 c.p.c., espungendo dal testo della norma il riferimento al primo comma dell'art. 617 c.p.c. Deve quindi dedursene che l'opposizione agli atti esecutivi prevista nella attuale formulazione dell'ultimo comma dell'art. 548 c.p.c. debba essere formalizzata ai sensi dell'art. 617, comma 2, c.p.c., mediante ricorso in opposizione da depositare nel fascicolo dell'esecuzione relativo alla procedura esecutiva che sia stata definita con ordinanza di assegnazione sul presupposto della mancata contestazione del credito. Il rimedio in questione, da esperirsi entro venti giorni dalla conoscenza della ordinanza di assegnazione, prende in considerazione la sola ipotesi in cui l'ordinanza di assegnazione sia stata emessa (e, quindi, la presunzione di non contestazione del debito da parte del terzo pignorato si sia formata) per irregolare notificazione del pignoramento o della ordinanza di rinvio, ovvero il caso in cui il terzo pignorato non abbia avuto conoscenza del procedimento in corso per caso fortuito o forza maggiore. Se ne dovrebbe dedurre, dunque, che nel caso in cui il terzo pignorato non sia in grado di fornire alcuno di tali riscontri (ad esempio perché tanto l'atto di pignoramento, quanto l'ordinanza di rinvio di cui all'art. 548 c.p.c. gli sono stati notificati correttamente) l'ordinanza di assegnazione sia nella sostanza inattaccabile. Ma si tratta di una soluzione non del tutto soddisfacente: è stato infatti osservato come il rimedio offerto dall'ultimo comma dell'art. 548 c.p.c. non sia necessariamente esaustivo, riferendosi lo stesso ad uno specifico vizio della ordinanza di assegnazione emessa dal giudice dell'esecuzione. Deve allora ritenersi ammissibile che ad un tale rimedio se ne affianchi un altro, cioè lo strumento residuale costituito dalla ordinaria opposizione agli atti esecutivi. Con tale rimedio, così, da esperirsi pur sempre entro il termine decadenziale previsto dall'art. 617 c.p.c., sarà possibile sollevare ulteriori questioni concernenti il vizio della ordinanza di assegnazione, quale quello che attiene alla emissione del provvedimento di assegnazione in assenza dei presupposti di legge, ossia in mancanza di una esatta identificazione del debito del terzo pignorato nei confronti del debitore esecutato. Va da sé che qualora alcuna opposizione agli atti esecutivi venga sollevata dal terzo pignorato entro il termine di venti giorni dalla notifica che lo stesso riceva della ordinanza di assegnazione (o, comunque, dalla conoscenza della stessa), tale ordinanza non sarà più suscettibile di riforma e dovrà quindi ritenersi inammissibile il motivo di opposizione all'esecuzione (con il quale si contesti il vizio originario della ordinanza di assegnazione) che venga eventualmente esperito da tale soggetto nel corso di una procedura esecutiva che lo veda come debitore esecutato per la riscossione del credito sancito dalla ordinanza di assegnazione emessa ai sensi dell'art. 548 c.p.c. In conclusione
Un quadro normativo, quello delineato per effetto della riforma introdotta nel 2012 e dei successivi correttivi entrati in vigore nel 2014 e nel 2015, che indubbiamente presenta una sua coerenza e sicuri vantaggi in termini di speditezza ed efficienza della procedura esecutiva. Una soluzione normativa, tuttavia, non scevra da concreti rischi, ancora forse non sufficientemente valutati dai diversi operatori del diritto e dal legislatore. Viene in rilievo il caso in cui terzo pignorato sia un soggetto munito di una struttura organizzativa particolarmente articolata e complessa (si pensi così alle amministrazioni centrali dello Stato, ai grandi enti pubblici, ad alcune grandi società di capitali): in taluni casi, può infatti accadere che tali soggetti non reagiscano immediatamente ad una o più notifiche di atti giudiziari (del resto, analogo rischio vale per qualsiasi terzo pignorato). In questi casi il meccanismo presuntivo dell'art. 548 c.p.c. può condurre a degli effetti davvero poco ragionevoli, portando alla formazione di titoli esecutivi, anche per somme davvero enormi, che non siano sorretti, in realtà, da alcun effettivo e preesistente rapporto di debito/credito fra il debitore esecutato e il terzo pignorato, trovando giustificazione nella sola inerzia di quest'ultimo. Per ovviare ad un tale rischio, si potrebbe forse immaginare una soluzione normativa che restringa l'operatività del meccanismo presuntivo previsto dall'art. 548 c.p.c. soltanto a crediti non molto consistenti, sempre che una tale soluzione possa risultare accettabile sul piano della coerenza del sistema e del rispetto dei valori costituzionali. Ma si tratta di valutazioni che davvero sfuggono alla presente trattazione, che si limita ad uno sguardo sul diritto vigente e sulla sua pratica attuazione. |