Dalla Consulta un riconoscimento per i giudici di pace: anche a loro spetta il rimborso per le spese legali

11 Dicembre 2020

La sentenza della Corte costituzionale n. 267 del 9 dicembre 2020 nel decidere la questione di costituzionalità dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67/1997 che, in base al diritto vivente, non prevedeva il rimborso delle spese di patrocinio legale sostenute dai giudici di pace nei giudizi promossi per fatti inerenti alla funzione e conclusisi con accertamento negativo di responsabilità, ha contribuito all'elaborazione di un ulteriore “tassello” dello status del giudice di pace.

Nel decidere la questione la Corte ha riconosciuto espressamente che giudice “togato” e giudice “onorario” svolgono la medesima funzione di giudicare onde per cui – ai fini del diritto al rimborso - dal momento che il tema attiene più al rapporto di servizio che al rapporto di impiego (evidentemente diverso) è irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice “togato” e non anche al giudice di pace.
Per entrambi, infatti, «ricorre, con eguale pregnanza, l'esigenza di garantire un'attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità».
Del resto, il diritto al rimborso delle spese legali – scrive la Corte – è un «presidio della funzione, rispetto alla quale il profilo organico appare recessivo».

Il caso. Tutto aveva preso le mosse dalla richiesta avanzata da un giudice di pace di vedersi rimborsate dall'Amministrazione le spese di un giudizio penale nel quale era stato imputato di corruzione in atti giudiziari per fatti commessi nell'esercizio delle funzioni che si era, però, concluso con la sua assoluzione.
Senonché, il Ministero della giustizia aveva respinto quella richiesta e il giudice di pace (assumendo la natura subordinata del suo rapporto di servizio o comunque l'equiparazione funzionale tra il magistrato onorario e il magistrato professionale, entrambi appartenenti all'ordine giudiziario) impugnò il rigetto al TAR Lazio che ha sollevato la questione di costituzionalità decisa ora dalla Corte costituzionale.
Secondo i giudici amministrativi la norma censurata (rectius: il “diritto vivente” formatosi nell'interpretazione dell'art. 18, comma 1, del d.l. n. 67/1997) sarebbe illegittimo costituzionalmente perché nel prescrivere che le amministrazioni statali rimborsino ai propri dipendenti nei limiti riconosciuti congrui dall'Avvocatura dello Stato le spese legali relative ai giudizi per responsabilità civile, penale e amministrativa promossi nei loro confronti in conseguenza di fatti e atti connessi con l'espletamento del servizio o con l'assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che escluda la loro responsabilità, non prevede che tale rimborso «spetti anche ai funzionari onorari chiamati a svolgere funzioni sostitutive o integrative, e comunque equivalenti, a quelle svolte da funzionari di ruolo», o, quantomeno, ai magistrati onorari nominati ai sensi della legge 21 novembre 1991, n. 374 (Istituzione del giudice di pace).

Questione limitata ai giudici di pace. Ebbene, per la Corte costituzionale la questione è fondata, ma con riferimento non già alla generalità dei funzionari onorari dell'Amministrazione bensì ai soli giudici di pace (ed infatti, la Corte ha preliminarmente circoscritto l'oggetto del giudizio di costituzionalità alla fattispecie oggetto del giudizio a quo).
L'argomentazione della Corte muove, in primo luogo, dalla ricostruzione della giurisprudenza formatasi in relazione all'art. 18 d.l. n. 67/1997 secondo cui la norma avrebbe carattere eccezionale e, quindi, sarebbe di stretta interpretazione e non suscettibile di estensione per analogia salvo che non vi provveda il legislatore (come ha fatto per specifiche categorie di funzionari onorari – gli amministratori degli enti locali – pur al ricorrere di determinate condizioni).
In secondo luogo, ha collocato sistematicamente la ratio della norma nell'ambito del quadro di un “complessivo apparato normativo volto a evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l'accertamento di responsabilità” che attiene al rapporto di servizio piuttosto che al rapporto di impiego.
Inoltre, la Corte ha richiamato due aspetti importanti nella sua motivazione.
Da un lato, ha ribadito la propria giurisprudenza secondo cui «la posizione giuridico-economica dei magistrati professionali non si presta a un'estensione automatica nei confronti dei magistrati onorari tramite evocazione del principio di eguaglianza, in quanto gli uni esercitano le funzioni giurisdizionali in via esclusiva e gli altri solo in via concorrente».
Dall'altro lato, ha richiamato la recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea (e, cioè, la sentenza 16 luglio 2020, in causa C-658/18) secondo cui il giudice di pace italiano rientra nella nozione di «giurisdizione di uno degli Stati membri», in quanto organismo di origine legale, a carattere permanente, deputato all'applicazione di norme giuridiche in condizioni di indipendenza e che svolge le sue “funzioni nell'ambito di un rapporto giuridico di subordinazione sul piano amministrativo, che non incide sulla [sua] indipendenza nella funzione giudicante, circostanza che spetta al giudice del rinvio verificare” che lo fa inquadrare come lavoratore a tempo determinato (e ciò con riferimento specifico alle ferie annuali retribuite).

Rimborso delle spese come presidio della funzione. Ciò detto, per la Corte entrambi i giudici (togati e onorari) svolgono un'attività funzionalmente identica “per quanto appunto rileva agli effetti del rimborso di cui alla norma censurata” (come lo è, del resto, per quanto attiene ai giudizi di responsabilità civile nell'attività giudiziaria in base alla legge n. 117/1998).
Ed infatti, «la ratio di tale istituto di evitare che il pubblico dipendente possa subire condizionamenti in ragione delle conseguenze economiche di un procedimento giudiziario, anche laddove esso si concluda senza l'accertamento di responsabilità – sussiste per l'attività giurisdizionale nel suo complesso, quale funzione essenziale dell'ordinamento giuridico, con pari intensità per il giudice professionale e per il giudice onorario».
Ne è derivata la dichiarazione di illegittimità costituzionale dal momento che «l'identità della funzione del giudicare, e la sua primaria importanza nel quadro costituzionale, è irragionevole che il rimborso delle spese di patrocinio sia dalla legge riconosciuto al solo giudice “togato” e non anche al giudice di pace, mentre per entrambi ricorre, con eguale pregnanza, l'esigenza di garantire un'attività serena e imparziale, non condizionata dai rischi economici connessi ad eventuali e pur infondate azioni di responsabilità».
Il giudice di pace avrà quindi diritto al rimborso delle spese di patrocinio legale nelle ipotesi e alle condizioni stabilite dalla norma stessa.

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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