La prima pronuncia della Cassazione sul “nuovo” abuso di ufficio e l'abolitio criminis parziale

11 Dicembre 2020

Per effetto della modifica normativa dell'art. 323 c.p., dovuta al d.l. n. 76/2020, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio viola le norme di legge che ne disciplinano l'esercizio può essere ora integrata solo dalla violazione di "regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge"...
Massima

Per effetto della modifica normativa dell'art. 323 c.p., dovuta al d.l. n. 76/2020, la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che nello svolgimento delle funzioni o del servizio viola le norme di legge che ne disciplinano l'esercizio può essere ora integrata solo dalla violazione di "regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge", cioè da fonti primarie, con esclusione dei regolamenti attuativi, e che abbiano, inoltre, un contenuto vincolante precettivo da cui non residui alcuna discrezionalità amministrativa. In tal caso, si è notevolmente ristretto l'ambito di rilevanza penale del delitto di abuso d'ufficio con inevitabili effetti di favore applicabili retroattivamente ai sensi dell'art. 2, comma 2, c.p.

Invece, la riforma non esplica alcun effetto con riguardo al segmento di condotta che, in via alternativa rispetto al genus della violazione di legge, riguarda esclusivamente e più specificamente l'inosservanza dell'obbligo di astensione, rispetto al quale la fonte normativa della violazione è da individuarsi nella stessa norma penale salvo che per il rinvio agli altri casi prescritti, rispetto ai quali non pare ugualmente pertinente la limitazione alle fonti primarie di legge, trattandosi della violazione di un precetto vincolante già descritto dalla norma penale, sia pure attraverso il rinvio, ma solo per i casi diversi dalla presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto, ad altre fonti normative extra-penali che prescrivano lo stesso obbligo di astensione.

Il caso

Il sindaco del Comune di Domusnovas era stato condannato dal Tribunale di Cagliari, in data 27 aprile 2018, alla pena di anni uno e mesi otto di reclusione per il reato di cui all'art. 323 c.p. per avere, nella qualità di sindaco, avendo assunto la presidenza della seduta del Consiglio Comunale che doveva esaminare, tra gli altri temi all'ordine del giorno, la mozione presentata dai consiglieri di minoranza volta a sollecitare la costituzione di parte civile del Comune nel processo nei confronti dello stesso sindaco, omesso di astenersi in presenza di un interesse proprio. In particolare, secondo i giudici di merito, con la condotta consistita nel sospendere e poi sciogliere la seduta stessa, l'imputato aveva cagionato ai consiglieri presentatori della mozione ed al Comune di Domusnovas l'ingiusto danno consistito nell'impedire che il Consiglio Comunale discutesse e si pronunciasse sulla anzidetta mozione ai fini della successiva costituzione di parte civile nel processo pendente nei suoi confronti per i reati di maltrattamenti, violenza sessuale e concussione in danno di dipendenti del Comune stesso (in data 15 ottobre 2012). Con sentenza del 07 novembre 2019 la Corte d'appello di Cagliari ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Cagliari.

Tramite i propri difensori di fiducia, l'imputato ha proposto ricorso con articolati motivi. In particolare, con il primo motivo ha dedotto vizio della motivazione e violazione di legge per avere la Corte di appello, in violazione degli artt. 323 e 78 T.U.E.L., ritenuto gravante sul ricorrente l'obbligo di astensione ed avere omesso di valutare gli specifici rilievi addotti al riguardo con i motivi di appello. Con il secondo motivo ha dedotto violazione di legge e vizio della motivazione in merito al requisito della c.d. doppia ingiustizia, che sarebbe stato ravvisato erroneamente dalla corte territoriale poiché alla violazione dell'obbligo di astensione si è aggiunta la lesione dei diritti dei consiglieri di minoranza. Con il terzo motivo ha dedotto la violazione di legge ed il vizio di motivazione in merito all'elemento del dolo intenzionale, richiesto per la configurabilità del reato in esame. Infine, con il quarto motivo, ha dedotto il vizio di motivazione in merito alla sussistenza di un errore su norma extra-penale come errore di fatto idoneo ad escludere il dolo sulla base del travisamento di una testimonianza.

La Corte di Cassazione ha tuttavia ritenuto tutti i motivi di ricorso inammissibili perché riproporrebbero «questioni già adeguatamente affrontate con argomentazioni ineccepibili nel giudizio di merito», con censure che non evidenzierebbero «alcun profilo di dubbia o problematica soluzione sia per la genericità delle doglianze che per la palese e manifesta infondatezza delle prospettazioni difensive».

La questione

In realtà, al di là ed oltre la fondatezza dell'impugnazione, il punto più interessante della decisione in epigrafe riguarda l'eventuale rilevanza – a partire dal caso de quo - della modifica normativa dell'art. 323 c.p. dovuta al d.l. n. 76/2020, recante «Misure urgenti per la semplificazione e l'innovazione digitale», poi convertito (sul punto) senza modificazioni dalla l. n. 120/2020. Si tratta, infatti, della prima volta che la Cassazione si interroga sulla portata e sugli effetti del “nuovo” abuso di ufficio. In particolare, l'art. 23 d.l. n. 76/2020 ha sostituito, all'art. 323, comma 1, c.p., le parole «di norme di legge o di regolamento» con le seguenti: «di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità».

Sulle ragioni e sugli effetti della riforma, sia consentito, in linea generale, il rinvio a quanto avevamo esposto qualche mese addietro (B. Romano, La continua riforma dell'abuso di ufficio e l'immobilismo della pubblica amministrazione, ne IlPenalista, Focus del 28 luglio 2020).

Per quel che riguarda, invece, la specifica questione sopra posta, la domanda che rilevava nel caso di specie era se detta riforma incidesse sulla vicenda concreta che, come sopra indicato, riguardava una condotta consistente in una omessa astensione.

Le soluzioni giuridiche

Al riguardo, la Corte di cassazione ritiene che la riforma dell'art. 323 c.p. incide solo sulla condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che (alla luce dell'ultima modifica), nello svolgimento delle funzioni o del servizio, in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto. Per la Cassazione sarebbe invece rimasta immutata la condotta del pubblico ufficiale o dell'incaricato di pubblico servizio che, omettendo di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, intenzionalmente procura a sé o ad altri un ingiusto vantaggio patrimoniale ovvero arreca ad altri un danno ingiusto.

Nel caso di specie, appunto, vertendosi nell'ipotesi di un abuso di ufficio riferito alla specifica violazione dell'obbligo di astensione, la modifica normativa non produce alcun effetto, permanendo la rilevanza penale della condotta in esame anche rispetto alla violazione dell'art. 78 del T.U.E.L. oltre che del precetto contenuto nella stessa norma penale.

Osservazioni

Come anticipato, la parte più interessante della sentenza in commento riguarda le questioni intertemporali, relative cioè ad eventuale successione di norme penali nel tempo. Avevamo avuto, come espresso nel focus prima richiamato, l'impressione, a prima lettura, «che la nuova versione della norma sull'abuso di ufficio restringa notevolmente la sfera di intervento della legge penale sull'azione amministrativa». Infatti, per effetto della modifica del 2020, lo si ribadisce, l'abuso di ufficio consistente nella violazione delle norme di legge che disciplinano lo svolgimento delle funzioni o del servizio, può essere ora integrato solo dalla violazione di "regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge", cioè da fonti primarie, con esclusione dei regolamenti attuativi, e che abbiano, inoltre, un contenuto vincolante precettivo da cui non residui alcuna discrezionalità amministrativa. Pertanto, per la condotta appena riassunta, sembra essere intervenuta una parziale abolitio criminis, con la conseguente retroattività in bonam partem,ai sensi dell'art. 2, comma 2, c.p. Specularmente, la modifica normativa dell'art. 323 c.p. non esplica alcun effetto con riguardo alla condotta concernente esclusivamente e più specificamente l'inosservanza dell'obbligo di astensione.

Sin qui gli effetti della modifica normativa del 2020 sembrerebbero chiari. Sennonché, vi è chi (Gatta) ha sottolineato che, per essere certi che sia intervenuta, nel caso di specie, una effettiva abolitio criminis, occorrerebbe effettuare tre diverse verifiche.

In particolare, occorrerebbe innanzitutto accertare la riconducibilità del fatto concreto, oggetto del giudizio, alla nuova e più circoscritta ipotesi di abuso d'ufficio penalmente rilevante. E qui, in effetti, se così risultasse, non si sarebbe verificata una abolitio criminis, poiché il fatto, prima punibile, continuerebbe ad esserlo alla luce della più ristretta formulazione della disposizione, con “persistenza dell'illecito” (in generale, B. Romano, Diritto penale, pt. g., 4ª ed., Giuffrè Francis Lefebvre, Milano, 2020, p. 143 ss.).

La seconda verifica sarebbe legata alla eventuale possibilità di far rientrare il fatto nella omessa astensione, condotta come sopra chiarito non “toccata” dalla riforma del 2020. Ovviamente, il problema non si pone se in origine fosse stata contestata la omessa astensione, ma solo ove fosse stata contestata la violazione di norme di regolamento, ovvero di norme di legge prive dei caratteri della specificità e dell'assenza di discrezionalità. Ebbene, in tal caso, ad avviso di chi scrive, una “riconversione” della originaria contestazione sembrerebbe violare il principio di irretroattività in malam partem, facendo sostanzialmente finire nel nulla la riforma (con una nozione di omessa astensione capace di “inghiottire” ogni condotta).

Infine, la terza verifica sarebbe connessa alla eventuale rilevanza penale del fatto, prima contestato quale abuso di ufficio, alla luce di una diversa, ma coesistente, norma incriminatrice. Naturalmente, il problema non si pone riguardo a fattispecie più gravi di quella desumibile dall'art. 323 c.p., essendo in questo articolo presente la clausola di consunzione (e non di sussidiarietà) “salvo che il fatto non costituisca un più grave reato”: dunque, sarebbero già state applicabili le fattispecie più gravi, quali ad esempio peculato o corruzione, con esclusione del problema qui affrontato. La questione si presenta, invece, nel caso rilevi un reato meno grave, come l'omissione di atti d'ufficio, disciplinato dall'art. 328 c.p. Ovviamente, a mio avviso, solo nei limiti nei quali fosse rilevante la condotta del soggetto attivo ex art. 328 c.p. nel momento nel quale venne commessa; senza modificare, cioè, il fatto storico per poterlo fare rientrare “a forza” nella diversa fattispecie incriminatrice che si vorrebbe applicare.

Per concludere, credo occorra essere molto cauti e prudenti nel maneggiare le regole della successione di norme penali nel tempo, che rispondono a vincoli costituzionali di garanzia nell'ottica del favor libertatis.

Guida all'approfondimento

M. Gambardella, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell'abuso d'ufficio, in Sistema penale, 29.7.2020;

G.L. Gatta, Da ‘spazza-corrotti' a ‘basta paura': il decreto-semplificazioni e la riforma con parziale abolizione dell'abuso d'ufficio, approvata dal Governo ‘salvo intese' (e la riserva di legge?), in Sistema penale, 17.7.2020;

Id., Riforma dell'abuso d'ufficio: note metodologiche per l'accertamento della parziale abolitio criminis, in Sistema penale, 2.12.2020; A. Natalini, Nuovo abuso d'ufficio, il rischio è un'incriminazione “fantasma”, in Guida dir., 2020, 42, 76 s.;

A. Nisco, La riforma dell'abuso d'ufficio: un dilemma legislativo insoluto ma non insolubile, in Sistema penale, 20.11.2020;

T. Padovani, Vita, morte e miracoli dell'abuso d'ufficio, in Giurisprudenza penale web, n. 7-8/2020, 28.7.2020;

A. Perin, L'imputazione per abuso d'ufficio: riscrittura della tipicità e giudizio di colpevolezza, in Legisl. pen., 23.8.2020;

B. Romano, La continua riforma dell'abuso di ufficio e l'immobilismo della pubblica amministrazione, ne IlPenalista, Focus del 28 luglio 2020;

V. Valentini, Burocrazia difensiva e restyling dell'abuso d'ufficio, in Discrimen, 14.9.2020.

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