Il passaggio generazionale e l'abuso del diritto in caso di costituzione di una holding

Fabio Gallio
14 Dicembre 2020

Con l'ordinanza n. 24839 del 2020, la Corte di Cassazione ha ribadito che un'operazione di cessione di quote, preceduta dalla rivalutazione delle stesse, con il versamento di un'imposta sostitutiva, non può essere considerata abusiva del diritto.
Premessa

Con l'ordinanza del 6 novembre 2020, n. 24839, la Corte di Cassazione ha sancito che un'operazione di cessione di partecipazioni, il cui valore, precedentemente all'operazione, è stato rivalutato ex Legge n. 448 del 2001 e successive modifiche, con il pagamento di un'imposta sostitutiva, non può essere considerata elusiva.

In particolare, l'operazione contestata riguardava la vendita di azioni rivalutate a una società controllata dal soggetto cedente non imprenditore, a cui ha fatto seguito la cessione totalitaria delle partecipazioni detenute nella società cessionaria delle quote rivalutate, a favore di un'altra società a responsabilità limitata.

L'eccezione sollevata dall'Agenzia delle Entrate si focalizzava sulle modalità con cui era stata strutturata l'operazione, in quanto le suddette cessioni erano avvenute solo alcuni giorni prima del pagamento dei dividendi, peraltro già deliberati, e al prezzo corrispondente ai dividendi stessi. Il suddetto corrispettivo era stato versato dalla cessionaria appena ricevuti i dividendi.

Pertanto, secondo la tesi erariale, le cessioni sarebbero finalizzate esclusivamente al conseguimento di un risparmio d'imposta, ottenuto con il pagamento dell'imposta sostitutiva sulla rivalutazione delle partecipazioni azionarie, eludendo così il pagamento delle imposte sui dividendi, formalmente non percepiti, ma di fatto corrispondenti al prezzo di cessione a terzi delle medesime azioni.

In merito, la Cassazione ha considerato non elusivo il comportamento del contribuente nonostante la cessione delle azioni fosse avvenuta due giorni prima della distribuzione di dividendi già deliberati e il pagamento del dovuto fosse stato posto in essere in corrispondenza della distribuzione dei medesimi, in quanto tale scelta, pur singolare, non può essere collegabile assiomaticamente, come preteso, ad un esclusivo intento elusivo dell'intera operazione di cessione delle partecipazioni societarie.

Come suggerito dall'ordinanza in esame, per verificare l'abuso del diritto, è necessario fare riferimento a quanto già stabilito dalla stessa Suprema Corte.

La rivalutazione delle partecipazioni e la mancanza di elusività secondo la Corte di Cassazione

In merito alle operazioni, precedute da una rivalutazione delle quote ex Legge n. 448 del 2001 e successive modifiche, non si può non fare a meno di citare un'altra ordinanza (quella del 17 marzo 2020, n. 7359), con la quale la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di parte erariale, risultante soccombente, sia in primo che in secondo grado, in una causa in cui si contestava l'elusività di un'operazione di riorganizzazione societaria complessa, portata termine mediante atti di fusione, costituzione di nuove società, conferimento d'azienda, rivalutazione di partecipazioni sociali, ex Legge n. 448 del 2001 e successive modifiche, e loro trasferimenti.

La Suprema Corte ha ritenute infondate le eccezioni dell'Ufficio, considerato che, in assenza di alcun divieto aggirato, il complesso delle operazioni contestate ha evidenziato la sussistenza di ragioni economiche tali da poterne escludere la predisposizione in vista del solo conseguimento di un indebito risparmio d'imposta.

Infatti, secondo i giudici di legittimità, la rivalutazione delle partecipazioni è avvenuta in forza di specifiche disposizioni di legge aventi finalità agevolative e, pertanto, non è possibile sostenere che c'è stato un illecito risparmio tributario.

Inoltre, a parere della Suprema Corte, l'esistenza di ragioni economiche apprezzabili, che giustifichino l'operazione, possono consistere anche in esigenze di natura organizzativa ed in un miglioramento strutturale e funzionale dell'azienda (in tal senso cfr. Cass. sez. 5, 26 febbraio 2014, n. 4604; Cass. sez. 5, 21 gennaio 2011, n. 1372).

Pertanto, secondo i giudici di legittimità, non è abusivo del diritto godere della normativa agevolativa applicabile alla cessione di partecipazioni rispetto a quella prevista per la distribuzione di dividendi.

Anche la giurisprudenza di merito si è espressa coerentemente con tali principi.

In particolare, la Commissione Tributaria Provinciale di Padova (cfr. sentenza 20 febbraio 2020 n. 58) ha ribadito il concetto tale per cui:

- l'Ufficio non può privare il contribuente della libertà di scelta fra regimi opzionali diversi che sono offerti dalla legge per il solo fatto che comportano un diverso carico fiscale. Tale diritto è infatti espressamente riconosciuto dallo stesso Legislatore con l'art. 10 bis, Legge n. 212/2000 il quale per l'appunto prevede: “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”;

- l'operazione di rivalutazione delle azioni con pagamento dell'imposta sostitutiva più favorevole e la cessione delle azioni rivalutate, rappresentano atti legittimi, espressione della libera scelta del contribuente tra regimi opzionali offerti dalla legge e che comportano un diverso carico fiscale.

Afferma in particolare la Commissione patavina che : “… il Collegio ritiene corretta la tesi dei Ricorrenti in quanto, nel caso in esame, il punto oggetto di verifica da parte del giudice adito è se il contribuente si è mosso rispettando le previsioni di legge usufruendo di un vantaggio fiscale legittimo senza effettuare atti simulati e questo a prescindere dalla presenza di una valida ragione economica od organizzativa sottostante l'operazione effettuata.
Ogni qual volta il contribuente adotta soluzioni legittime alle quali l'ordinamento fiscale riconosce un minor carico fiscale, dette soluzioni non possono essere censurate come abuso del diritto. L'art. 10-bis, infatti, al comma 4 dice espressamente che resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale; la norma non prevede, come vorrebbe l'Ufficio, che la libertà di scelta può essere esercitata fermo restando il necessario conseguimento di un vantaggio economico od organizzativo che, pertanto, non deve essere investigato dal giudice adito.
Nel caso in esame l'operazione di valutazione delle azioni con pagamento dell'imposta sostitutiva più favorevole e la cessione delle azioni rivalutate, costituiscono atti legittimi, espressione della libera scelta del contribuente tra regimi opzionali offerti dalla legge e comportanti un diverso carico fiscale”.

Tali conclusioni sono condivisibili per i seguenti motivi.

Brevi cenni all'abuso del diritto

La normativa sull'abuso del diritto è contenuta nell'articolo 10-bis dello Statuto del Contribuente (L. 212/2000), secondo il quale configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente vantaggi fiscali indebiti.

E' stato osservato che per l'esistenza dell'abuso occorrono tre presupposti:

- l'assenza di sostanza economica delle operazioni effettuate;

- la realizzazione di un vantaggio fiscale indebito;

- la circostanza che il vantaggio è l'effetto essenziale dell'operazione (così Relazione al D. Lgs del 5 agosto 2015, n. 128, pag. 6).

Pertanto, la norma in oggetto sembra restringere l'ambito applicativo della disposizione nel senso che, per far scattare la norma antielusiva, non è sufficiente un'operazione priva di valide ragioni economiche, ma occorre anche che l'indebito vantaggio sia lo scopo essenziale dell'operazione. In altri termini, l'indebito vantaggio fiscale, in assenza di sostanza economica, non determina necessariamente l'applicazione della norma sull'abuso.

Ciò sarebbe confermato dalla stessa Agenzia delle Entrate, secondo la quale, per constatare l'abuso del diritto, è necessario prioritariamente procedere alla verifica dell'esistenza del primo elemento costitutivo - l'indebito vantaggio fiscale - in assenza del quale l'analisi antiabusiva si deve intendere terminata. Diversamente, al riscontro della presenza di indebito vantaggio, si proseguirà nell'analisi della sussistenza degli ulteriori elementi costitutivi (assenza di sostanza economica e essenzialità del vantaggio indebito). Infine, solo qualora si dovesse riscontrare l'esistenza di tutti gli elementi, l'Amministrazione Finanziaria procederà all'analisi della fondatezza e della non marginalità delle ragioni extra fiscali (così la Risoluzione dell'Agenzia Entrate del 17 ottobre 2016, n. 93).

Pertanto, quando l'operazione non consente la realizzazione di alcun vantaggio fiscale indebito, non può essere considerata elusiva (così la Risposta di interpello dell'Agenzia Entrate del 30 ottobre 2019, n. 450).

E tale vantaggio indebito non può verificarsi quando si sfrutta una norma che richiede di sostenere un'imposta sostitutiva per usufruirne.

La rivalutazione delle quote in previsione di una loro cessione e l'abuso del diritto

La rivalutazione delle partecipazioni societarie in prossimità della loro cessione non costituisce affatto un'operazione abusiva.

Il Legislatore, invero, con la previsione a favore dei contribuenti di procedere con la rivalutazione delle partecipazioni, previo pagamento di un'imposta sostitutiva, ha semplicemente preferito assicurarsi l'incasso, certo e immediato, di un'imposta sostitutiva, rispetto all'incasso (non certo nella sua esistenza) possibile e futuro di un'imposta più elevata.

Pertanto, la rivalutazione delle partecipazioni disciplinata dall'art. 5, Legge n. 448/2001 e successive modificazioni ha comportato dei vantaggi (legittimi), sia per i contribuenti, sia per lo stesso Erario.

Si consideri peraltro il fatto che proprio l'Agenzia delle Entrate, in alcuni documenti di prassi, ha messo in evidenza come non possa essere affatto considerata abusiva la rivalutazione delle partecipazioni effettuata in prossimità della cessione delle medesime. Si tratta di un legittimo risparmio d'imposta che si pone perfettamente in linea con la ratio di quanto previsto dagli articoli 5 e 7 della Legge n. 448/2001.

Infatti, è stato chiarito che: “… la rappresentata cessione … della totalità delle partecipazioni della società istante (rimasta titolare dell'azienda relativa al solo ramo operativo) da parte del socio-società e dei soci-persone fisiche non imprenditori, non integra alcun "indebito risparmio d'imposta"; ciò comporterà in capo alla prima, il realizzo di una plusvalenza esente ai sensi dell'articolo 87 del TUIR (ricorrendone i presupposti di legge) e, in capo ai secondi, un capital gain da partecipazione qualificata (essendo le partecipazioni al capitale sociale in esame di entrambi i soci superiori al 25%) ex articoli 67, comma 1, lettera c), e 68 del TUIR, che sarà, di fatto, "azzerato" a seguito della prospettata adesione alla rivalutazione delle partecipazioni da essi detenute” (così la Risoluzione 25 luglio 2017 n. 97/E).

In altro documento erariale (nella Risoluzione 17 ottobre 2016 n. 93/E), è stato sostenuto che non può affatto essere equiparato a una fattispecie di abuso del diritto un mero risparmio d'imposta per il quale il contribuente decide di optare (“L'eventuale cessione degli immobili, effettuata dai soci in un momento successivo all'avvenuta assegnazione, è una facoltà che il Legislatore non ha inteso vietare, con la conseguenza che, ad avviso della scrivente, il legittimo risparmio di imposta che deriva dall'operazione non è sindacabile ai sensi dell'articolo 10-bis della legge n. 212 del 27 luglio 2000”)

In senso analogo il Comitato Consultivo per le norme antielusive (con il parere del 20 ottobre 2003 n. 16), il quale, ha qualificato come non elusive le seguenti operazioni: rivalutazione delle partecipazioni sociali detenute nella società scindenda; scissione parziale e proporzionale, mediante attribuzione del patrimonio immobiliare alla costituenda società; concessione in locazione, alla scissa, degli immobili; cessione del pacchetto azionario della scissa alla beneficiaria.

Tali principi sono coerenti con quanto espressamente stabilito dal quarto comma dell'art. 10 bis, Legge n. 212/2000.

Dispone per l'appunto il citato comma quarto: “Resta ferma la libertà di scelta del contribuente tra regimi opzionali diversi offerti dalla legge e tra operazioni comportanti un diverso carico fiscale”.

Pertanto, la mera opzione del contribuente per un regime fiscale meno oneroso, e al contempo previsto dal nostro ordinamento giuridico, non può costituire elemento da cui desumere l'esistenza di una fattispecie di abuso del diritto.

Anche la giurisprudenza di secondo grado ha sancito che non può essere considerata alla stregua di una scelta elusiva la mera opzione dei contribuenti di avvalersi della rivalutazione delle partecipazioni prevista dalla Legge n. 448/2001.

Ad esempio, la Commissione Tributaria Regionale del Veneto ha sancito che: “… la rivalutazione delle quote è prevista dall'art. 5 della L. n. 448 del 2001 ed è il risultato di una scelta del legislatore che ha preferito incassare una imposta sostitutiva ridotta (4%), ma certa e "subito", rispetto all'incasso solo possibile e futuro di una imposta più elevata. I contribuenti si sono avvalsi della L. n. 448 del 2001, ma questo non consente di affermare che la loro scelta sia fiscalmente elusiva” (sentenza 22 novembre 2018 n. 1326).

La stessa Commissione Regionale ha stabilito che: “L'obiettivo ricercato dai ricorrenti appare, a giudizio della Commissione, del tutto legittimo ed ad esso non può negarsi un valore economico ed organizzativo … a giudizio del Collegio, l'ottenimento di un passaggio generazionale all'interno delle due famiglie, con una contestuale riunificazione in capo ad una holding di partecipazione di differenti realtà industriali, costituisce di per sé una valida ragione economica. Per quanto concerne il processo posto in essere e contestato dall'Amministrazione, la Commissione ritiene che l'utilizzo della rivalutazione delle partecipazioni ai sensi dell'art. 5 della L. n. 448 del 2001, non può certo essere considerata una operazione di per sé elusiva se finalizzata al perseguimento di una valida ragione economica; inoltre la possibilità di operare una cessione di partecipazioni, invece che una vendita, rientra pienamente nelle legittime opzioni che la legislazione prevede; non appare infatti, in presenza di una valida ragione economica, legittimo vincolare il comportamento del contribuente alla sola scelta del conferimento della società preceduto dalla distribuzione di utili pregressi» (sentenza 12 luglio 2018 n. 847).

Inoltre, sempre i giudici di secondo grado del Veneto hanno sancito che : “Dalla lettura degli atti e della documentazione prodotta in giudizio si evince che nel presente caso sono effettivamente esistenti delle ragioni organizzative che hanno motivato il complesso delle operazioni poste in essere, costituite dalla concentrazione sulla società L. Srl di funzioni in grado di consentire alla G. SpA di concentrarsi sul “core business”, quali quelle finanziarie o di supporto per servizi di tipo gestionale o amministrativo … la Commissione ritiene che … l'Ufficio si sia completamente sottratto dalla verifica ed eventuale confutazione delle ragioni organizzative ed economiche dichiarate dalla società negli atti e che sono state richiamate dagli stessi primi giudici; tale circostanza non è di poco conto in quanto è la stessa normativa richiamata … che prevede la non sussistenza dell'elusione di imposta in presenza di valide ragioni economiche ed organizzative» (sentenza 13 dicembre 2019 n. 1325).

Le riorganizzazioni per i passaggi generazionali

Per completezza di esposizione, si ricorda il principio di diritto n. 20/2019 dell'Agenzia delle Entrate secondo il quale l'operazione di “merger leveraged cash out”, i cui i soci persone fisiche di una società target rivalutano le partecipazioni e le cedono ad un'altra società veicolo che successivamente viene incorporata, consente di ottenere un vantaggio fiscale consistente nell'azzeramento della tassazione dell'incasso degli utili da parte dei cedenti.

Si deve, però, sottolineare che, come evidenziato anche da parte della dottrina (E. Romita – G. Vaselli, L'abuso del diritto nel family buy out – note critiche alla posizione dell'Agenzia delle Entrate, in Bollettino Tributario, 2020, n. 3), dall'analisi del citato documento di prassi, invero, risulta di tutta evidenza come l'Amministrazione finanziaria non abbia in alcun modo considerato la sostanza economica dell'operazione posta in essere dai contribuenti, che ha garantito il passaggio generazionale dei soci della società target.

In questi casi, la costituzione di una holding, partecipata dai soggetti deputati a continuare la gestione delle società operative, che acquista le relative partecipazioni, rivalutate prima della cessione, non può essere considerata abusiva.

Infatti, è necessario ricordare che uno degli strumenti giuridici utile per regolare il passaggio generazionale e il successivo funzionamento dei rapporti tra soci, è la holding di famiglia.

In questo caso, solo per citare alcuni esempi, la costituzione di una holding consentirebbe:

- lo sviluppo e la diversificazione del business delle società controllate;

- la gestione accentrata della finanza;

- la possibilità di presentare ai terzi un bilancio consolidato e di usufruire dei vantaggi della tassazione di Gruppo;

- di dare la possibilità a soggetti terzi eventualmente interessati di entrare nel capitale delle controllate operative (per esempio possibili soci investitori o riconoscimento di stock option a dirigenti/amministratori come premi per fidelizzare gli stessi alla società) senza che venga intaccata la compagine sociale della holding che gestisce il gruppo;

- la tutela del patrimonio aziendale.

Per ottenere il medesimo risultato, i soggetti interessati avrebbero la possibilità di effettuare delle operazioni di conferimento, oppure effettuare delle cessioni a titolo oneroso delle quote.

Considerato che, ai sensi dell'art. 9, comma 5, del TUIR, le disposizioni relative alle cessioni a titolo oneroso si applicano anche per i conferimenti in società, è evidente che le due operazioni sono considerate dal legislatore come equivalenti, avendo lo stesso trattamento tributario.

Una volta scelta l'operazione, è possibile verificare se è possibile applicare delle norme agevolative.

A esempio, per i conferimenti di partecipazioni a favore di una holding, è possibile non tassare la plusvalenza, nel caso in cui si applichi l'art. 177 del TUIR.

Nel caso, invece, di cessione delle quote alla holding, una norma agevolativa è rappresentata dalla normativa sulla rivalutazione delle partecipazioni.

Qualora venga effettuata quest'ultima operazione, però, i soci pagano immediatamente un'imposta sostitutiva, che nel caso del conferimento non avverrebbe, se non qualora la holding decidesse di distribuire i dividendi ai soci. Pertanto, si può affermare che, con la rivalutazione, i soci anticipano, anche se con un'aliquota inferiore, un'imposta futura. In altri termini, lo Stato incassa meno ma immediatamente. In merito alla posizione dei soggetti che non diverrebbero soci della holding, l'Agenzia delle Entrate, con una recente risposta ad interpello (la numero 242 del 5 agosto 2020), non ha eccepito ai soci uscenti alcun vantaggio fiscale indebito ed ha pertanto ritenuto perfettamente lecita l'operazione di rivalutazione e successiva cessione delle quote.

In merito, invece, alla posizione degli altri soggetti che risulterebbero, al termine dell'operazione, gli soci della holding, secondo la tesi riportata dall'Agenzia delle entrate nel medesimo documento 242/2020, l'indebito vantaggio fiscale consisterebbe nel fatto che il “socio cedente invece che recedente” consegue in modo artificioso plusvalenze imponibili come redditi diversi ex art. 67 comma 1 lett. c) e c-bis) del TUIR, neutralizzabili fino a concorrenza del costo fiscalmente rivalutato della partecipazione, invece che redditi di capitale da recesso “tipico” ex art. 47 comma 7 del TUIR.

Tale tesi, però non sarebbe condivisibile.

Infatti, come riportato nello stesso documento, l'ordinamento giuridico prevede due tipologie di recesso, a cui il legislatore tributario ha previsto una diversa disciplina. Infatti, in caso di recesso c.d. "tipico", attuato cioè tramite l'annullamento e il rimborso della partecipazione detenuta (in proporzione del patrimonio sociale e tenuto conto del valore di mercato al momento della dichiarazione di recesso, ai sensi dell'articolo 2473 del codice civile), le somme ricevute dal socio recedente, per la parte eccedente il costo fiscalmente riconosciuto della partecipazione medesima, costituiscono utile, rientrando tra le fattispecie che danno luogo a redditi di capitale.

Nell'ipotesi, invece, di recesso c.d. "atipico", che si attua mediante la cessione a titolo oneroso della partecipazione agli altri soci ovvero a soggetti terzi estranei alla compagine sociale, le somme ricevute dal socio rientrano tra i redditi diversi di natura finanziaria (capital gain).

Tralasciando il fatto che il contribuente, come precisato dalla stessa ordinanza in commento, ha la facoltà di scegliere l'operazione più conveniente dal punto di vista fiscale, è evidente che la cessione delle partecipazioni non rientra tra i casi tipici di recesso.

Inoltre, per effettuare il recesso tipico, la società target, ovvero quella acquisita dalla holding, potrebbe non avere le risorse necessarie per pagare i soci recedenti e dovrebbe indebitarsi per liquidarli, peggiorando la sua situazione patrimoniale e finanziaria.

Al contrario, con il recesso atipico, è la holding il soggetto che si indebita, senza nessun peggioramento, in questo momento di crisi economico/sanitaria, della situazione finanziaria e patrimoniale della società operativa.

Del resto, come sostenuto nella stessa risposta 242/2020, se l'obiettivo perseguito dai soggetti coinvolti è quello di costituire una holding, a cui trasferire le quote della società operativa, questo, in un'ottica anti-abuso, non può essere sindacato dai verificatori.

Inoltre, la stessa Agenzia, nella citata risposta 242/2020, sostiene che per escludere l'esistenza di una fattispecie di abuso del diritto, si deve superare un vaglio di "non marginalità" delle ragioni extrafiscali, che si ritiene sussistere solo quando le operazioni rappresentate non sarebbero state poste in essere in assenza di tali ragioni.

In merito, autorevole dottrina (Assonime nella circ. 21 del 4 agosto 2016 pag. 104-108), prendendo spunto dalla sentenza di Cassazione del 5 dicembre 2014, n. 25758, afferma che: “per ottenere un risparmio d'imposta anche l'aver scelto, per raggiungere un determinato obiettivo, una specifica operazione o una pluralità di operazioni in luogo di altre solo per ottenere un risparmio d'imposta o, comunque, per non incorrere negli oneri fiscali che le altre alternative avrebbero presentato, è di per se´ una giustificazione sufficiente a legittimare la scelta del contribuente, purchè non risultino “violati” i principi dell'ordinamento fiscale e la ratio del regime fiscale di cui viene fatta applicazione”.

Nel caso dell'operazione in esame, l'Agenzia delle entrate dovrebbe sostenere che la costituzione della holding è stata posta in essere esclusivamente per ragioni extrafiscali e non per tutti i motivi sopra descritti. E questo sarebbe difficile da sostenere, considerato che l'operazione alternativa sarebbe il conferimento, che porterebbe in ogni caso al medesimo risultato: la costituzione della holding.

In merito a tale ultima operazione, si ricorda che il legislatore ha disciplinato, con il comma 2-bis dell'art. 177 del TUIR, il caso del conferimento di partecipazioni, non di controllo, in una holding interamente posseduta dal soggetto conferente, estendendo il regime del realizzo controllato, previsto dal comma 2, del medesimo articolo 177, anche a tale fattispecie.

Pertanto, considerato che è stato ritenuto lecito conferire in una holding detenuta al 100% dallo stesso soggetto conferente una partecipazione, ci si chiede perché la cessione di quote ad una società partecipata dal soggetto cedente, possa essere considerata elusiva, pur avendo pagato un'imposta sostitutiva prima del trasferimento.

Se, come riportato precedentemente, le operazioni di conferimento e quelle di cessione devono essere considerate sullo stesso piano, non si spiega il motivo per contestare la cessione, utilizzata alternativamente al conferimento.

Del resto, come sostenuto dalla stessa Agenzia delle Entrate, occupandosi di un conferimento di partecipazioni, ha sostenuto che: “ Nel presupposto della sussistenza dei preliminari requisiti per accedervi e dell'assenza di operazioni prive di sostanza economica finalizzate alla realizzazione di vantaggi fiscali indebiti, la scelta del regime di realizzo controllato di cui al comma 2- bis dell'art. 177 del TUIR (in luogo del regime realizzativo, di cui all'articolo 9 del TUIR) non appare sindacabile in ottica anti-abuso risultando, al ricorrere di taluni presupposti, posta dall'ordinamento tributario su un piano di pari dignità “ (risposta ad interpello del 2 ottobre 2020, n. 429).

Pertanto, secondo l'Amministrazione finanziaria, il contribuente ha la possibilità di non applicare il regime ordinario, previsto per l'operazione (art. 9 del TUIR), ma può scegliere quello più conveniente (art. 177, comma 2-bis del TUIR), purchè tutte le operazioni siano parte di un più ampio progetto di riorganizzazione e non sono prive di sostanza economica.

Ciò sarebbe stato confermato anche nel caso di un conferimento del controllo di una partecipazione in una holding detenuta al 100% dallo stesso conferente, che successivamente ha trasferito a titolo gratuito, con un patto di famiglia, le quote nella conferitaria ai propri figli, usufruendo dell'esenzione ai fini dell'imposta di donazione di quanto stabilito dall'articolo 3, comma 4-ter, del decreto legislativo n. 346 del 1990.

Infatti, in questo caso, l'Agenzia delle Entrate (con risposta ad interpello del 30 ottobre 2019, n. 450) dato peso al fatto che il progetto di riassetto societario fosse finalizzato a consentire il subentro graduale di questi ultimi nel gruppo di famiglia.

Inoltre, non potrebbe essere sindacata la scelta del contribuente, in quanto, come precisato dalla prevalente giurisprudenza, il contribuente può scegliere la strada economicamente più vantaggiosa offerta dall'ordinamento tributario per raggiungere il medesimo risultato e non deve quindi necessariamente intraprendere il percorso più oneroso (sentenza della Corte di Cassazione del 14 gennaio 2015, n. 439).

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