Liquidazione del danno non patrimoniale: le nuove istruzioni della cassazione sull'uso della tabella di Milano
14 Dicembre 2020
Introduzione
La Terza Sezione della Cassazione con la sentenza n. 25164 del novembre 2020, pur collocandosi nel solco tracciato dalle precedenti decisioni che hanno sancito l'autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, correttamente inteso quale pregiudizio dinamico relazionale (Cass. civ., n. 901/2018; Cass. civ., n. 7513/2018; Cass. civ., n. 28989/2019), si contraddistingue, però, per aver fornito una nuova interpretazione in merito all'uso che deve essere fatto della Tabella di Milano nella liquidazione delle diverse componenti del danno non patrimoniale conseguente alla lesione del bene salute.
Posto che la recente rivisitazione del danno non patrimoniale, che vede il morale quale autonomo pregiudizio, poteva aver messo in crisi il sistema tabellare costruito ad hoc nel 2009 quando era stato aggiunto il danno morale, anche se definito “non patrimoniale”, al valore del punto del danno biologico rivalutato, suscitando non poche critiche e perplessità di coloro che ritenevano in tal modo aggirato il principio enunciato dalle Sezioni Unite della Cassazione con le sentenze di San Martino del 2008 (SSUU nn. 26972-73-73-75/2008) secondo il quale il danno morale non era in re ipsa né poteva essere liquidato in una frazione del biologico (R.BERTI, Osservazioni all'osservatorio di Milano, in Danno e Responsabilità 2010, 2, 120; F. MARTINI, Tribunali divisi sul potere equitativo dei giudici, in Guida al Diritto, Dossier, 9, 2009; G. PONZANELLI, Il danno non patrimoniale dopo le Sezioni Unite tra giurisprudenza, interventi legislativi e nuove tabelle, in Danno e resp., Speciale 1/2009; M. ROSSETTI, Le nuove tabelle dei tribunali di Roma e Milano in Danno e resp., Speciale 1/2009), la Terza Sezione ha ora fornito una nuova chiave di lettura della richiamata Tabella nel rispetto della nuova ripartizione del danno non patrimoniale nell'ambito del quale individua specifici criteri per la liquidazione del danno biologico (dinamico relazionale), della personalizzazione e del danno morale.
Nessun tramonto, quindi, come da taluni affermato, ma un nuovo implicito riconoscimento, seppur con delle precisazioni, della Tabella di Milano, che dopo all'imprimatur avuto con la nota sentenza della Civile della Cassazione n. 12408/2011, seguita ad essere l'unica espressamente richiamata dalla Suprema Corte a dispetto delle altre mai menzionate.
Anzi, il fatto che la stessa venga dalla Terza Sezione utilizzata seppur con un innovativa tecnica di scorporo della componente morale, in un contesto storico contraddistinto da un epocale opera giurisprudenziale riorganizzativa del danno non patrimoniale (oltre che di altri aspetti della responsabilità civile in generale comunque connessi, come emerge dalle nuove sentenze note con il nome di “San Martino 2”: Cass. civ., nn. 28985-86-87-88-89-90-91-92-93-94/2019), non può che, da un lato, confortare ancor più la convinzione di un ulteriore suo avvallo e, dall'altro, condurre a recepire la “critica” circa l'erronea incorporazione del morale nel biologico, in modo costruttivo come un invito ad apportare un lieve adeguamento, peraltro già ipotizzato con lungimiranza dal suo ideatore (D.SPERA, Le novità normative e la recente giurisprudenza suggeriscono un ritocco della Tabella milanese del danno non patrimoniale da lesione del bene salute? In Ridare.it), che la renderebbe immune da ulteriori critiche e ancora idonea a continuare a svolgere il ruolo di faro di riferimento nazionale per la liquidazione del danno non patrimoniale alla salute. La questione affrontata dalla Terza Sezione
La decisione, dopo aver ribadito l'ormai pacifica autonomia del danno morale rispetto al danno biologico, quale danno non “suscettibile di accertamento medico-legale [ch]e si sostanzia nella rappresentazione di uno stato d'animo di sofferenza interiore, che prescinde del tutto - pur potendole influenzare – dalle vicende dinamico-relazionali della vita del danneggiato” precisa, e qui sta il punto, che “in caso di concorso del danno dinamico-relazionale e del danno morale, nell'ipotesi di positivo accertamento dei presupposti per la c.d. personalizzazione del danno, è necessario procedere all'aumento fino al 30% del valore del solo danno biologico, depurato dalla componente del danno morale, automaticamente (ma erroneamente) conglobata nel danno biologico nella tabella milanese, giusta il disposto normativo di cui all'articolo 138, punto 3, del novellato Codice delle assicurazioni”.
Le conseguenze pratiche del principio sopra enunciato nella liquidazione del danno non patrimoniale attraverso la Tabella di Milano sono le seguenti:
1.- costituisce duplicazione risarcitoria liquidare il danno morale in aggiunta alla somma determinata in base alla Tabella sicché, in caso di positivo accertamento dell'esistenza, nel singolo caso di specie, di un eventuale concorso del danno dinamico-relazionale (=biologico) e del danno morale, il quantum risarcitorio si determina applicando integralmente la Tabella di Milano, che prevede la liquidazione di entrambe le voci di danno; 2.- in caso di negativo accertamento della componente morale del danno (accertamento da condurre caso per caso), il quantum risarcitorio si determina considerando la sola voce del danno biologico, depurata, quindi, dall'aumento tabellarmente previsto per il danno morale secondo le percentuali ivi indicate, liquidando, conseguentemente il solo danno dinamico-relazionale (=biologico); 3.- in caso di positivo accertamento di conseguenze dinamico-relazionali eccezionali, anomale ed affatto peculiari, si potrà riconoscere la personalizzazione secondo la percentuale prevista dalla Tabella ma tale aumento dovrà essere calcolato sul valore del solo danno biologico e quindi previa decurtazione della quota relativa al danno morale.
I principi generali appena elencati rendono, tuttavia, opportune le seguenti osservazioni.
Il principio riportato al punto 1, che postula la quantificazione del danno morale nell'ammontare previsto dalla quota già inglobata nel valore a punto del danno biologico, è applicabile in via generale in tutte le ipotesi in cui ricorra un danno morale che potremmo definire standard ossia connaturato alla lesione in sé ed è quindi riferibile alla “sofferenza fisica” ed a quella “menomazione-correlata” ma potrà essere rivisto, anche in aumento, nell'ipotesi in cui siano, altresì, compromessi “gli altri pregiudizi ricompresi nella sofferenza interiore” (la tristezza, il dolore dell'animo, la vergogna, la disistima di sé, la paura, la disperazione, v. Cass. civ., n. 7513/2018) ed in altre ipotesi eccezionali nelle quali la componente sofferenziale assume un peso nettamente maggiore rispetto a quella biologica in senso stretto, come ad esempio avviene nei casi di stupro o, in quello di scuola, di amputazione della falange del dito mignolo della mano di una minore (caso in cui pur essendo il danno biologico permanente di 2-3 punti percentuali, per tutto il resto della sua vita la bambina avrà vergogna per la sua menomazione) o ancora, per essere drammaticamente più attuali, nell'ipotesi in cui un paziente abbia concretamente temuto di morire a causa dell'infezione da Covid poi guarita dopo un tragico periodo di terapia intensiva.
In pratica nulla di nuovo rispetto alla tecnica risarcitoria adottata post Sezioni Unite del novembre del 2008, attraverso l'applicazione della Tabella di Milano che mai ha infatti negato un extra morale da liquidarsi ad equità nei casi eccezionali come quelli sopra ipotizzati.
L'ipotesi di cui al punto 2, appare irrealistica e contraria ai principi giurisprudenziali più costanti perché l'art. 2059 c.c., richiamando espressamente i casi determinati dalla legge e quindi l'art. 185 c.p. oltre a tutte le altre ipotesi normative che prevedono il risarcimento di tale danno, stabilisce che in caso di reato o di illecito (ed anche di inadempimento contrattuale) il danno morale vada potenzialmente sempre liquidato e, quindi, se provato, anche nel caso di lesioni lievissime in cui eventualmente la modesta sofferenza varrà come misura per il risarcimento.
Ne consegue che, a parte la rilevanza che il principio prettamente teorico può assumere, nella pratica è del tutto sconsigliabile negare a prescindere un risarcimento della componente morale a meno che non si voglia, e non credo sia questo il fine che la decisione si ponga, inaugurare una nuova era di contenzioso che il buon senso ed una corretta interpretazione dei principi ormai pacifici, consentono sicuramente di evitare.
Anche se, in teoria, questo nuovo assunto presuppone una nuova lettura della Tabella, nella pratica la questione concettuale non potrà trovare grande applicazione visto che la stragrande maggioranza dei casi in cui è possibile ipotizzare l'irrilevanza della componente sofferenziale non riguarda la Tabella di Milano, ma quella ministeriale ex art. 139 Cod. ass. che ormai governa sia le ipotesi di “micro-danni” conseguenti a circolazione stradale che quelli conseguenti a responsabilità medico-sanitaria.
Logicamente, in tema di onere della prova, in un sistema risarcitorio che respinge ogni automatismo e l'esistenza di un danno in re ipsa, la Corte non può che prevedere una valutazione caso per caso che l'interprete dovrà svolgere attraverso la lapalissiana considerazione per la quale “più grave è la lesione, maggiore è la sofferenza” utilizzando il notorio, le massime di esperienza e la prova presuntiva che viene nuovamente richiamata come unica fonte di prova dell'intima sofferenza, idonea a soppiantare definitivamente la prova testimoniale fino ad esonerare la parte “dall'articolare estenuanti capitoli di prova relativi al significativo mutamento di stati d'animo interiori da cui possa inferirsi la dimostrazione del pregiudizio patito”.
Il rischio che un richiamo così forte al notorio ed alle presunzioni sfoci nel riconoscimento del danno morale alla sola presenza del danno alla salute come se si trattasse di un danno-evento, viene sgombrato dalla rilevanza che la decisione dà alle allegazioni della parte che ha l'onere di una sempre più dettagliata e specifica descrizione degli stati d'animo e delle sofferenze quali elementi noti e percepibili attraverso i quali il giudice può giungere alla presunzione della sussistenza dell'aspetto morale del danno. Si delinea in tal modo l'assioma secondo il quale si avrà risarcimento del danno morale tutte le volte in cui la parte avrà dettagliatamente allegato tutte le circostanze attraverso e quali il giudice determinerà la misura del risarcimento in proporzione alla prova presuntiva raggiunta.
Anche sotto l'aspetto dell'onere della prova la decisione non spicca per novità ma si pone in linea con le richiamate Sezioni Unite del 2008 che già al tempo avevano elevato le presunzioni a prova di pari rango rispetto a tutte le altre.
Il principio riportato al punto 3 rappresenta la vera innovazione della decisione in commento, essendo quella che, nella pratica, comporterà i maggiori risvolti visto che la sua applicazione potrebbe determinare la diminuzione degli importi risarcitori ed essere quindi essere foriera di nuovi contenziosi.
Vi è da dire però che se anche concettualmente può sembrare corretto l'incremento per la personalizzazione di quanto risultante per il solo danno biologico - e, quindi, previa decurtazione dal punto della quota di danno morale - per l'omogeneità delle due voci risarcitorie, che attengono entrambe alla sfera dinamico-relazionale (divergendo solo per le conseguenze del pregiudizio, in un caso standard e nell'altro eccezionale), alcune considerazioni possono condurre a ritenere tale criterio non conforme all'ormai radicata interpretazione della legge sui macro-danni di cui all'art. 138 Cod. Ass.
Infatti, le nuove “istruzioni” sul computo della personalizzazione vengono giustificate col richiamo appunto a tale norma del Codice delle assicurazioni che, tuttavia, prevede, qualora la menomazione incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati ed accertati, un aumento fino al 30% dell'”ammontare del risarcimento del danno, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale di cui al comma 2” e, quindi, ai sensi della lett. e) anche dell'ammontare comprensivo della componente morale che la norma in questione non prevede di scorporare nel calcolo della personalizzazione.
Per di più va osservato che il richiamo, quale norma di regolamento per la liquidazione della personalizzazione, all'art. 138 Cod. Ass. rende perplesso il ragionamento dal momento che tale norma non ha mai trovato, né mai troverà, applicazione pratica, essendo ormai la sua validità decaduta per mancanza dei provvedimenti governativi di pubblicazione delle tabelle ministeriali per i macro danni, sicché limitare la personalizzazione ad un massimo del 30% del solo danno biologico sulla base di questa norma, che potremmo definire “virtuale”, può costituire una pericolosa enunciazione contraria a quanto previsto dalla Tabella di Milano, che invece prevede personalizzazioni fino al 50% il che rischia di generare ulteriore contenzioso.
Si potrebbe anche opinare che la parte del danno morale relativa alla sofferenza “nocicettiva” ed a quella “menomazione correlata” (per un approfondimento su tali concetti si rinvia a SPERA, “I 10 punti del danno biologico: commento a Cass. n. 25164/2020 su danno morale, personalizzazione e tabella milanese” in Ridare.it) sia una componente intrinseca del danno biologico influendo anch'essa, anche se in termini di dolore e non meramente funzionali, nel fare areddituale del danneggiato dovendosi quindi porre alla base della personalizzazione nel caso di ripercussioni dinamico-relazionali eccezionali, anomale ed affatto peculiari, non potendo non essere le stesse comunque influenzate anche dall'aspetto sofferenziale intrinsecamente connesso. In conclusione
La decisione, quindi, oltre a ribadire ormai noti concetti, propone un innovativo metodo di calcolo della personalizzazione che solo il tempo ci dirà come verrà colto dalla giurisprudenza di merito visto che la Terza Sezione, con il cd. decalogo e la sua successiva giurisprudenza, ha già ristretto il concetto della personalizzazione, limitandola a casi del tutto straordinari, precludendola, di fatto, alle fasce più deboli dei danneggiati, come ad esempio bambini ed anziani (v. per una lettura critica di tale impostazione L.BERTI “I requisiti necessari per la personalizzazione del danno biologico alla salute” in Ridare.it) e ora, con la decisione in commento, sostanzialmente aggiunge anche una limitazione del suo valore risarcitorio. A parte i dubbi che la decisione in commento può suscitare in merito ai criteri per calcolare la personalizzazione e circa l'autonomia del danno morale, resta il fatto che essa conferma la validità della Tabella di Milano seppur con i previsti adeguamenti, alla quale pertanto permane la qualifica di tabella paranormativa riconosciutale dalla sentenza cd. “Amatucci” del 2011 sopra citata.
Va inoltre riconosciuta anche la rilevanza pratica della sentenza per aver delineato i confini risarcitori del danno morale standard che non viene lasciato alla mera equità (e spesso arbitrio) del giudice, ma qualora concorra con il danno alla salute (danno biologico dinamico-relazionale), viene collocato all'interno di parametri tabellari certi che saranno senz'altro utili, per tutte le parti coinvolte, per poter prevedere l'ammontare complessivo del danno.
Tuttavia tale enunciato appare contrario al principio, anche di recente affermato dalla Suprema Corte, secondo il quale il danno morale, quale pregiudizio non accertabile attraverso l'indagine medico legale, deve essere liquidato autonomamente (tra le varie Cass. civ., n. 7513/2018) secondo equità e non attraverso parametri tabellari predeterminati (tra le varie Cass. civ., n. 8292/2019; Cass. civ., n. 7640/2019), sicché questo contrasto potrà causare confusione interpretativa e dunque, contenzioso.
Solo il futuro giurisprudenziale ci potrà dire se i principi innovativi enunciati nella sentenza qui commentata troveranno pacifica applicazione o apriranno nuovi contrasti interpretativi. |