Udienza da remoto per il giudice civile anche senza essere nell'ufficio giudiziario

15 Dicembre 2020

La Corte costituzionale con l'ordinanza n. 269 dell'11 dicembre 2020 ha affrontato, seppure in rito, il tema dell'udienza civile da remoto con riferimento al profilo del luogo “fisico” dal quale il magistrato deve connettersi all'udienza virtuale.

Lo ha affrontato per così dire “in rito” perché l'ordinanza, in parte, ha dichiarato inammissibile la questione sollevata con un'ordinanza di rimessione e, in altra parte, ha disposto la restituzione degli atti agli altri giudici a quibus perché valutino la sopravvenienza normativa di cui diremo che sostanzialmente va nella direzione sperata dai giudici.

Udienza virtuale, ma giudice in tribunale. Orbene, tutto era nato allorquando il legislatore dell'emergenza aveva previsto come modalità di svolgimento dell'udienza civile (oltre alla modalità “tradizionale” divenuta recessiva a causa del COVID-19 e quella cartolare) quella cd. “da remoto”, aveva altresì previsto che il giudice dovesse collegarsi da un preciso luogo fisico: il tribunale.
Secondo alcuni giudici, però, quella norma presentava profili di illegittimità costituzionale tanto che alcune ordinanze di rimessione (tra cui quella di Mantova del 19 maggio 2020) avevano sollevato la questione di legittimità costituzionale.
La norma “incriminata” era proprio l'art. 83, comma 7, lettera f), del decreto-legge 17 marzo 2020, n. 18 (convertito, con modificazioni, nella legge 24 aprile 2020, n. 27, come modificato dall'art. 3, comma 1, lettera c), del decreto-legge 30 aprile 2020, n. 28, nella parte in cui prevede che lo svolgimento mediante collegamento da remoto dell'udienza civile, che non richieda la presenza di soggetti diversi dai difensori, dalle parti e dagli ausiliari del giudice, deve in ogni caso avvenire con la presenza del giudice nell'ufficio giudiziario, per contrasto con gli artt. 3, 32, 77 e 97 della Costituzione.
In buona sostanza per i giudici rimettenti non vi era alcuna ragionevole spiegazione del perché il giudice ordinario (diversamente, ad esempio, da quello amministrativo) dovesse collegarsi obbligatoriamente dall'ufficio giudiziario e non da altri luoghi specialmente in un periodo di emergenza sanitaria dove una delle prescrizioni è rappresentato dal diminuire gli spostamenti non necessari.
Inoltre, una delle ordinanze, aveva sollevato la questione di costituzionalità anche con riferimento all'art. 77 Cost. sul presupposto che sia illegittimo utilizzare «un decreto-legge per modificare la legge di conversione di un precedente decreto-legge appena pubblicata in Gazzetta Ufficiale, ovvero, in particolare, per introdurre il censurato obbligo della presenza del giudice nell'ufficio giudiziario».

Irrilevanza della questione. Senonché, per la Corte costituzionale sono due le considerazioni che vengono in rilievo nel caso di specie.
La prima considerazione attiene all'irrilevanza della questione di legittimità in uno dei giudizi a quibus: avendo il giudice di merito, infatti, svolto l'udienza secondo la modalità allora prevista dalla legge la questione deve essere considerata “esaurita” nel caso di specie e l'ordinanza dichiarata inammissibile.

Jus superveniens. La seconda considerazione attiene, invece, alle rimanenti ordinanze di rimessione e attiene alla normativa che nel frattempo è sopraggiunta.
Ed infatti, l'art. 23 del d.l. n. 137/2020 (non ancora convertito in legge) ha previsto, da un lato, al comma 7 che «in deroga al disposto dell'articolo 221, comma 7, del decreto legge 19 maggio 2020, n. 34, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 luglio 2020, n. 77, il giudice può partecipare all'udienza anche da un luogo diverso dall'ufficio giudiziario».
Dall'altro lato, al comma 9 ha anche previsto che «[n]ei procedimenti civili e penali le deliberazioni collegiali in camera di consiglio possono essere assunte mediante collegamenti da remoto individuati e regolati con provvedimento del direttore generale dei sistemi informativi e automatizzati del Ministero della giustizia. Il luogo da cui si collegano i magistrati è considerato Camera di consiglio a tutti gli effetti di legge».
Ne deriva che gli atti devono essere restituiti ai giudici a quibus affinché valutino la rilevanza della questione alla luce del mutato quadro normativo.
E ciò specialmente a fronte del fatto che tale ultima novità legislativa «applicabile ai giudizi a quibus allorché saranno riassunti, appare orientata «nella stessa direzione dell'ordinanza di rimessione» con un effetto che potrebbe essere ritenuto suscettibile di emendare i vizi denunciati dai rimettenti».

*Fonte: www.dirittoegiustizia.it

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