La domanda riconvenzionale nell’ambito del procedimento cautelare

Andrea Penta
16 Dicembre 2020

Il presente contributo analizza il tema della proponibilità della domanda riconvenzionale nella fase c.d. cautelare con particolare riferimento alla denuncia di nuova opera e di danno temuto e ai procedimenti di urgenza.
Premessa

E' noto che, sulla base dell'attuale formulazione del sesto comma dell'art. 669-octies c.p.c., nel caso in cui vengano richiesti ed ottenuti ante causam provvedimenti d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., altri provvedimenti cautelari idonei ad anticipare gli effetti della sentenza di merito (previsti dal codice civile o da leggi speciali), nonché provvedimenti di denunzia di nuova opera o di danno temuto ex art. 688 c.p.c., ciascuna parte ha solo la facoltà di iniziare il giudizio di merito, laddove l'ordinanza di accoglimento non deve fissare un termine perentorio per l'instaurazione del detto giudizio.

Una disciplina particolare è poi contemplata dall'ultimo comma dell'art. 703 c.p.c. in tema di domande di reintegrazione e di manutenzione nel possesso, prevedendosi che, se richiesto da una delle parti, il giudice fissa dinanzi a sé l'udienza per la «prosecuzione» del giudizio di merito.

Il rimedio cautelare, alla luce della nuova struttura del procedimento ex art. 700 c.p.c., e degli altri provvedimenti cautelari anticipatori, delineata nell'art. 669-octies comma 6 c.p.c., aggiunto dal d.l. n. 35 del 2005 - conv. con modif. nella l. n. 80 del 2005 -, che ha introdotto una previsione di attenuata strumentalità rispetto al giudizio di merito, la cui instaurazione è facoltativa - ha assunto dunque, ad ogni effetto, le caratteristiche di un'autonoma azione in quanto potenzialmente atto a soddisfare l'interesse della parte anche in via definitiva pur senza attitudine al giudicato (Cass. civ., 25 maggio 2016, n. 10840).

Ciò in quanto è ora prevista, in luogo della previgente strumentalità necessaria, una nozione attenuata della strumentalità del giudizio cautelare ex art. 700 c.p.c. rispetto al giudizio di merito, la cui instaurazione, da obbligatoria entro un termine legalmente previsto, diviene facoltativa. Vero è che la misura cautelare anticipatoria non seguita dal giudizio di merito non acquisisce l'autorità propria del giudicato, con la conseguente impossibilità di essere invocata in altri processi (art. 669-octies comma nove c.p.c.); così pure non è previsto un termine legislativamente predeterminato per dare inizio al giudizio di merito, oggi facoltativo, sicchè si è parlato di «provvisorietà permanente». Per tali motivi, del resto, la giurisprudenza di questa Corte ha ritenuto non proponibile il ricorso straordinario per cassazione ai sensi dell'art. 111 Cost. avverso un provvedimento reso ex art. 700 c.p.c. anche con riferimento al sistema processuale delineatosi in tema di procedimenti cautelari a seguito della novella del 2005, rilevando che i provvedimenti cautelari hanno natura instabile ed inidoneità al giudicato (Cass. civ., sez. un., n. 27187/2007; Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2015, n. 896; Cass. civ., sez. VI, 08 febbraio 2011, n. 3124; Cass. civ., sez. I, 28 gennaio 2010, n. 2000; Cass. civ., sez. I, 04 novembre 2009, n. 23410).

Resta tuttavia decisivo il rilievo che il rimedio cautelare anticipatorio presenta, nell'attuale sistema ordinamentale, le caratteristiche di un'azione autonoma, in quanto potenzialmente idoneo a soddisfare, attraverso l'intervento giudiziario, l'interesse sostanziale della parte, anche in via definitiva.

E' opportuno, peraltro, chiarire che il novellato art. 669-octies comma 6 c.p.c., per i provvedimenti cautelari ivi previsti, ha attenuato, ma non escluso del tutto, il vincolo di strumentalità tra la misura ed il giudizio di merito (Cass. civ., sez. VI, ord., 9 giugno 2015, n. 11949).

Ciò debitamente premesso, prima di analizzare i due procedimenti con riferimento ai quali si pone maggiormente la questione in esame (vale a dire, quelli quasi possessori e quelli d'urgenza), è opportuno analizzare in termini generali la problematica.

Considerazioni generali

Al di fuori degli ambiti specifici che verranno analizzati nei successivi paragrafi, occorre chiedersi se, con gli opportuni adattamenti, sia tuttora valido il principio secondo cui nel procedimento cautelare la domanda riconvenzionale, attenendo al merito della causa, debba essere proposta nella prima udienza della fase del procedimento, destinata alla decisione di merito, successiva alla conclusione della fase cautelare (Cass. civ., sez. II, 5 ottobre 1971, n. 2725).

L'adesione a questa impostazione comporterebbe la possibilità di proporre la domanda riconvenzionale solo nel corso del successivo, eventuale, giudizio di merito anche nel caso di provvedimenti a strumentalità attenuata.

Si lascia, però, preferire l'opposta tesi.

Invero, nel silenzio della legge, non pare riscontrabile un generale divieto di formulare domande di carattere riconvenzionale nel procedimento cautelare. L'inammissibilità dell'esercizio dell'azione cautelare in reconventionem può, però, esser ravvisata in concreto ove il giudice, secondo il principio generale scolpito dalla giurisprudenza di legittimità per il giudizio ordinario, non ravvisi fra le due domande il collegamento oggettivo - non necessariamente fondato su di un titolo dipendente da quello fatto valere dal ricorrente come richiesto ad altri fini dall'art. 36 c.p.c. - necessario e sufficiente a giustificare il simultaneus processus cautelare (così Trib. Milano, 2 ottobre 2017, su Giurisprudenza delle imprese, il quale ha ritenuto ammissibile la domanda riconvenzionale consistente in un'istanza di revoca dell'amministratore uguale e contraria a quella proposta in via principale, in quanto essa veniva proposta, come quella del ricorrente, dopo anni di tese e crescenti divergenze pressoché totali fra le parti e sul fondamento, anch'essa, di condotte gestorie dell'altro amministratore asseritamente illecite e dannose per gli interessi della società).

In ogni caso, è a darsi atto della esistenza di tre orientamenti in ordine all'ammissibilità della proposizione di una domanda riconvenzionale cautelare (ossia se possa essere formulata nella memoria difensiva).

Un orientamento la ritiene ammissibile, purché connessa, ex art. 36 c.p.c., all'oggetto del ricorso principale (Cass. civ., n. 6103/1994, cit., ha escluso che la stessa confligga con i principi di snellezza e sollecitudine che devono comunque ispirare la procedura cautelare. Nella giurisprudenza di merito: Trib. Bergamo, ord., 18 luglio 2002, in Arch. Loc. 2002 751; Trib. Casale Monferrato, ord., 11 novembre 1996, in Dir. ind., 1997, 259, e in Foro it., Rep. 1997, sub v. Procedimenti cautelari, n. 59; Trib. Milano, ord., 9 luglio 1993, in Foro it., 1993, I, 2946) e sempre che, ovviamente, ricorrano i presupposti del fumus boni iuris e del periculum in mora. Secondo Trib. Napoli, 8 novembre 1996 (in Dir. Industr. 1997, 193, con nota di Bellomunno), non contrasta con il vigente assetto processual-civilistico l'invocabilità di un accertamento negativo in via cautelare, la cui domanda andrebbe necessariamente proposta al giudice competente a conoscere la domanda del merito.

L'orientamento favorevole è ben rappresentato anche in dottrina (cfr. V. Mandrioli, 214, nota 21; G. Olivieri). La tesi dell'ammissibilità, secondo i suoi sostenitori, oltre a trovare conferma nell'assenza di una previsione contraria, eviterebbe al resistente l'onere della proposizione di un nuovo ricorso, meglio armonizzandosi con il principio di economia processuale.

Secondo un altro indirizzo (intermedio), è parimenti ammissibile, purché non osti alla snellezza e celerità che devono comunque ispirare la procedura cautelare. A favore di un'ammissibilità condizionata si è dichiarata una parte della giurisprudenza di merito (Trib. Firenze, 23 luglio 2001, in Foro Toscano 2001, con nota di Zanelli-Quarantini; Pret. Salerno, ord., 18 febbraio 1991, in Giur. It. 1993 I, 2, 182).

Alla stregua di un ulteriore orientamento, è inammissibile, perché incompatibile con l'urgenza e la sommarietà del rito, anche in considerazione del fatto che potrebbe essere riproposta nel giudizio di merito. Inoltre, la sua proponibilità costringerebbe il giudice – nel caso in cui il resistente si costituisca direttamente in udienza – a differire l'udienza medesima per consentire alla controparte di replicare (cfr. A. Celeste, 175 ss.; in giurisprudenza Trib. Firenze, ord., 25 marzo 2002, in Foro Toscano 2002, 318 con nota di Cirilli].

Occorre tener presente che in alcuni casi anche il ricorrente può proporre determinate domande solo nell'eventuale successivo giudizio di merito. Si pensi alla domanda volta ad ottenere il risarcimento dei danni asseritamente subiti in conseguenza di un atto di spoglio o di un'opera nuova realizzata dal vicino (a tal riguardo si segnala Trib. Bologna, 12 giugno 1996, in Giur. It. 1996, I, 2, 802, secondo cui la sentenza che rigetta la domanda di sequestro, già autorizzato ed eseguito in via cautelare, può assumere fondata in re ipsa la domanda riconvenzionale di risarcimento del danno e stabilirne la liquidazione su basi equitative). Ciò alla luce del principio secondo cui il soggetto leso che invochi la tutela possessoria, ove intenda ottenere la condanna dell'autore dello spoglio o della turbativa anche al risarcimento dei danni, deve necessariamente richiedere al giudice, nel termine previsto dall'art. 703 quarto comma c.p.c., la fissazione dell'udienza per la prosecuzione del giudizio di merito, ovvero proporre un autonomo giudizio, in quanto le questioni inerenti le pretese risarcitorie possono essere esaminate solo nel giudizio di cognizione piena; ne consegue che, qualora il giudice adito con azione possessoria, esaurita la fase a cognizione sommaria, non si limiti a pronunciare sulla domanda di reintegrazione o di manutenzione, ma, travalicando i limiti del contenuto del provvedimento interdittale, decida altresì sulla domanda accessoria di risarcimento danni, il provvedimento adottato, anche se emesso nella forma dell'ordinanza, va qualificato come sentenza e, come tale, è impugnabile con appello (Cass. civ., sez. II, 30 settembre 2014, n. 20635).

Quanto alla tempistica, si condivide l'impostazione prevalente secondo cui la proposizione di una domanda riconvenzionale nel corso del procedimento cautelare non richiede la costituzione del resistente almeno venti giorni prima dell'udienza di comparizione delle parti, essendo la stessa formulabile (al pari dei mezzi istruttori) anche alla detta udienza. Non manca, peraltro, chi ritiene che la stessa debba essere avanzata nel primo atto difensivo della parte resistente (in tal senso, v. Pret. Verona, 29 maggio 1987, in Giur. merito, 1988, 512. Cfr. altresì: Pret. Salerno, 18 febbraio 1991, in Giur. it., 1993, I, 2, c. 182, con nota di M. Chiarolla, “Edicolanti” e “distributori” di giornali (sciopero e parasubordinazione); Trib. Napoli, 5 luglio 2002, in Dir. ind., 2003, 131, con annotazione di C. Bellomunno. Contra, Trib. Firenze, 25 marzo 2002, in Foro tosc., 2002, 318, con annotazione di C. Cirilli). Trib. Casale Monferrato, ord., 11 novembre 1996, cit., la ritiene ammissibile «anche se compiuta in forma orale in udienza».

E' opportuno, da ultimo, precisare che la Corte d'appello deve disporre, anche d'ufficio, le restituzioni ex art. 669-nonies c.p.c. ove non abbia provveduto il tribunale all'esito dell'accertamento nel merito dell'insussistenza del diritto oggetto di cautela, dovendosi escludere che l'eventuale istanza proposta dalla parte abbia natura di domanda riconvenzionale ovvero che sia configurabile un giudicato sull'irripetibilità in caso di omessa pronuncia del primo giudice, tanto più che l' art. 669-nonies terzo comma c.p.c. - ultimo periodo - dispone che, in tale evenienza, è ammissibile il ricorso al giudice che ha emesso il provvedimento perché provveda ad adottare le relative misure (Cass. civ., 4 settembre 2014, n. 18676).

La denuncia di nuova opera e di danno temuto

Non è più del tutto attuale, alla luce di quanto rappresentato nel primo paragrafo, il principio secondo cui, in tema di denuncia di nuova opera, il procedimento nunciatorio a cognizione sommaria ed il procedimento di merito a cognizione piena, pur essendo distinti, costituirebbero fasi di un unico grado di giudizio, anche quando si svolgano davanti a giudici diversi (così, in passato, Cass. civ., sez. II, 9 dicembre 1999, n. 13746).

Il procedimento di nunciazione, nel regime antecedente all'istituzione del giudice unico di primo grado, era, infatti, caratterizzato da due (necessarie) fasi distinte, l'una cautelare e l'altra di merito, del medesimo giudizio, sicché nella seconda di esse, anche ove si fosse svolta innanzi ad un giudice diverso per ragioni di competenza per valore, non occorreva una nuova domanda, rimanendo sufficiente, valida ed efficacia quella iniziale (Cass. civ, sez. II, 23 febbraio 2017, n. 4686).

Più precisamente, nel procedimento di nunciazione la fase cautelare, finalizzata alle determinazioni provvisorie per la cui concessione era (ed è tuttora) richiesta la ricorrenza delle condizioni poste dall'art. 1171 primo comma c.c., era (ed è tuttora) distinta da quella di merito, destinata a completare l'indagine sul fondamento della tutela, petitoria o possessoria, domandata dal ricorrente; entrambe, tuttavia, costituivano fasi di un unico grado del medesimo giudizio, anche quando, prima della novella sul giudice unico di primo grado, la seconda dovesse svolgersi innanzi ad un giudice diverso, trattandosi di giudizio petitorio, per ragioni di competenza per valore (Cass. civ, sez. II, 15 ottobre 2001, n. 12511).

Si riteneva tuttavia che, nel procedimento di denuncia di nuova opera, la possibilità che il denunciante precisasse la domanda (principale) di merito in un momento, e perciò in un atto, successivo a quello nunciatorio, comportasse che la fase cautelare e quella di merito, pur distinte sul piano logico-giuridico, fossero separate anche cronologicamente, con la conseguenza che, ai fini della tempestività della proposizione della riconvenzionale, occorreva far riferimento al tempo della successiva precisazione della domanda di merito (Cass. civ., sez. II, 12 maggio 1980, n. 3129; v. Cass. civ., nn. 3689/77, 3965/74, 1471/73).

E' pur vero che la reciproca autonomia della fase interdittale e di quella di merito, che non negava la strutturale unitarietà del procedimento, veniva valorizzata al solo fine di dimostrare che i presupposti richiesti per l'ammissibilità dell'azione di denuncia di nuova opera o di danno temuto condizionavano soltanto la possibilità di ottenere i provvedimenti cautelari, sicché la domanda di merito restava del tutto svincolata da detti presupposti.

Si lascia preferire la tesi secondo cui, nella vigenza dell'attuale normativa, da un lato, è possibile proporre una domanda riconvenzionale attinente al possesso già nella fase cautelare; dall'altro lato, la mancata proposizione della stessa in quella fase non preclude la possibilità di formularla per la prima volta nel corso del successivo (eventuale) giudizio di merito. Così come deve tuttora ritenersi che il convenuto, il quale nella fase sommaria abbia già proposto una domanda riconvenzionale, non abbia l'onere di riproporla nel successivo eventuale giudizio di merito, dovendosi ritenere ritualmente e validamente proposta, anche per tale giudizio, quella proposta nel procedimento cautelare.

E' discutibile se, invece, sia proponibile nella fase interdittale anche una domanda riconvenzionale di natura petitoria. In passato si riteneva che, nei procedimenti di denuncia di nuova opera o di danno temuto - premesso che la precisazione della natura possessoria o petitoria della domanda non doveva essere necessariamente contenuta nel ricorso introduttivo e poteva essere effettuata anche in sede di comparizione davanti al pretore, dopo l'adozione dei provvedimenti interdittali - a fronte della specificazione dell'istanza in termini di azione possessoria, la causa restasse inderogabilmente devoluta alla cognizione del pretore, per ragioni di materia, indipendentemente dall'eventuale introduzione di domande riconvenzionali di natura petitoria (che, ove eccedenti i limiti di valore del pretore, dovevano essere, semmai, separate e rimesse al giudice competente; in questi termini Cass. civ., sez. II, 7 ottobre 1986, n. 5909; v. altresì Cass. civ., n. 4076/83).

Su questa stessa falsariga, in materia possessoria si riteneva che, sussistendo la competenza esclusiva per materia del pretore, qualunque fosse il valore della causa sia per la fase cautelare urgente (nella quale il pretore dà con decreto inaudita altera parte o con ordinanza, alla presenza delle parti e dopo l'espletamento di indagine tra cui la ispezione dei luoghi, i provvedimenti immediati), sia nella fase di merito (che, o seguiva alla prima per la conferma o la revoca dei provvedimenti immediati, o si instaurava direttamente se il pretore non avesse ravvisato la necessità o la opportunità di concedere provvedimenti immediati e di frazionare il procedimento in due fasi), qualora fosse stata proposta domanda riconvenzionale che per valore avesse ecceduto la competenza del pretore e fosse rientrata nella competenza del tribunale, dovesse ritenersi rigidamente preclusa l'attrazione di un titolo di competenza nell'altro e le domande dovessero rimanere di competenza di ciascuno dei due giudici (Cass. civ., sez. II,11 dicembre 1963, n. 3138; v. altresì Cass. civ., n. 563/49).

Sia pure di riflesso, può incidere sull'ammissibilità anche la competenza del giudice adìto.

Invero, se la causa di merito non è pendente, competente per la fase cautelare è, ai sensi degli artt. 688 comma 1 e 21 c.p.c., il giudice del luogo in cui la nuova opera è iniziata o si teme che stia per verificarsi il danno temuto, mentre il giudizio di merito andrà proposto davanti al giudice competente secondo gli ordinari criteri di materia, valore e territorio.

Orbene, qualora il ricorrente provveda ad instaurare il giudizio avanti al giudice competente per lo svolgimento del giudizio di merito, il convenuto che abbia proposto domanda riconvenzionale nella fase interdittale non ha l'onere di riproporla in tal sede, dovendosi ritenere la stessa ritualmente e validamente proposta anche per il successivo giudizio (così Cass. civ., 9 dicembre 1999, n. 13746). In passato si sosteneva che, poiché nel procedimento di nunciazione la fase cautelare era distinta da quella di merito, destinata a completare l'indagine sul fondamento della tutela, petitoria o possessoria, domandata dal ricorrente, nella seconda fase le parti non incontrassero alcuna preclusione in ordine ai requisiti per la proponibilità dell'azione di nunciazione, come la mancata ultimazione dell'opera o il mancato decorso di un anno dall'inizio dei lavori. Ne conseguiva che nella fase di merito potevano proporsi anche domande nuove o riferentesi a fatti anteriori a quelli che avevano dato luogo all'azione di enunciazione (Cass. civ., sez. III, 25 agosto 1997, n. 7976).

Ovviamente, nel caso in cui venga poi instaurato il giudizio di merito, l'enunciazione della riserva di proporre una domanda riconvenzionale, formulata dal convenuto nel procedimento di nuova opera, non esonera tale parte dall'onere di proporre quella domanda con la comparsa di risposta, in sede di prima difesa avverso la domanda di merito precisata dal ricorrente al termine della fase interdittale (Cass. civ., sez. II, 10 ottobre 1977, n. 3689; v. Cass. civ., n. 1186/75).

I provvedimenti di urgenza

Diverso approccio sembra doverci essere per i procedimenti in via d'urgenza.

Il procedimento speciale previsto dagli artt. 700 e ss. c.p.c. è strumentalmente finalizzato ad assicurare, mediante i provvedimenti immediati ed urgenti, gli effetti della futura decisione di merito, cosicché, solo una volta pronunciati detti provvedimenti - conclusa la fase a cognizione sommaria ed eventualmente instaurato il giudizio di merito (del tutto svincolato dalle condizioni cui era soggetta la prima e caratterizzato da un proprio petitum e da una propria causa petendi) - possono essere proposte tutte le possibili domande, anche riconvenzionali, attinenti al merito, pur se dirette a far valere un diritto diverso da quello cui si riferivano le domande formulate nel procedimento cautelare (cfr., sia pure con riferimento ad un procedimento ante d.l. n. 35 del 2005, conv. in l. n. 80 del 2005, Cass. civ., sez. II, 7 gennaio 1992, n. 49).

D'altra parte, in un procedimento ex art. 700 c.p.c., se realmente le contro-pretese fossero connotate da urgenza e imminenza del periculum, il resistente non attenderebbe verosimilmente l'iniziativa giudiziale dell'avversario per proporle. In quest'ottica, Trib. Potenza, sez. lav., ord., 30 maggio 2010 (in Il merito – Ilsole24ore), ritiene che sia inammissibile una domanda riconvenzionale cautelare, per il difetto dei presupposti che fondano il ricorso in via d'urgenza, atteso che chi ha urgenza agisce, non reagisce all'altrui iniziativa giudiziale. A voler aderire a questa impostazione, qualora dall'esame del concreto comportamento dei soggetti del giudizio emergesse che il resistente, pur avendo la possibilità di «anticipare» il ricorso della controparte, tuttavia, non lo avesse fatto, ne risulterebbe svelata l'insussistenza delle ragioni di urgenza poste a base della domanda cautelare in riconvenzionale (sempre che detta urgenza non fosse stata generata da un mutamento recente ed improvviso della situazione di fatto che non avesse consentito tale «anticipo»).

Deve darsi atto, peraltro, di un precedente di segno contrario della Suprema Corte (Cass. civ., sez. I, 24 giugno 1994, n. 6103), a mente del quale «Il giudice del luogo in cui sono stati commessi atti di turbativa delle trasmissioni di una stazione radiotelevisiva su un determinato canale, adito ai sensi dell' art. 700 c.p.c., può conoscere anche della domanda riconvenzionale di disattivazione in via di urgenza dell'impianto del ricorrente, ancorché per questa sia prevista la competenza territoriale inderogabile del domicilio del convenuto, atteso il collegamento obbiettivo tra le due domande riguardo allo sfruttamento del medesimo canale, non comportando l'inderogabilità territoriale, che ha la funzione di eliminare ogni potere di scelta delle parti, l'esclusione di eccezioni poste dalla stessa legge, quando motivi di connessione fra più domande le rendano opportune, quale è quella prevista dall'art. 36 c.p.c., secondo cui il foro della domanda principale attrae quello della riconvenzionale, con esclusione delle cause che rientrano nella competenza «per materia e per valore» - ma non anche di quella territoriale inderogabile - di altro giudice».

Occorre altresì tener presente che il giudizio di merito può essere instaurato, pur nell'inerzia della parte che abbia chiesto il provvedimento, su istanza dell'altra o delle altre parti, le quali possono avere interesse a fare accertare l'inesistenza del diritto vantato dall'istante o fare valere un loro contro-diritto (Cass. civ., sez. III, 23 maggio 1980, n. 3405; conf. Cass. civ., sez. II, 30 gennaio 1995, n. 1089; v. altresì Cass. civ., nn. 2986/77, 505/72, 3059/69, 3796/68).

E poichè la costituzione del convenuto nel procedimento davanti al tribunale si effettua, tra l'altro, con il deposito della comparsa di risposta che, oltre ad essere requisito di forma costituiva, segna il momento iniziale dell'esercizio del diritto di contraddire in giudizio, va riconosciuta la ritualità e la tempestività della domanda riconvenzionale (ad esempio, di risarcimento del danno) proposta dal convenuto nella comparsa di costituzione davanti al tribunale nel procedimento instaurato dopo la emanazione dei provvedimenti d'urgenza (Cass. civ., sez. II, 22 novembre 1968, n. 3796).

Tuttavia, il provvedimento reso in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c., avendo natura strumentale, provvisoria e non definitiva (per quanto non sia più destinato ad essere sostituito dalla decisione di merito, ovvero a decadere per effetto di essa o della mancata instaurazione del relativo giudizio), non è autonomamente impugnabile, neppure con ricorso per cassazione ex art. 111 Cost.; al contrario, qualora il giudice adito, ante causam o in corso di causa, con richiesta di provvedimento d'urgenza ai sensi dell'art. 700 c.p.c., unifichi la fase cautelare e il giudizio di merito emanando, in luogo del provvedimento d'urgenza, un vero e proprio provvedimento definitivo di merito, questo, stante il suo carattere decisorio, ha natura sostanziale di sentenza ed è, pertanto, impugnabile mediante l'ordinario atto di appello (Cass. civ., sez. lav., 21 novembre 2001, n. 14669; Cass. civ., sez. III, 10 agosto 2016, n. 16894). In siffatta peculiare evenienza è opinabile se sia proponibile, in sede di Appello, una domanda riconvenzionale resasi necessaria in conseguenza del provvedimento adottato dal giudice di prime cure. Ciò alla luce del principio, enunciato in tema di procedimento possessorio, secondo cui, ove il giudice adito con ricorso ex art. 703 c.p.c. concluda il procedimento con ordinanza, provvedendo sulle spese, senza fissare l'udienza di prosecuzione del giudizio di merito, il convenuto può espletare in appello le attività difensive che avrebbero dovuto trovare naturale collocazione nella fase del c.d. merito possessorio, qualora questa avesse avuto effettivo svolgimento (Cass. civ., sez. II, 21 aprile 2016, n. 8101).

Conclusioni

Con l'eccezione rappresentata dai provvedimenti d'urgenza, si è visto che, per gli altri procedimenti cautelari, si lascia preferire la tesi più aperta che consente l'ingresso alla reazione in riconvenzione al resistente.

Non pare, infatti, che la struttura del processo cautelare, per quanto sia improntata alla celerità e ad una valutazione sommaria del diritto cautelando (procedimento c.d. sommario-essenziale), possa di per sé condurre a negare l'ammissibilità di una domanda cautelare riconvenzionale.

D'altra parte, non si può a priori escludere che il processo cautelare possa reggersi su una cognizione quasi identica a quella cognitiva ordinaria.

Senza tralasciare che, se si aderisse alla visione rigorosa, si dovrebbe escludere l'ammissibilità non solo di una domanda riconvenzionale, ma anche di eccezioni di merito fondate su fatti estintivi, impeditivi e/o modificativi della situazione soggettiva cautelanda (sebbene finalizzate solo a paralizzare le avverse pretese). Anche se potrebbe anche sostenersi che la domanda riconvenzionale, di per sé inammissibile, potrebbe essere presa in considerazione nei limiti di una eccezione riconvenzionale.

Ciò detto, si tende ad aderire all'indirizzo per il quale è ammissibile, però, solo quella domanda riconvenzionale che sia, ai sensi dell'art. 36 c.p.c., connessa tecnicamente a quella originaria, nel senso che si ponga in un rapporto di incompatibilità con la stessa. Invero, in siffatta evenienza, essendo la domanda fondata sugli stessi elementi di fatto e sulle medesime ragioni giuridiche, non si appesantirebbe particolarmente la cognizione e l'istruttoria cautelare.

In definitiva, il resistente, nell'atto di costituzione in giudizio, può tendenzialmente proporre domanda cautelare riconvenzionale, che deve essere correlata-connessa all'oggetto del ricorso principale e compatibile con lo stesso, perché solo in tal caso non configgerebbe con i principi di snellezza e sollecitudine che devono comunque ispirare la procedura cautelare.

Riferimenti
  • Celeste, Il nuovo procedimento cautelare civile,Milano, Milano, 2010, 219;
  • V. Mandrioli, Diritto processuale civile, IV, 16 ed., Torino 2004, 214, nota 21;
  • G. Olivieri, Profili critici del procedimento cautelare uniforme, relazione tenuta a Milano, al convegno del CSM del 16 maggio 2005.