Il concorso omissivo dei sindaci nel reato di bancarotta semplice impropria

Enrico Corucci
18 Dicembre 2020

In tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono di concorso nel reato di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4), e 224, comma 1, n. 1) l. fall. per avere omesso con colpa grave di attivarsi per porre rimedio all'inerzia dell'amministratore che non abbia chiesto il fallimento in proprio della società...
Massima

In tema di bancarotta semplice, i sindaci di una società dichiarata fallita rispondono di concorso nel reato di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4), e 224, comma 1, n. 1) l. fall. per avere omesso con colpa grave di attivarsi per porre rimedio all'inerzia dell'amministratore che non abbia chiesto il fallimento in proprio della società, così aggravandone il dissesto, solo ove fossero stati in condizione di conoscere la reale situazione della società anche in ragione dell'emersione di segnali di allarme loro percepibili tali da significare l'esistenza dello stato di insolvenza, dovendo poi il giudice di merito verificare, mediante un giudizio controfattuale, se, qualora fossero state poste in essere le attività di impulso e controllo omesse, sarebbe stato evitato l'aggravamento del dissesto.

Il caso

La vicenda giudiziaria sottoposta all'attenzione della Suprema Corte origina dai ricorsi presentati dagli imputati avverso una sentenza della Corte di Appello di Venezia che aveva confermata la loro condanna, quali sindaci di tre società dichiarate fallite appartenenti ad un medesimo gruppo, per avere concorso nel reato di bancarotta semplice impropria ex artt. 217, comma 1, n. 4) e 224, comma 1, n. 1) l. fall. con gli amministratori, i quali, astenendosi dal richiederne il fallimento, ne avevano aggravato il dissesto. La responsabilità dei sindaci, più in particolare, avrebbe trovato fondamento nell'avere omesso di convocare l'assemblea dei soci per denunziare le gravi irregolarità commesse e di presentare al Tribunale denuncia ai sensi dell'art. 2409, comma 7 c.c. chiedendo la revoca dell'organo amministrativo e la nomina di un amministratore giudiziario.

Tra le molte censure mosse alla sentenza di appello merita ricordare come le difese sottolineassero l'assenza di ogni motivazione circa l'individuazione delle fonti di conoscenza accessibili ai sindaci da cui avrebbero dovuto percepire gli indicatori dell'insolvenza e la ricorrenza dei presupposti per chiedere l'autofallimento -anche in ragione del fatto che in quel momento i debiti tributari erano stati rateizzati, la società continuava a godere del sostegno del sistema bancario e la percentuale di esposizione con il medesimo rientrava in limiti del tutto fisiologici- nonché l'assenza di motivazione circa l'incidenza causale delle ipotizzate omissioni -che peraltro neppure sarebbero state tali in ragione sia della ristrettezza dell'arco temporale, pari a circa dieci mesi, in cui si sarebbero manifestate sia dell'assunzione comunque di alcune iniziative tese a compulsare il consiglio di amministrazione- sull'aggravamento del dissesto.

Le argomentazioni difensive così in estrema sintesi riassunte erano ritenute fondate dalla Corte di Cassazione, la quale annullava con rinvio l'impugnata sentenza.

La questione

Il tema in causa concerne dunque, in ragione dei motivi di ricorso, l'analisi degli elementi costitutivi del reato di bancarotta semplice impropria di cui agli artt. 217, comma 1, n. 4) e 224, comma 1, n. 1) l. fall. e del concorso per omissione da parte dei sindaci, ai sensi dell'art. 40 cpv. c.p., nel medesimo reato.

Le soluzioni giuridiche

La fattispecie tipica del reato di bancarotta semplice impropria disciplinato dagli artt. 217, comma 1, n. 4) e 224 n. 1) l. fall., postula, in primo luogo, l'omissione della presentazione della richiesta del fallimento della propria impresa collettiva in stato di insolvenza cui abbia fatto seguito, eziologicamente, l'aggravamento del dissesto, il quale costituisce evento del reato.

L'elemento soggettivo del reato si individua nella colpa grave, come si evince dalla circostanza che, successivamente alla descrizione della citata condotta tipica costituita della mancata presentazione della richiesta di fallimento, è disciplinata la diversa fattispecie delittuosa costituita dall'aggravamento del dissesto cagionato con altra grave colpa. Quest'ultimo inciso, tuttavia, presenta caratteri di ambiguità potendo significare sia che il legislatore abbia considerato come intrinsecamente grave la colpa di chi abbia omesso di richiedere tempestivamente il proprio fallimento, tale omissione così costituendo presunzione assoluta di colpa grave, sia che quest'ultima debba essere oggetto, pure nell'ipotesi di ritardato fallimento, di specifico accertamento.

La Corte di Cassazione nella pronuncia in commento aderisce ancora una volta alla seconda tesi, che ormai appare consolidata, richiamando e condividendo il principio affermato da altre pronunce di legittimità secondo cui il ritardo nel richiedere il fallimento -nella più ampia difficoltà di estendere il sindacato giurisdizionale alle scelte imprenditoriali nei termini del “cosa” decidere- può seguire anche ad un'opinabile valutazione dell'imprenditore circa l'efficacia dei mezzi ritenuti idonei a procurare nuove risorse, sicché non ogni inerzia può automaticamente qualificarsi, dal punto di vista subiettivo, in termini di colpa grave.

Quanto al concorso nel reato da parte dei sindaci, la Corte coglie l'occasione per riassumere i consolidati principi delineati relativamente all'ambito dei loro poteri e doveri, ricordando come il collegio sindacale sia tipico organo di controllo chiamato a vigilare sull'amministrazione della società, nell'interesse dei soci e dei creditori sociali, con il compito di garantire l'osservanza della legge ed il rispetto dell'atto costitutivo nonché di accertare che la contabilità sia tenuta in modo regolare. L'obbligo di vigilanza non è però limitato al mero controllo contabile, ma deve estendersi anche al contenuto della gestione (ai sensi dell'art. 2403 bis c.c.), cosicché il controllo sindacale, se non investe in forma diretta le scelte imprenditoriali, neppure si risolve in una mera verifica contabile limitata alla documentazione messa a disposizione dagli amministratori, ma comprende anche un minimo di riscontro tra la realtà effettiva e la sua rappresentazione contabile.

Muovendo da tali principi di carattere generale la Corte continua precisando come, nel caso di specie, una volta valutata positivamente la ricorrenza dei presupposti per avanzare la richiesta di fallimento che si assume omessa, l'esistenza di un nesso causale tra l'omissione e l'aggravamento del dissesto ed ancora la sussistenza di profili colposi nella condotta inerte degli amministratori nella estensione della sua massima gravità, la valutazione circa la configurabilità del concorso omissivo dei sindaci -quali titolari dell'obbligo di garanzia di cui all'art. 40 cpv. c.p. nella specifica forma dell'obbligo di impedimento della commissione del reato altrui- postuli l'analisi di ulteriori questioni, invece non adeguatamente affrontate dai giudici di merito, e segnatamente:

a) la verifica se i sindaci, nel periodo di manifestazione degli indici di insolvenza, fossero in condizione di conoscere la reale situazione della società o comunque se fossero emersi segnali di allarme loro percepibili che avrebbero dovuto indurli a comprendere la ricorrenza del più volte citato stato di insolvenza;

b) la verifica di natura controffattuale se, qualora le azioni omesse fossero state poste in essere, l'aggravamento del dissesto quale evento del reato si sarebbe egualmente verificato.

Osservazioni

Le puntuali conclusioni cui è giunta la Suprema Corte appaiono di significativo interesse, delineando una volta di più gli elementi costitutivi della complessa fattispecie del concorso omissivo del collegio sindacale, titolare di un obbligo di garanzia rilevante ai sensi dell'art. 40 cpv.c.p., nei delitti di bancarotta.

In tema, la struttura obiettiva del concorso omissivo improprio postula una inerzia legata eziologicamente al reato altrui, il quale costituisce l'evento che si ha obbligo di impedire; in proposito il riferimento è alla causalità c.d. “ipotetica”, dovendo verificarsi se, supponendo mentalmente realizzata l'azione doverosa omessa, l'evento lesivo sarebbe venuto meno con criterio di certezza o comunque di probabilità logica, per cui si comprende come la risposta positiva alla verifica controfattuale impostata nei termini di cui al punto b) del precedente paragrafo, che condurrebbe alla inutilità del comportamento alternativo corretto, escluderebbe il reato. E' nota in argomento la difficoltà di valutare quali iniziative possano essere concretamente assunte dall'organo di controllo al fine di evitare la verificazione dell'evento, ed esse si identificano nel complesso dei poteri, certamente significativi, previsti dagli artt. 2403, 2403 bis, 2405, 2406 e 2409 c.c., ancorché la valutazione circa la loro effettiva capacità impeditiva non può che assumere rilievo casistico.

La tipicità della condotta omissiva del sindaco presuppone poi la conoscenza da parte di questi dei tratti essenziali e significativi del reato che si ha obbligo di impedire, i quali debbono essere sufficientemente determinati e che nel caso di specie sono costituiti, per l'appunto quali presupposti dell'agire che si assume omesso anche a seguito della emersione di segnali di allarme, dall'esistenza di indicatori dello stato di insolvenza e dei presupposti per avanzare domanda di autofallimento. Codesto riferimento effettuato dalla Suprema Corte ai “segnali di allarme” (o anche c.d. red flags) rinvia all'omonima teoria secondo cui essi sono costituiti da segnali d'allerta cui, ove conosciuti e nel loro complesso, possa attribuirsi, con accertamento casistico, una capacità rappresentativa del reale altrimenti ignoto, ed è chiaro che le sottese valutazioni mutano in relazione all'elemento soggettivo richiesto per la punibilità del fatto. L'appena citata teoria assume infatti particolare rilievo ove il concorso per omissione concerna un reato punibile soltanto a titolo di dolo, sicché la conoscenza, da qualsiasi fonte tratta, di una pluralità di elementi indicativi la sussistenza di un reato può giungere a significare, a carico del sindaco inerte, l'“accettazione del rischio” dell'evento, ovvero della effettiva verificazione di quel reato, nei termini del dolo eventuale.

L'elemento soggettivo del reato di bancarotta semplice disciplinato dagli artt. 217, comma 1, n. 4) e 224 n. 1) l. fall. è invece costituito dalla colpa grave, ancorché la Corte non abbia esteso in proposito alcuna particolare valutazione in specifico riferimento alla posizione del sindaco, sia pure scrivendo come, nel caso di specie, avrebbe dovuto essere accertato oltre ogni ragionevole dubbio che i sindaci avessero agito con approccio gravemente imprudente e non soltanto votato alla prospettiva di un superamento della crisi mediate attività di stimolo rivolte al consiglio di amministrazione.

Anche l'inerzia del collegio sindacale dunque deve essere gravemente colposa, il relativo giudizio dovendo pure comprendere, per tornare ai segnali di allarme ed allorché essi non siano giunti a conoscenza dell'organo di controllo, se tale ignoranza sia derivata a propria volta da grave colpa.