Il coobbligato può impugnare la cartella esattoriale per i debiti della società?

18 Dicembre 2020

In tema di riscossione esattoriale, il coobbligato può impugnare la cartella per i debiti tributari della società eccependo la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale.

Nella sentenza n. 28709/2020 le Sezioni Unite della Corte di Cassazione hanno enunciato il seguente principio di diritto: «In tema di riscossione ed esecuzione a mezzo ruolo di tributi il cui presupposto impositivo sia stato realizzato dalla società e la cui debenza risulti da un avviso di accertamento notificato alla società e da questa non impugnato, il socio può impugnare la cartella notificatagli eccependo (tra l'altro) la violazione del beneficio di preventiva escussione del patrimonio sociale. In tal caso, se si tratta di società semplice (o irregolare) incombe sul socio l'onere di provare che il creditore possa soddisfarsi in tutto o in parte sul patrimonio sociale; se si tratta, invece, di società in nome collettivo, in accomandita semplice o per azioni, è l'amministrazione creditrice a dover provare l'insufficienza totale o parziale del patrimonio sociale (a meno che non risulti aliunde dimostrata in modo certo l'insufficienza del patrimonio sociale per la realizzazione anche parziale del credito, come, ad esempio, in caso in cui la società sia cancellata). Ne consegue che, se l'amministrazione prova la totale incapienza patrimoniale, il ricorso andrà respinto; se, invece, il coobbligato beneficiato prova la sufficienza del patrimonio, il ricorso andrà accolto. Se la prova della capienza è parziale, il ricorso sarà accolto negli stessi limiti. Se nessuna prova si riesce a dare, l'applicazione della regola suppletiva dell'art. 2697 c.c. comporterà che il ricorso sarà accolto o respinto, a seconda che l'onere della prova gravi sul creditore, oppure sul coobbligato sussidiario».

Nel caso sub iudice, l'ex socio di una s.n.c. impugna la cartella di pagamento notificatagli per Irap e Iva accertati nei confronti alla società per il periodo di imposta 2000.

Confermando la pronuncia di prime cure, la Commissione Tributaria Regionale rigetta il ricorso del contribuente rilevando che l'avviso di accertamento, legittimamente notificato presso la sede della società nelle mani del suo legale rappresentante, non è stato impugnato e sostenendo che il beneficium excussionis può essere invocato soltanto nella fase esecutiva successiva all'emissione della cartella di pagamento.


Dando applicazione al principio di diritto supra enunciato, il Collegio rigetta il ricorso del contribuente.


Quanto all'IRAP, il Collegio rileva che l'imputazione di tale tributo per trasparenza direttamente in capo ai soci esclude l'alterità rispetto alla società, elemento che è invece richiesto ai fini del beneficium excussionis.

I termini della questione interpretativa. Quanto all'IVA, il Collegio osserva preliminarmente che la questione dell'impugnabilità della cartella di pagamento, notificata al socio illimitatamente responsabile in relazione a debiti della società, a causa della mancata preventiva escussione del patrimonio sociale concerne l'art. 2304 c.c. (applicabile non soltanto alle società in nome collettivo, ma anche alle società in accomandita semplice e per azioni ex artt. 2315 e 2461 c.c.), l'art. 2268 c.c. (applicabile non soltanto alle società semplici, ma anche alle società irregolari ex artt. 2297 e 2317 c.c.), nonché l'art. 14, comma 1, D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472 per il cessionario d'azienda o di un suo ramo e l'art. 16, comma 1, lett. g), D.lgs. 24 settembre 2015, n. 158 per il conferitario (cfr. per il regime anteriore Cass., sez. trib., 31 ottobre 2019, n. 28057, in CED Cass., Rv. 655811).


Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione declinano la questione esegetica da dipanare come concernente l'ambito di cognizione del giudice deputato a decidere sull'impugnazione della cartella di pagamento ricevuta dall'obbligato in via sussidiaria in relazione a un debito dell'obbligato principale che scaturisce da un avviso di accertamento non impugnato con identificazione della portata soggettiva del titolo esecutivo nella riscossione e nell'esecuzione a mezzo ruolo di imposte in relazione ai coobbligati in via sussidiaria, nonché con la individuazione dei margini entro i quali costoro possono esercitare il proprio diritto di difesa.

L'estensione soggettiva del titolo esecutivo in relazione ai coobbligati in via sussidiaria. Il Collegio osserva che, nei confronti dell'ente creditore, il socio illimitatamente responsabile è obbligato in via sussidiaria per i debiti sociali al pari della stessa società, anche se sia receduto, in ex art. 2290 c.c. a titolo di responsabilità “da posizione”, vale a dire derivante dalla qualità di socio e concernente indistintamente e automaticamente tutti i debiti della società, essendo quella del socio una obbligazione propria in quanto scaturente dalla legge. Analoghe considerazioni valgono per il cessionario e il conferitario di azienda. Ne consegue che «l'esistenza dell'obbligo della società o del cedente […] è costitutiva dell'obbligo del socio illimitatamente responsabile o di quello del cessionario/conferitario; e quest'obbligo, sebbene diverso per causa, concerne il medesimo oggetto, ossia il debito d'imposta».


Ne deriva inoltre che «l'ente creditore notifica soltanto alla società o soltanto al cedente l'avviso di accertamento, senza necessità di simultaneus processus con i soci o col cessionario/conferitario» e che «è […] sufficiente notificare i soci illimitatamente responsabili e al cessionario/conferitario d'azienda o di un ramo di essa la cartella di pagamento o anche soltanto […] l'intimazione di pagamento […], atti giuridicamente dipendenti dal ruolo già formatosi nei confronti del soggetto passivo d'imposta»: ciò trova conferma nell'art. 25, comma 1, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602, ai sensi del quale «il concessionario notifica la cartella di pagamento al debitore iscritto a ruolo o al coobbligato nei confronti dei quali procede, a pena di decadenza», nei termini ivi previsti.

Quali contestazioni può proporre il socio quale coobbligato in via sussidiaria?


Il socio può lamentare:

  • l'inesistenza originaria o sopravvenuta del titolo formatosi nei confronti della società;
  • l'inesistenza originaria o sopravvenuta della pretesa tributaria per inesistenza dei fatti costitutivi o per esistenza di fatti impeditivi, modificativi o estintivi;
  • l'insussistenza del fondamento della propria responsabilità, ossia la propria qualità di socio, allegando il recesso dalla compagine sociale in epoca antecedente al sorgere del debito d'imposta, la qualità di semplice accomandante di una s.a.s., l'esistenza di un patto limitativo della responsabilità opponibile al terzo ex artt. 2267, comma 2, c.c., ecc.;
  • l'improcedibilità dell'azione esecutiva nei propri confronti in forza del beneficium excussionis;
  • l'insussistenza dell'obbligo tributario del cedente;
  • l'inesistenza del titolo formatosi nei suoi confronti;
  • la sussistenza del presupposto della propria obbligazione, ossia il contratto di cessione;
  • ecc..

Sussiste la giurisdizione del giudice tributario. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione confermano quindi che «il socio può […] impugnare la cartella proponendo l'intera gamma delle contestazioni che gli spettano. E, per farlo, si deve rivolgere al giudice tributario», la cui giurisdizione è determinata dalla natura del credito azionato e si radica indipendentemente dal contenuto della domanda.


È interessante il passaggio motivazionale in cui il Collegio ribadisce che, «sebbene […] l'articolo 19 del D.lgs. n. 546 /1992 si limiti a individuare gli atti di cui possono conoscere le commissioni tributarie, senza precisare quale possa essere l'oggetto del giudizio, deriva chiaramente dal sistema che anche in materia tributaria si possono svolgere contestazioni a tutto tondo: chi ricorre contro atti relativi a crediti tributari è quindi ammesso a denunciarne l'irregolarità formale, introducendo contenuti analoghi a quelli che, nel sistema del codice di rito, rientrano nel perimetro dell'opposizione agli atti esecutivi […], ma egli è anche ammesso, qualora non si siano formate preclusioni, a contestare il diritto del creditore di procedere esecutivamente, introducendo contenuti analoghi a quelli che, nel sistema del codice di rito, appartengono all'opposizione all'esecuzione. Laddove restano esclusi dalla giurisdizione tributaria gli atti dell'esecuzione tributaria successivi alla notificazione, effettivamente e validamente eseguita, della cartella o dell'intimazione di pagamento». Dinanzi al giudice tributario, inoltre, la tutela cautelare può essere ottenuta ex art. 47, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 in maniera corrispondente al procedimento di opposizione all'esecuzione.


Tale assetto trova inoltre conferma in caso di impugnazione dell'accertamento esecutivo, con il quale in un solo atto sono accorpate le funzioni di atto impositivo, titolo esecutivo e precetto: «eliminata l'iscrizione a ruolo, non v'è più necessità di notificare la cartella di pagamento. Sicché il coobbligato deve ricevere la notificazione dell'accertamento esecutivo, e non può che impugnarlo dinanzi al giudice tributario».

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