Il voto dell'Agenzia sfavorevole nell'adunanza dei creditori non è impugnabile

Saverio Capolupo
18 Dicembre 2020

Nonostante la giurisprudenza abbia ampliato il perimetro degli atti censurabili dinanzi al giudice tributario, si ritiene che il voto espresso dai funzionari dell'Agenzia delle entrate nella seduta dei creditori non risponda ad alcuno dei presupposti richiesti. Invero, una diversa interpretazione porterebbe, innanzitutto, a determinare una discriminazione della valenza giuridica dei voti espressi dai creditori accordando una posizione di privilegio all'Amministrazione che il quadro giuridico di riferimento non prevede e non consente.Il voto, invero, non è funzionalmente diretto a definire l'entità della pretesa, corrispondente alla capacità contributiva collegata al presupposto di fatto del tributo, ma costituisce espressione di valutazioni tecnico-discrezionali dell'Amministrazione finanziaria nell'ambito della procedura concordataria.
La non obbligatorietà della transazione fiscale

Nonostante la giurisprudenza abbia ampliato il perimetro degli atti censurabili dinanzi al giudice tributario, si ritiene che il voto espresso dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate nella seduta dei creditori non risponda ad alcuno dei presupposti richiesti.

Invero, una diversa interpretazione porterebbe, innanzitutto, a determinare una discriminazione della valenza giuridica dei voti espressi dai creditori accordando una posizione di privilegio all'Amministrazione che il quadro giuridico di riferimento non prevede e non consente. Il voto, invero, non è funzionalmente diretto a definire l'entità della pretesa, corrispondente alla capacità contributiva collegata al presupposto di fatto del tributo, ma costituisce espressione di valutazioni tecnico-discrezionali dell'Amministrazione finanziaria nell'ambito della procedura concordataria.

Qualora venga presentata una proposta di concordato e conseguente dichiarazione di apertura della procedura, il Commissario Giudiziale deposita una relazione ex art. 172 L. Fall, sulla quale l'Agenzia delle Entrate deve rilasciare il proprio parere anche con riferimento ai crediti privilegiati degradati nell'ambito della procedura di concordato preventivo.

Sotto il profilo procedurale il diniego "è approvato" con atto del Direttore dell'Ufficio e solo successivamente espresso mediante voto contrario in sede di adunanza dei creditori.

Nella giurisprudenza, tuttavia, è pacifico l'orientamento volto ad escludere che, in presenza di debiti di natura tributaria, la transazione fiscale sia obbligatoria, condizioni cioè l'ammissibilità di qualsiasi proposta di concordato preventivo, almeno quando la proposta preveda il pagamento parziale dei crediti privilegiati.

Benché non siano mancate risposte positive al quesito, è del tutto prevalente l'interpretazione che riconosce la facoltatività del ricorso alla transazione fiscale, sulla base del decisivo argomento testuale desumibile dall'incipit dello stesso art. 182-ter L. Fall., che prevede appunto la mera facoltà del debitore di promuovere contestualmente sia la procedura di concordato preventivo sia il sub procedimento per la conclusione della transazione fiscale.

Sicché può ben dirsi che, quando abbia debiti tributari, per il debitore sono disponibili due ipotesi di concordato preventivo: una principale, che prescinde da un previo accordo con il Fisco; l'altra speciale, che include la transazione fiscale. E la scelta tra l'uno e l'altro procedimento dipenderà evidentemente dall'eventuale esigenza imprescindibile di ottenere il voto favorevole dell'Amministrazione finanziaria, in ragione delle dimensioni del suo credito, oltre che di offrire certezza ai creditori tutti circa l'effettiva consistenza del debito tributario e di conseguenza circa le concrete prospettive di attuabilità del piano concordatario.

Una proposta di concordato preventivo potrebbe infatti ottenere il consenso della maggioranza dei creditori anche senza il voto favorevole del Fisco; e le prospettive di attuabilità del piano concordatario potrebbero essere ben chiare anche senza transazione fiscale, quando l'entità del credito tributario risulti incontestata e ben definita.

In ogni caso, ove venga avviata la procedura e la Direzione regionale trasmette il proprio parere non favorevole motivato ex art. 182-ter L.F. si pone il problema della natura di questo provvedimento nonché della individuazione dei mezzi di tutela che è possibile esperire da parte dei soggetti interessati.

Natura della transazione fiscale

Il concordato con transazione fiscale è dunque una speciale figura di concordato preventivo: sia perché viene ovviamente in rilievo solo quando vi siano debiti tributari; sia perché, anche in presenza di debiti tributari, è possibile un concordato preventivo senza transazione fiscale.

Tuttavia, se tra le due fattispecie di concordato preventivo v'è, come è evidente, un rapporto di specialità, non è possibile estendere alla fattispecie generale, del concordato senza transazione fiscale, la disciplina della fattispecie speciale, del concordato con transazione fiscale.

Il rapporto di specialità intercorrente tra la disciplina del concordato semplice e la disciplina del concordato con transazione fiscale comporta che con l'eliminazione della norma speciale i casi da essa regolati rifluirebbero automaticamente nell'ambito di previsione della norma generale, sicché l'ambito di applicazione della norma speciale non può estendersi all'ambito di applicazione della norma generale.

Ove non si intendesse vanificare il riconoscimento della falcidiabilità anche dei crediti privilegiati, introdotta dalla riforma della Legge fallimentare in fase di avanzata approvazione, si finirebbe infatti per attribuire al credito per IVA una sorta di super privilegio, per di più riconosciuto in un contesto del tutto eccentrico rispetto a quello della disciplina dell'ordine dei privilegi.

Gli atti impugnabili

É noto che, ai sensi dell'art. 19, comma 1, primo periodo del D.Lgs 31 dicembre 1992, n. 546, che appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il contributo per il Servizio sanitario nazionale, le sovrimposte e le addizionali, le relative sanzioni nonché gli interessi e ogni altro accessorio.

In merito alla portata della richiamata norma giuridica soccorrono i principi espressi dalla Corte costituzionale, a tenore dei quali una fattispecie deve ritenersi di natura tributaria, indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si riscontrino tre indefettibili requisiti: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese" (Corte Cost. n. 89/2018); deve trattarsi di un "prelievo coattivo che è finalizzato al concorso alle pubbliche spese ed è posto a carico di un soggetto passivo in base ad uno specifico indice di capacità contributiva".

La Corte di cassazione, a sua volta, ha più volte delineato i caratteri identificativi del tributo, e precisamente:

  1. la matrice legislativa della prestazione imposta, in quanto il tributo nasce direttamente in forza della legge, risultando irrilevante l'autonomia contrattuale;
  2. la doverosità della prestazione (che comporta un'ablazione delle somme con attribuzione delle stesse ad un ente pubblico;
  3. la circostanza che i soggetti tenuti al pagamento del contributo non possono sottrarsi a tale obbligo e la legge con ordinanza non dà alcun sostanziale rilievo, genetico o funzionale, alla volontà delle parti;
  4. il nesso con la spesa pubblica, nel senso che la prestazione è destinata allo scopo di apprestare i mezzi per il fabbisogno finanziario dell'ente impositore.

Con specifico riferimento agli atti impugnabili dinanzi alla Commissione Tributaria, occorre verificare se il voto contrario espresso dai funzionari dell'Agenzia delle Entrate in sede di adunanza dei creditori debba essere considerato atto privo di natura provvedimentale, costituendo esso un mero parere, ovvero espressione che integra esercizio di potestà impositiva.

Indubbiamente, per costante giurisprudenza di legittimità in tema di contenzioso tributario, l'elencazione degli atti impugnabili, contenuta nel D.lgs. n. 546 del 1992, art. 19, pur avendo natura tassativa, non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, con i quali l'ufficio porta a conoscenza del contribuente una determinata sua pretesa tributaria, esplicitandone le ragioni fattuali e giuridiche.

L'interpretazione estensiva della norma anzidetta è consentita in applicazione dei principi costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.) e del buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.).

Occorre, tuttavia, che si versi in presenza di un provvedimento con cui l'ufficio porta a conoscenza del contribuente un proprio convincimento riferito ad uno specifico rapporto tributario e suscettibile di lederne gli interessi patrimoniali.

La non impugnabilità del voto

Nonostante la giurisprudenza abbia ampliato il perimetro degli atti censurabili dinanzi al giudice tributario, si ritiene che il voto espresso dai funzionari dell'Agenzia delle entrate nella seduta dei creditori non risponda ad alcuno dei presupposti innanzi richiamati.

Invero, una diversa interpretazione porterebbe, innanzitutto, a determinare una discriminazione della valenza giuridica dei voti espressi dai creditori accordando una posizione di privilegio all'Amministrazione che il quadro giuridico di riferimento non prevede e non consente.

Il voto, invero, non è funzionalmente diretto a definire l'entità della pretesa, corrispondente alla capacità contributiva collegata al presupposto di fatto del tributo, ma costituisce espressione di valutazioni tecnico-discrezionali dell'Amministrazione finanziaria nell'ambito della procedura concordataria.

La potenziale ricaduta tributaria non è certamente sufficiente per qualificare il “voto” atto provvedimentale atteso che non è rapportabile alla quantificazione del tributo, alla sussistenza dei presupposti giuridici, alla determinazione della base imponibile, ecc.- in sostanza alla fondatezza o meno della pretesa tributaria, – profili eventualmente definibili in altra sede – bensì ad un criterio di “convenienza economica”, operato all'interno dell'Amministrazione che non può essere censurato dalla parte ricorrente, pena una limitazione all'azione della pubblica amministrazione che deve essere improntata a principi, non solo in termini di efficacia ed efficienza, ma anche di economicità.

Il concordato con transazione fiscale, d'altra parte, è una speciale figura di concordato preventivo in quanto viene in rilievo solo quando vi siano debiti tributari e, anche in presenza di debiti tributari, è possibile un concordato preventivo senza transazione fiscale.

Nel primo caso, la proposta di concordato preventivo potrebbe ottenere il consenso della maggioranza dei creditori anche senza il voto favorevole del Fisco, circostanza che conferma che la valutazione economica della proposta è rimessa al giudizio dei creditori in quanto diretti interessati”, avendo il legislatore valorizzato l'elemento negoziale.

Per completezza si ritiene di evidenziare che debba essere esclusa l'assimilazione del voto espresso nell'adunanza dei creditori ad un provvedimento di rigetto di definizione agevolata dei rapporti tributari e, in quanto tale, impugnabile ai sensi dell'art. 19 del D. Lgs n. 546/1992.

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