L’art. 375 CCI: gestione degli assetti organizzativi societari e business judgment rule alla luce di recenti pronunce giurisprudenziali

Sergio Sisia
21 Dicembre 2020

L'art. 375 CCI ha modificato l'art. 2086 c.c. aggiungendovi il comma 2 e sostituendo la relativa rubrica denominandola “Gestione dell'impresa”.
L'art. 375 del CCI: considerazioni introduttive

L'art. 375 CCI, previsto dal Decreto Legislativo n. 14 del 12 gennaio 2019, ha modificato l'art. 2086 c.c., aggiungendovi un secondo comma e sostituendo la relativa rubrica denominandola “Gestione dell'impresa”.

Il secondo comma prevede ora che: “L'imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell'impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell'impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l'adozione e l'attuazione di uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”. Nonostante le procedure di allerta non siano ancora entrate in vigore, la norma lo è già dal 16 marzo 2019 avendo il Legislatore ritenuto opportuno predisporre preliminarmente le misure organizzative rispetto all'attuazione del sistema di monitoraggio, anche al fine di consentirne l'immediata operatività quando entreranno in vigore le norme che lo disciplinano (in questo senso F. Lamanna, Il nuovo Codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza (I), Milano, Giuffré, 2019, 37).

Si segnala tuttavia che, in seguito all'emergenza Covid-19, il Legislatore, con il D.L. 8 aprile 2020, n. 23, c.d. “Decreto Liquidità”, è intervenuto in materia concorsuale prevedendo, tra l'altro, il rinvio dell'entrata in vigore del CCI al 1 settembre 2021. Mentre, quindi, le procedure di allerta diventeranno obbligatorie a fine 2021, la previsione dell'art. 2086 c.c. rimane in vigore, poiché, come pensato dal Legislatore, se i sistemi di allerta presuppongono un costo insostenibile per le imprese in un tale momento storico, ciò non toglie che si possa lo stesso adempiere agli obblighi previsti dall'articolo in esame.

Si è peraltro notato (cfr. R. Tarolli, Il Decreto Liquidità ed il falso mito della continuità aziendale, in questo portale) come vi sia all'interno del Decreto Liquidità l'art. 7, che, consentendo la valutazione delle voci del bilancio nella prospettiva della continuità aziendale se sussistente al 23 febbraio 2020, rema contro l'obbiettivo prefissato dall'art. 2086 c.c.

E' evidente infatti che gli imprenditori, in conseguenza a tale previsione, potrebbero considerare superfluo il munire la propria impresa di assetti organizzativi, contabili e amministrativi adeguati, perdendo così una “(…) occasione di autocritica e di miglioramento delle procedure interne e della stessa organizzazione” (così M.S. Spolidoro, Note critiche sulla “gestione dell'impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. Soc., 2019, 264).

Ad ogni modo, il medesimo Autore ha giustamente rilevato che “La disposizione è comunque collocata nel punto sbagliato del codice, e lo è doppiamente, perché il primo comma appartiene oggi al diritto del lavoro, mentre il secondo comma - per una scelta legislativa proabilmente inopportuna, ma consapevole, voluta e chiara - non riguarda le imprese individuali, bensì solo quelle socitarie e collettive” (così M.S. Spolidoro, ult. op. cit., 273).

(Fonte: IlFallimentarista.it)

Tra diritto societario e procedure concorsuali

La disposizione collega, evidentemente, le proprie previsioni all'evento dissolutivo dell'impresa, assunto come preponderante nell'organizzazione economica di quest'ultima, privilegiando la corretta gestione della crisi, rispetto alla “normalità” dell'azione economica imprenditoriale e della sua organizzazione.

Ciò è evidente alla luce dell'insistenza con cui il legislatore afferma che “la gestione si svolge nel rispetto della disposizione di cui al secondo comma dell'art. 2086 c.c.” all'esordio della disciplina in tema di amministrazione della società semplice (nell'art. 2257 c.c.), della s.p.a. con sistema tradizionale (nell'art. 2380-bis c.c.), della s.p.a. con sistema dualistico (nell'art. 2409-novies c.c.), della s.r.l. (nell'art. 2475 c.c.).

Mentre l'art. 2086 c.c. del 1942, in tema di assetto organizzativo dell'impresa, prevedeva solo che “L'imprenditore è il capo dell'impresa”, lasciando all'autonomia privata l'organizzazione dell'impresa, ora il legislatore viene a culminare un percorso normativo che ha portato ad avvicinare la disciplina civilistica e quella concorsuale.

Se queste, infatti, prima dell'ultimo ventennio, operavano su due diversi distinti piani, non occupandosi ancora la prima di assetti organizzativi che prevenissero lo stato di crisi ed essendo incentrata la seconda disciplina sul fenomento dell'insolvenza, a decorrere dal 2003, con una evoluzione fondamentale, il Legislatore ha introdotto, nel diritto societario, i principi di corretta amministrazione (ex art. 2403 c.c. ed ex art. 149 del T.U.F.) e l'obbligo di dotare l'impresa azionaria di assetti organizzativi adeguati (cfr. artt. 2381 e 2403 c.c.) (cfr. N. Abriani-A.Rossi, Nuova disciplina delle crisi d'impresa e modificazioni del codice civile: prime letture, in Le Società, 2019, 393-412; R. Sacchi, Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa?, in Nuove leggi civ., 2018, 1287-1394; O. Cagnasso, Diritto societario e mercati finanziari, in Il nuovo dir. soc., 2018, 849-852; P. Montalenti, Gestione dell'impresa, assetti organizzativi e procedure di allerta nella riforma Rordorf, in Il nuovo dir. soc., 2018, 951 e ss.).

Può dirsi che da allora gli amministratori siano tenuti a rispettare i principi di correttezza gestoria (c.d.:best practices).

Nel frattempo, il diritto concorsuale, con una serie di riforme (nel 2005-2006; 2012-2015) in tema di piani di risanamento, accordi di ristrutturazione dei debiti, concordato preventivo con riserva e concordato preventivo in continuità aziendale, si occupa sempre più di misure finalizzate a prevenire lo stato di insolvenza.

In virtù di questo intrecciarsi del diritto societario con quello concorsuale, si è parlato di un vero e proprio diritto concorsuale societario (in questo senso, L.A. Bottai, Le modifiche al codice civile dettate dalla L.n. 155/2017 e l'affermazione del “diritto concorsuale societario”, in questo portale).

In definitiva, può comunque dirsi che con il nuovo secondo comma dell'art. 2086 c.c. “(…) il legislatore ha [abbia] voluto rendere esplicito e precisare quel dovere di cautela e prudenza che già si riteneva pacificamente esistente in base alle norme vigenti. Insomma, non si può dire che la legge sia stata radicalmente innovata”(ad avviso di M.S. Spolidoro, Note critiche sulla “gestione dell'impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), Riv. Soc., 2019, 262 ss.).

I nuovi obblighi in capo all'organo amministrativo

Il CCI, con l'art. 2086 c.c., ha inteso quindi regolamentare le situazioni di perdita della continuità aziendale e di crisi dell'impresa fornendo (ad avviso di F. Foggetta, La continuità aziendale nel nuovo CCII tra scansione temporale e obblighi degli amministratori, in Le Società, 2020, 921-931), una più chiara scansione temporale dei momenti della difficoltà dell'impresa e ricollegando l'obbligo di azione degli amministratori già in seguito alla rilevazione della perdita della continuità aziendale, allo specifico fine di “recupero” della stessa.

(i)Quanto alla prima, o meglio agli specifi obblighi dell'organo gestorio in caso di perdita della continuità aziendale, il CCI, da una parte, ha recepito gli orientamenti formatisi in dottrina (cfr. tra gli altri, G. Racugno, Venir meno della continuità aziendale e adempimenti pubblicitari, in Giur. comm., 2010, 1, 213 e R. Sacchi, La responsabilità gestionale nella crisi dell'impresa societaria, in Giur. comm., 2014, 1, 304 ss. e 323 ss.) e in giurisprudenza (cfr. Trib. Venezia, 15 novembre 2018 e Trib. Milano 22 febbraio 2019 n. 1784, quest'ultima in Il Caso.it) in merito alla rilevanza gestoria di tale perdita (un accenno è rinvenibile, ancora da ultimo, in un provvedimento emesso l'11 febbraio 2020 dal Tribunale di Milano in sede cautelare, in Giurisprudenza delle imprese.it) e, dall'altra, ha introdotto un'importante innovazione circa la finalità che deve perseguire l'organo gestorio, che non è più limitata al precedente obbligo individuato in dottrina e giurisprudenza di “affrontare” la situazione.

Si é osservato infatti che: “Prima dell'introduzione del CCI, non esisteva nell'ordinamento una disposizione normativa che ricollegasse alla perdita della continuità aziendale un obbligo propriamente gestorio degli amministratori, nel senso che non era previsto un obbligo di reagire dinanzi a una tale situazione, in modo da riequilibrare o comunque superare lo stato di difficoltà dell'impresa. Da un'analisi letterale dell'art. 2423 bis c.c. poteva derivarsi, semmai, in situazioni di perdita della continuità aziendale, un dovere di dare conto di tale circostanza nella relazione sullagestione e nella nota integrativa e, in mancanza di un piano volto al recupero della continuità aziendale, un obbligo degli amministratori di rivedere contabilmente il bilancio, redigendolo non più in una prospettiva di continuità ma in una prospettiva liquidatoria o di cessione, con conseguente responsabilità degli stessi amministratori in caso di inadempimento a tali specifici doveri.” (così F. Foggetta, ult. op. cit., 924).

In sostanza, il CCI, dando rilievo normativo e indipendenza funzionale al concetto di continuità aziendale (intesa come la capacità dell'impresa di operare come un complesso aziendale funzionante - e quindi di far fronte alle proprie obbligazioni e ai propri impegni, generando flussi di cassa sufficienti al suo funzionamentoper un periodo di almeno dodici mesi, cfr. fra i tanti, Assonime, Le nuove regole sull'emersione anticipata della crisi d'impresa e gli strumenti d'allerta, circ. 19 del 2 agosto 2019, disponibile su http://www.assonime.it), l'ha resa uno “statotipico dell'impresa funzionante ed operativa (in tal senso, M. Irrera, La collocazione degli assetti organizzativi e l'intestazione del relativo obbligo (tra Codice della Crisi e bozza di decreto correttivo), in Nuovo diritto delle società, 2, 2020, 115 ss.).

A seguito della novella dell'art. 2086 c.c., l'organo gestorio, in caso di perdita della continuità aziendale, prima di eventualmente proporre all'assemblea la liquidazione della società (anche se non può essere esclusa la possibilità per gli amministratori di fare questa proposta) dovrà infatti agire al fine di ottenerne il recupero (attraverso gli strumenti previsti dal diritto societario e privato come la “ripianificazione strategica del finanziamento dell'impresa” e il “riassetto della governance”, cfr. Assonime, ivi, 37) e, in considerazione della genericità del disposto normativo in merito alle misure da adottare, si può ritenere applicabile la business judgment rule, con conseguente indindacabilità nel merito (in sede giurisdizionale) delle scelte gestionali, se non in termini di irrazionalità dello strumento scelto rispetto alla finalità perseguita o di conflitto di interessi.

Ne deriva, ai fini della responsabilità dell'amministratore, che questi potrà essere chiamato a rispondere dei danni cagionati alla società se: (a) non si è per nulla attivato con lo strumento ritenuto più adatto al caso di specie, secondo la sua insindacabile scelta; (b) si è attivato, ma con indugio, ossia in ritardo considerata la diligenza richiesta dalla natura dell'incarico; (c) si è attivato utilizzando, però, uno strumento non razionale rispetto alla situazione della società, “(…) con la precisazione che in questa ipotesi la ragionevolezza delle scelte dell'amministratore dipende dall'analisi svolta dallo stesso, dalle informzazioni raccolte e dal modo in cui l'analisi e le informazioni sono state sfruttate nella fase di scelta della misura da adottare” (così F. Foggetta, ult. op. cit., 929).

(ii) Quanto alla “crisi”, l'art. 3 CCI prevede che sia l'imprenditore individuale, sia quello collettivo, debbano adottare, rispettivamente, “misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere le iniziative necessarie a farvi fronte” ed un “assetto organizzativoadeguato ai sensi dell'articolo 2086 del Codice civile ai fini della tempestiva rilevazione dello stato di crisi e dell'assunzione di idonee iniziative”: in sostanza, sia l'imprenditore individuale sia quello collettivo devono far sì che, all'interno della propria impresa, lo stato di “crisi” possa essere velocemente rilevato in modo tale da potervi far fronte.

Da tutto questo deriva che la lettura dell'art. 3 CCI e dell'art. 2086 c.c. debba essere effettuata in parallelo con l'analisi dell'art. 2 CCI, il quale, a seguito del primo correttivo, definisce la “crisi” (tale concetto viene definito per la prima volta con il CCI, poiché il D.Lgs. n. 273/2005 convertito, con modificazioni dalla L. n. 51/2006, aveva introdotto il concetto di crisi all'interno della l.fall. all'art. 160 limitandosi a specificare che “ai fini di cui al primo comma per stato di crisi s'intende anche lo stato di insolvenza”, circoscrivendo la “crisi” come genus rispetto alla species dell'insolvenza) come “lo stato di squilibrio economico-finanziario che rende probabile l'insolvenza del debitore e che per le imprese si manifesta come inadeguatezza dei flussi di cassa prospettici a far fronte regolarmente alle obbligazioni pianificate”.

In proposito la giurisprudenza si è già avvicinata a qualificare la “crisi”, nei termini descritti dall'art. 2 CCI, come “insolvenza prospettica” (cfr. il decr. 3.10.2019, n. 1357 del Trib. Milano).

Può dirsi quindi che dall'art. 2086 c.c. derivi un nuovo tipo di obbligo in capo all'organo amministrativo: quello di gestire l'impresa, dotandola di assetti organizzativi amministrativi e contabili adeguati al fine di rilevare la “crisi” d'impresa.

In realtà, come si è visto nel paragrafo che precede, l'obbligo di istituire adeguati assetti organizzativi eragià previsto dal nostro ordinamento, anche prima della riforma della l. fall..

In particolare, vi era un obbligo generale in tal senso previsto sia dal c.c. (artt. 2381, comma 5, c.c. e 2403, comma 1, c.c.), sia dalla normativa di settore (specialmente bancaria e assicurativa, nonché delle società a partecipazione pubblica, ex D.Lgs. n. 175/2016, come integrato dal D.Lgs. n. 100/2017).

La novità è che quest'obbligo è finalizzato a rilevare, tempestivamente, la “crisi” d'impresa al fine di adottare e attuare uno degli strumenti previsti dall'ordinamento per il superamento della crisi, oltre, al recupero della continuità aziendale (Mazzoni, Procedure concorsuali e standard internazionali: norme e principi di fonte Uncitral e Banca mondiale, in Giur. Comm., 1/2018, I, 43).

Ciò che assume rilievo è la possibilità di intraprendere azioni correttive nella fase pre-crisi (c.d. twilight zone), attraverso un sistema di segnali di allerta.

Anche se l'art. 2086 c.c. affida questo compito, in maniera generale, all'imprenditore, dalla lettura dei già richiamati, nel paragrafo che precede, artt. 2257, 2380-bis, 2409-novies e 2475 c.c., si evince che l'organo amministrativo è l'esclusivo responsabile della gestione dell'impresa ai fini della tempestiva rilevazione della crisi.

Se prima del CCI, ai sensi dell'art. 2423-bis, comma 1, n. 1 c.c., soltanto i soggetti che dovevano redigere il bilancio erano tenuti a compiere una valutazione prognostica conseguente ad una pianificazione finanziaria, questo nuovo obbligo sorge, ora, in capo all'organo amministrativo a prescindere dal tipo di società e a prescindere dalla redazione del bilancio di esercizio: il legislatore ha previsto che il potere di gestione “spetta esclusivamente agli amministratori” anche nelle società di persone (cfr. il nuovo art. 2257 c.c.) incluse le società in accomandita semplici, in cui possono benissimo esistere soci accomndatari non amministratori, nelle società per azioni con sistema monistico (per cui è specificato che il potere di gestione spetta al solo consiglio di gestione) e nelle società a responsabilità limitata (cfr. il nuovo art. 2475 c.c.).

Secondo M.S. Spolidoro, op.cit., 269-270, per un verso, pertanto, si identificano “alcuni responsabili necessari, in quanto titolari di una posizione di garanzia, dell'adeguata organizzazione, del monitoraggio e dei conseguenti obblighi di salvataggio”, per un altro, però, “tale obiettivo è stato perseguito anche a costo di negare la realtà (per le imprese in cui i soci contano più degli amministratori), la tradizione legislativa (per le società di persone) e gli intenti proclamati dagli autori della riforma di quindici anni fa (per le società a responsabilità limitata)”.

A differenza, peraltro, dalla perdita della continuità aziendale, la “crisi” impone l'utilizzo degli strumenti “amministrati” previsti dal CCI (che, tra l'altro, a differenza degli strumenti privatistici e di quelli previsti dal diritto societario, sembrerebbero consentire l'accesso ai meccanismi premiali di cui agli artt. 24 e 25 CCI) e gli interessi che l'organo amministrativo dovrà tenere in considerazione non sono più solo quelli propri dei soci, ma anche quelli dei creditori, da tutelare in via prevalente.

Anche in questo caso, secondo l'Associazione fra le società italiane per azioni (cfr. op. ultima cit., 37-38), l'art. 2086 c.c., al pari della normativa concorsuale, lasciano peraltro agli amministratori ampia libertà di azione, con conseguente applicabilità della BJR e la possibilità di utilizzare, in sinergia con gli strumenti del “diritto della crisi”, anche strumenti privatistici e del diritto societario.

In definitiva può dirsi, come è già stato sottolineato (cfr. F. Foggetta, La continuità aziendale nel nuovo CCII tra scansione temporale e obblighi degli amministratori, in Le Società, 2020, 930) che “A ciascuno degli stadi sono stati ricollegati obblighi degli amministratori, diversi a seconda della gravità della situazione dell'impresa, in un ottica che controbilancia le necessità di anticipata emersione e soluzione della crisi e quelle di autonomia organizzativa dell'impresa in situazioni nelle quali l'insolvenza non risulta essere ancora imminente”.

L'applicabilità della business judgment rule: due recenti provvedimenti

(i) Partendo da quest'ultima considerazione, vi è da chiedersi allorase effettivamente l'insindacabilità degli atti gestori degli amministratori, la c.d. Business judgment rule, sia applicabile, e in che modo, alle decisioni degli amministratori relative alla scelta di un assetto organizzativo adeguato alla rilevazione della crisi.

Da una parte, infatti, “Fino ad ora, la creazione di assetti organizzativi, amministrativi e contabili adeguati rientrava (per così dire) nel settore della diligenza, cioè riguardava sicuramente un giudizio nel contesto sul modo in cui l'amministratore deve adempiere al suo dovere di amministrare. Oggi la legge sembra rendere autonomo questo dovere e farlo divenire oggetto di una prestazione da adempiere di per sé” (così M.S. Spolidoro, Note critiche sulla “gestione dell'impresa” nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. Soc., 2019, 265 e 266); d'altra parte il BJR “(…) assolve la funzione di circoscrivere il rischio per gli amministratori di società di essere giudicati responsabili per aver assunto decisioni imprenditoriali che si rilevino errate e comporta l'insindacabilità giudiziale del merito di quel tipo di scelte”(in proposito cfr. L. Benedetti, L'applicabilità della business judgment rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2019, 413).

Circa l'applicabilità della BJR (in punto, tra i più recenti, si vedano C. Amatucci, Adeguatezza degli assetti, responsabilità degli amministratori e Business Judgment Rule, in Giur. comm., 2016, 643-670; V. De Sensi, Adeguati assetti organizzativi e continuità aziendale: profili di responsabilità gestoria, in Riv. soc., 2017, 311-364; A. M. Luciano, La gestione della s.r.l. nella crisi pre-concorsuale, in Riv. soc., 2017, 405-434; R. Sacchi, Sul così detto diritto societario della crisi: una categoria concettuale inutile o dannosa?, in Nuove leggi civ., 2018, 1287-1394; R. Formisani, Business judgment rule e assetti organizzativi: incontri (e scontri) in una terra di confine, in Riv. dir. soc., 2018, 455-487; L. Benedetti, op. cit., 413-452), si fronteggiano diversi orientamenti.

Mentre infatti è certo che la regola riguardi tutti gli atti inerenti l'esercizio dell'attività di impresa, è invece meno pacifica la sua applicazione alle scelte relative agli assetti organizzativi.

Se una parte della dottrina ritiene che, grazie alle teorie aziendalistiche e alle prassi di mercato, il contenuto specifico dell'obbligo di strutturazione degli adeguati assetti organizzativi sia ormai definito e delineato, senza quindi che siano consentite agli amministratori scelte discrezionali a cui siano applicabili le regole della BJR (così C. Amatucci, op. cit., 665 ss. e P. Montalenti, Amministrazione e controllo nelle società per azioni: riflessioni sistematiche e proposte di riforma, in Riv. soc., 2013, 47 ss.), altri ritengono, ancora di recente, il contrario (come L. Benedetti, L'applicabilità della Business Judgment rule alle decisioni organizzative degli amministratori, in Riv. soc., 2019, 424 ss., ).

A sostegno della inapplicabilità, già alla luce dell'art. 2381 c.c., si era rilevato (cfr. R. Sacchi, op. cit., 1288) che il giudizio sulla perdita della continuità aziendale deve essere condotto secondo le norme giuridiche sulla perdita del capitale sociale, sull'impossibilità di conseguire l'oggetto sociale e sul divieto di compiere operazioni di grave imprudenza per ritardare il fallimento e di aggravare il dissesto societario astenendosi dal richiedere la dichiarazione di fallimento.

Senza poi arrivare a configurare una responsabilità oggettiva degli amministratori, stante la naturale alea legata al rischio d'impresa e dell'imprevedibilità dei fenomeni economico-finanziari (cfr. P. Montalenti, Diritto dell'impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, cit., 76 e 78-79; N. Abriani - A. Rossi, op. cit., 396-397; M. S. Spolidoro, op. cit., 267), si è osservato che risulterebbero “(…) altrimenti svuotate di contenuto precettivo le norme che impongono agli amministratori di adottare un sistema gestionale funzionale alla prevenzione e alla riduzione del rischio di crisi d'impresa” (così, D. Cirillo, La gestione delle società di persone e a responsabilità limitata nel nuovo codice della crisi d'impresa e dell'insolvenza, in Riv. Not., fasc. 6, 1 dicembre 2019,1365.

A sostegno dell'applicabilità si è invece sostenuto che gli

artt. 2484, comma 1, n. 2) c.c. e 217, comma 1, n. 3) e n. 4), l.fall.

implicano valutazioni di merito opinabili circa la reversibilità o meno della crisi e sulla verifica della perdita del capitale sociale, specie quando il bilancio sia stato redatto secondo gli IAS/IFRS, in ragione della volatilità delle valutazioni fondate sul fair value (cfr. R. Sacchi, op. cit., 1288); fatta eccezione chiaramente per il caso in cui la discrezionalità della scelta amministrativa sia stata esercitata in difformità alle condizioni e ai parametri di operatività della business judgment rule, come accade ad esempio quando l'omissione o il ritardo nella rilevazione dell'emersione della crisi sia dipeso da situazioni di conflitto di interesse in cui versavano gli amministratori (cfr. P. Montalenti, op. ult. cit., 76 e R. Sacchi, op. cit., 1288-1289 e 1293-1294).

Sempre a sostegno dell'applicabilità si è detto inoltre che, in conformità con la BJR, è possibile realizzare una pluralità di assetti organizzativi tutti adeguati, perché tutti idonei a cogliere adeguatamente segnali di crisi (cfr. L. Benedetti, op. ult. cit., 413 ss.).

Dal canto suo, la giurisprudenza, nell'applicare le regole della BJR, richiama una valutazione di ragionevolezza delle decisioni, da compiersi ex ante (cfr. Cass., 22.6.2017, n. 15470 secondo cui “in tema di responsabilità dell'amministratore di una società di capitali per i danni cagionati alla società amministrata, l'insindacabilità nel merito delle sue scelte di gestione trova un limite nella valutazione di ragionevolezza delle stesse, da compiersi sia ex ante, secondo i parametri della diligenza del mandatario, alla luce dell'art. 2392 c.c. (nel testo applicabile ratione temporis), sia tenendo conto della mancata adozione delle cautele, delle verifiche e delle informazioni preventive, normalmente richieste per una scelta di quel tipo e della diligenza mostrata nell'apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all'operazione da intraprendere”).

Tra le decisioni di legittimità, si vedano inoltre, la recente Cass. ord. 22 ottobre 2020, n. 23171 e Cass. 22 giugno 2020, n. 12108, oltre alle meno recenti Cass., 28 aprile 1997, n. 3652 e Cass., 28 aprile 1997, n. 3652.

Tra le decisioni di merito più recenti, cfr., invece,Trib. Bologna 17 dicembre 2018 n. 3218, in Le Società, n. 2/2020, 199 (secondo cui le rettifiche sui crediti deteriorati devono determinarsi sulla base di criteri che non attengono alla rappresentazione veritiera e corretta della situazione economico-patrimoniale dell'impresa bancaria quanto, piuttosto, alla “discrezionalità gestoria” la quale esula dal controllo di legalità demandato al giudice adito secondo il noto principio della business judgement rule) e si vedano inoltre, sempre nella giurisprudenza di merito, Trib. Milano, 17 giugno 2011; Trib. Milano 24 agosto 2011, Trib.Napoli, 17 maggio 1999; Trib. Vicenza, 31 dicembre 1961; App. Bari, 15 novembre 1961, Trib. Reggio Emilia, 12 giugno 1996 e Trib. Biella, 11 marzo 1997.

La necessità che la valutazione sia compiuta ex ante costituisce un rilievo quanto mai opportuno, posto che altrimenti vi potrebbe essere il rischio di un giudizio a posteriori negativo sull'adeguatezza o meno della struttura organizzativa, scaturito dal presentarsi della crisi, il quale potrebbe essere l'elemento sufficiente a dimostrare l'inadeguatezza della struttura organizzativa stessa e, di conseguenza, determinare la responsabilità dell'organo amministrativo.

Si finirebbe per creare un vero e proprio circolo vizioso che, tra l'altro, influirebbe nelle scelte dell'organo decisionale: il giudizio circa l'aver ottemperato o meno al proprio dovere di amministratore ex art. 2086 c.c., andrà fatto tenendo conto della situazione, in cui l'impresa versava, così come si presentava ante crisi.

(ii) Di recente, Trib. Roma 8 aprile 2020, con provvedimento cautelare (in Assonime, Business Judgment Rule e assetti organizzativi adeguati, Il Caso 7/2020, in www.assonime.it.) ha ritenuto applicabile la regola della BJR anche alle scelte riguardanti gli assetti organizzativi dell'impresa, distinguendo, anzitutto, gli obblighi a contenuto specifico, determinati dalla legge o dallo statuto, da quelli a contenuto generico, quale il dovere di gestire in modo diligente.

Quanto ai primi, l'amministratore, per andare esente da responsabilità, dovrebbe provare che l'evento è dipeso da causa non evitabile né superabile; quanto ai secondi, che la scelta sia stata assunta in modo metodologicamente corretto e sulla base di una valutazione ex ante non irrazionale.

Pertanto, conformemente, come si è visto, alla giurisprudenza che si è occupata in generale dell'ambito di applicazione della BJR, ad avviso del Tribunale, si dovrà accertare, nello specifico, se l'amministratore ha compiuto le sue scelte tenendo conto delle “cautele, [del]le verifiche e [del]le informazioni preventive normalmente richieste per una scelta di quel tipo, avendo riguardo alle circostanze del caso concreto”, potendo essere considerata razionale quella scelta coerente agli esiti delle verifiche effettuate e delle informazioni assunte.

Per giungere all'applicazione della BJR anche all'ambito degli assetti organizzativi, il Tribunale di Roma ha quindi riconosciuto che le scelte organizzative rientrano nell'”ambito della gestione sociale”, implicando per loro natura valutazioni discrezionali; del resto, la circostanza che il legislatore abbia predeterminato il contenuto degli assetti organizzativi, richiedendone l'adeguatezza sulla base di una previsione generale ed elastica da adattarsi alle caratteristiche e dimensioni dell'impresa, prova che si tratta di un obbligo a contenuto generico.

Si è visto del resto come, per diversi Autori, le scelte organizzative adottate dagli amministratori possano essere oggetto di sindacato di congruità, ogniqualvolta la situazione di crisi sia riconducibile, in tutto o in parte, al difetto di organizzazione dell'impresa o alla mancata adozione di procedure adeguate rispetto ai vari momenti della vita e dell'attività societaria (così P. Montalenti, Diritto dell'impresa in crisi, diritto societario concorsuale, diritto societario della crisi: appunti, cit., 76 e 78-79; O. Cagnasso, Diritto societario e mercati finanziari, cit., 852; D. Boggiali - A. Ruotolo, op. cit., 3; A. Ruotolo - D. Boggiali, op. cit., 9; D. Latella, op. cit., 5 e N. Riccardelli, op. cit., 1005). Si comprende peraltro così come, facendo proprio applicazione delle BJR, nei limiti e nei temini che si sono visti, si possa ugualmente giungere a ritenere, invece, sussistenti i presupposti di cui all'art. 2409 c.c., qualora l'amministratore sia venuto meno all'obbligo di verificare puntualmente la sostenibilità dell'impresa sociale nella sua prospettiva complessiva e non solo corrente, nonché all'obbligo di attivare al più presto i necessari rimedi per una ordinata “uscita dalla crisi”, come ritenuto dal Tribunale di Milano con ordinanza 18 ottobre 2019 (in Giur. it., 2020, 363-369, con nt, di O. Cagnasso, Denuncia di gravi irregolarità: una primissima pronuncia sul nuovo art. 2086 c.c.).

Questo, proprio facendo applicazione del nuovo art. 2086 c.c., ha ravvisato lo stato di “crisi” nel fatto di non essere l'ente in grado “(…) di far fronte alle rilevanti obbligazioni contratte in passato ma solo ai costi correnti e, come tali, non suscettibili di assicurare un equilibrio finanziario neppure nel futuro più prossimo, salvo il caso di apporto esterno di finanza, il cui reperimento risulta (…) del tutto ipotetico e, in ogni caso, non recepito da alcun preciso piano industriale ovvero di ristrutturazione del debito”, strumenti questi che, come si è visto sopra, (i) ben avrebbero potuto garantire la continuità aziendale.

In conclusione

In definitiva, come si è rilevato, l'art. 375 CCI, non fa che riformulare, in termini di “dovere”, principi generali che attengono a norme deontologiche di corretta gestione; principi che, in questo modo, sembrano andare oltre la dimensione privatistica, facendo assumere così all'imprenditore un rilievo pubblicistico, quasi fosse incaricato ad assolvere istanze relative all'interesse pubblico, espresso dallo Stato o, comunque, dalla comunità sulla quale agisce il soggetto economico (cfr. Di Marzio, Obbligazione, insolvenza, impresa, Milano, 2019, 134).

Non è quindi escluso che la novella dell'art. 2086 c.c. finisca per essere utilizzata dalla giurisprudenza a fini ermeneutici e, se così fosse, potrebbe allora valer la pena richiamare quanto a suo tempo già sottolineato da autorevole dottrina (Minervini, Contro la “funzionalizzazione” dell'impresa privata, in Riv. dir. civ., 1958, I, 619-636), la quale aveva dimostrato come, alla luce della caduta dell'ordinamento corporativo, l'attività di impresa non possa essere funzionalizzata a interessi ultronei, di tipo pubblico o collettivo, diversi da quelli dell'imprenditore.

D'altra parte, il legislatore confina gli effetti della disposizione all'impresa esercitata in forma societaria o collettiva”, facendo ritenere, alla luce di questa precisazione, che la previsione in commento potrebbe essere riferita al rapporto negoziale tra amministratori e compagine proprietaria, ribadendo il senso generale degli obblighi cui essi sono tenuti in ragione delle più specifiche norme che ne regolano la posizione contrattuale (cfr. Spolidoro, Note critiche sulla gestione dell'impresa nel nuovo art. 2086 c.c. (con una postilla sul ruolo dei soci), in Riv. Soc., 2019, 253 ss.).

La c.d. “funzionalizzazione” dell'impresa privata sembra così, inevitabilmente, ripercuotersi sull'applicabilità del Business judgment rule alle decisioni degli amministratori relative alla scelta di un assetto organizzativo adeguato alla rilevazione della crisi, prevedendo vincoli, più o meno stringenti, all'attività amministrativa volta al recupero della continuità aziendale e a scongiurare la “crisi” dell'azienda, potendosi tradurre in una eccessiva limitazione dei poteri gestori spettanti agli amministratori.

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