La responsabilità del datore di lavoro per l'omessa adozione di misure volte a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore

21 Dicembre 2020

Laddove si versi in ipotesi di attività lavorativa divenuta pericolosa, la responsabilità del datore di lavoro-imprenditore ai sensi dell'art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva e tuttavia non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate...
Massima

Laddove si versi in ipotesi di attività lavorativa divenuta pericolosa, la responsabilità del datore di lavoro-imprenditore ai sensi dell'art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva e tuttavia non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore nel luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale, del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio.

Il caso

La lavoratrice, operatrice di sportello, proponeva ricorso dinanzi al Tribunale nei confronti della società datrice di lavoro e dell'INAIL, al fine di ottenere il risarcimento del danno biologico patito, derivante da un disturbo post-traumatico da stress di grado grave, quale conseguenza delle dieci rapine subite presso gli uffici postali presso cui aveva prestato servizio.

Il giudice di prime cure, in parziale accoglimento della domanda, riconosciuta la responsabilità della società datrice di lavoro per i danni occorsi alla dipendente, condannava la società al relativo risarcimento.

Successivamente, la Corte di appello rigettava il gravame interposto dalla società datrice di lavoro, avverso la pronunzia del Tribunale, nei confronti della lavoratrice e dell'INAIL. In particolare, la Corte territoriale osservava che le misure adottate dal datore di lavoro erano dirette a non rendere fruttuosa per gli assalitori una azione criminale di rapina, ma non a tutelare i dipendenti dalle rapine (si trattava infatti di misure di sicurezza quali l'impianto di telesorveglianza, la cassaforte con apertura a tempo programmata, l'impianto di teleallarme a tastiera programmata, etc.), con la conseguenza che era configurabile, nel caso di specie, un'ipotesi di responsabilità contrattuale dell'imprenditore ai sensi dell'art. 2087 c.c., che pone un obbligo di garanzia in capo al datore di lavoro a tutela della persona del lavoratore, imponendo al primo di “adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale” del secondo.

La società datrice di lavoro propone ricorso per cassazione con un motivo contenente più censure cui resistono con controricorso la lavoratrice e l'INAIL.

La questione

Il caso in esame affronta il tema della responsabilità del datore di lavoro ex art. 2087 c.c. per omessa adozione delle misure di prevenzione volte a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore sul luogo di lavoro.

Preliminarmente, la Suprema Corte osserva come, alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale (Cass. n. 10145/2017; Cass. n. 22710/2015; Cass. n. 18626/2013; Cass. n. 17092/2012; Cass. n. 13956/2012), la responsabilità dell'imprenditore per la mancata adozione delle misure idonee a tutelare l'integrità fisica del lavoratore discende o da norme specifiche o, nell'ipotesi in cui esse non siano rinvenibili, dalla norma di ordine generale di cui all'art. 2087 c.c. Quest'ultima costituisce una norma di chiusura del sistema antinfortunistico, estensibile a situazioni ed ipotesi non ancora espressamente considerate e valutate dal legislatore al momento della sua formulazione e che impone all'imprenditore l'obbligo di adottare, nell'esercizio dell'impresa, tutte le misure che, avuto riguardo alla particolarità del lavoro in concreto svolto dai dipendenti, siano necessarie alla tutela dell'integrità psico-fisica dei lavoratori (Cass. n. 27964/2018; Cass. n. 16645/2003; Cass. n. 6377/2003).

In particolare, nel caso di specie, la Cassazione afferma che, laddove si versi in ipotesi di attività lavorativa divenuta pericolosa, come nella fattispecie in esame, a causa delle numerose e continue rapine subite dai dipendenti negli uffici postali presso cui prestavano servizio, la responsabilità del datore di lavoro-imprenditore ai sensi dell'art. 2087 c.c. non configura una ipotesi di responsabilità oggettiva e tuttavia non è circoscritta alla violazione di regole di esperienza o di regole tecniche preesistenti e collaudate, ma deve ritenersi volta a sanzionare, anche alla luce delle garanzie costituzionali del lavoratore, l'omessa predisposizione, da parte del datore di lavoro, di tutte quelle misure e cautele atte a preservare l'integrità psicofisica e la salute del lavoratore sul luogo di lavoro, tenuto conto della concreta realtà aziendale, del concreto tipo di lavorazione e del connesso rischio (Cass. n. 10145/2017; Cass. n. 15156/2011).

In proposito, mette conto evidenziare che la giurisprudenza di legittimità ha rilevato come l'adozione di particolari misure di sicurezza (cd. innominate) viene in rilievo con riferimento a condizioni lavorative obiettivamente (anche solo potenzialmente) pericolose (Cass. n. 25883/2008), sussistendo un tale obbligo, a titolo esemplificativo, “per i lavoratori che, in quanto in possesso temporaneo di somme di denaro, sono esposti al rischio di rapina/lesioni, così come nei casi in cui la prevedibilità del verificarsi di episodi di aggressione a scopo di lucro sia insita nella tipologia di attività esercitata, in ragione della movimentazione di somme di denaro” (Cass., sez. lav., n. 29879/2019).

Ciò posto, la Suprema Corte osserva che, nel caso di specie, l'onere della prova gravava sul datore di lavoro, il quale avrebbe dovuto dimostrare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno (prova liberatoria) derivato alla lavoratrice, attraverso l'adozione delle cautele previste in via generale e specifica dalle norme antinfortunistiche, di cui i giudici di merito avevano ravvisato la violazione, ritenendo la sussistenza del nesso causale tra il danno occorso alla lavoratrice, a seguito delle dieci rapine subite, e l'attività svolta dalla stessa, senza la predisposizione, da parte della società datrice di lavoro, di adeguate misure dirette a tutelare i dipendenti.

Le soluzioni giuridiche

In tema di omessa adozione di misure volte a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore, parte della dottrina e giurisprudenza ha sottolineato che le disposizioni della Costituzione hanno segnato, anche in materia giuslavoristica, un momento di rottura rispetto al sistema precedente, consacrando “il definitivo ripudio dell'ideale produttivistico quale unico criterio cui improntare l'agire privato”, in considerazione del fatto che l'attività produttiva - anch'essa oggetto di tutela costituzionale, poiché attiene all'iniziativa economica privata quale manifestazione di essa (art. 41, comma 1, Cost.) - è subordinata, ai sensi del secondo comma della medesima disposizione, all'utilità sociale, da intendersi non solo come mero benessere economico e materiale, sia pure generalizzato alla collettività, quanto, soprattutto, come realizzazione del pieno e libero sviluppo della persona e dei relativi valori di sicurezza, libertà e dignità. Ne consegue, osserva la Corte, la recessione della concezione “patrimonialistica” dell'individuo rispetto alla diversa elaborazione basata sullo svolgimento della persona, sul rispetto di essa, sulla sua dignità, sicurezza e salute - anche nel luogo in cui si svolge la propria attività lavorativa -; momenti tutti che “costituiscono il centro di gravità del sistema”, ponendosi come valori apicali dell'ordinamento.

In particolare, la mancata predisposizione dei dispositivi di sicurezza al fine di tutelare la salute dei lavoratori sul luogo di lavoro determina la violazione degli artt. 32 Cost., 2087 c.c., nonché delle disposizioni antinfortunistiche contenute nel d.lgs. n. 626/94, attuativo delle direttive europee in materia di miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori nello svolgimento dell'attività lavorativa.

Invero, l'art. 32 Cost. tutela il diritto alla salute, quale diritto primario dell'uomo nella sua duplice dimensione individuale e collettiva, mentre l'art. 2087 c.c., imponendo la tutela dell'integrità psico-fisica del lavoratore da parte del datore di lavoro, prevede un obbligo, da parte di quest'ultimo, che non si esaurisce “nell'adozione e nel mantenimento perfettamente funzionale di misure di tipo igienico-sanitarie o antinfortunistico”, ma attiene anche, e soprattutto, alla predisposizione “di misure atte, secondo le comuni tecniche di sicurezza, a preservare i lavoratori dalla lesione di quella integrità nell'ambiente o in costanza di lavoro anche in relazione ad eventi, pur se allo stesso non collegati direttamente, ed alla probabilità di concretizzazione del conseguente rischio”.

Sul punto la Suprema Corte evidenzia che l'interpretazione estensiva dell'art. 2087 c.c. si giustifica alla stregua del consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 8422/1997; Cass. n. 7768/1995), alla luce del rilievo costituzionale del diritto alla salute ex art. 32 Cost., del principio di correttezza e buona fede nell'attuazione del rapporto obbligatorio ex artt. 1175 e 1375 c.c., - disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi normativi e di clausole generali, cui deve essere improntato e deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro - nonché ai sensi del principio del neminem laedere ex art. 2043 c.c., “pur se nell'ambito della generica responsabilità extracontrattuale”.

In proposito, già in passato, la Cassazione aveva altresì messo in rilievo che, in conseguenza del fatto che la violazione del dovere del neminem laedere può consistere anche in un comportamento omissivo e che l'obbligo giuridico di impedire l'evento può discendere, oltre che da una norma di legge o da una clausola contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività, a tutela di un diritto altrui, è da considerare responsabile il soggetto che, pur consapevole del pericolo cui è esposto l'altrui diritto, ometta di intervenire per impedire l'evento dannoso.

Osservazioni

Le problematiche affrontate dalla pronuncia in commento in tema di misure preventive volte a preservare l'integrità psico-fisica del lavoratore sul posto di lavoro appaiono di grande rilievo.

Invero, le norme dettate in materia di prevenzione degli infortuni sul lavoro sono finalizzate a tutelare il lavoratore anche in ordine ad incidenti derivanti dalla sua negligenza, imprudenza ed imperizia, con la conseguenza che la condotta imprudente del dipendente infortunato non assurge a causa sopravvenuta da sola sufficiente a produrre l'evento quando sia comunque riconducibile all'area di rischio inerente all'attività svolta ed all'omissione delle doverose misure antinfortunistiche da parte del datore di lavoro.

Al riguardo la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di osservare che “il contesto della sicurezza del lavoro fa emergere con particole chiarezza la centralità dell'idea di rischio: tutto il sistema è conformato per governare l'immane rischio, gli indicibili pericoli, connessi al fatto che l'uomo si fa ingranaggio fragile di un apparato gravido di pericoli. Il rischio è categorialmente unico ma, naturalmente, si declina concretamente in diverse guise in relazione alle differenti situazioni lavorative. Esistono, dunque, diverse aree di rischio e, parallelamente, distinte sfere di responsabilità che quel rischio sono chiamate a governare” (Cass. pen., sez. IV, n. 20817/2019).

Ferme queste premesse, va osservato che il datore di lavoro è esonerato da responsabilità ove il comportamento del dipendente presenti i caratteri dell'eccezionalità, dell'abnormità, dell'esorbitanza rispetto al procedimento lavorativo ed alle direttive organizzative ricevute, trattandosi in tale ipotesi di una condotta collocabile al di fuori dell'area di rischio definita dalla lavorazione in corso e dunque interruttiva del nesso eziologico perché eccentrica rispetto al rischio lavorativo che il datore di lavoro, titolare della posizione di garanzia, è chiamato a governare.

Guida all'approfondimento

  • G. Santoro Passarelli, Diritto dei lavori e dell'occupazione, Giappichelli, Torino, 2016;
  • G. Ferraro, Il datore di lavoro e l'obbligazione di sicurezza: attribuzione di compiti e delegabilità di funzioni nel complessivo quadro dei nuovi adempimenti, in L. Montuschi (a cura di), Ambiente, Salute e Sicurezza. Per una gestione integrata dei rischi da lavoro, Giappichelli, 1997.

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