Opposizioni esecutive in materia esattoriale

Alessandro Auletta
22 Dicembre 2020

Il presente contributo analizza gli strumenti di tutela a disposizione del debitore per opporsi alle pretese tributarie iscritte a ruolo, con particolare attenzione all'evoluzione normativa e al tipo di credito opposto dal debitore.

Introduzione

Il d.p.r. n. 602/1973 attribuisce all'agente della riscossione penetranti strumenti di natura esecutiva per dare coattiva attuazione alle pretese iscritte a ruolo (sulla natura ed efficacia del ruolo sia consentito, anche per ulteriori riferimenti, il rinvio al mio Pignoramento esattoriale, in De Stefano-Giordano, a cura di, Il pignoramento nel suo aspetto pratico, Milano, 2020, 785 e ss.).

Si tratta di istituti che si connotano – rispetto a quelli omologhi disciplinati dal codice di rito – per una forte specialità, tanto che è viva e vitale la tesi secondo cui, in tale versante, l'agente della riscossione spenderebbe poteri di natura autoritativa, soggetti solo eventualmente (cioè solo in caso di contestazioni e, in specie, per quanto qui interessa, di opposizioni esecutive) ad un vaglio giudiziale, diversamente da quanto accade per il processo esecutivo che, come è noto, pur fondandosi su un titolo esecutivo dove sono già «cristallizzate» le ragioni del creditore, si svolge sotto la costante direzione del giudice dell'esecuzione (art. 484 c.p.c.) [circa la natura giuridica dell'esecuzione c.d. esattoriale v. almeno Glendi, Natura giuridica dell'esecuzione forzata tributaria, in Dir. Prat. Trib., 1992, I, 2240; Basilavecchia, Riscossione delle imposte, in Enc. Dir., Milano, 1989, XL, 1179; Costantino, Le esecuzioni forzate speciali. Lineamenti generali, Milano, 1984).

L'evoluzione della disciplina normativa e la giurisprudenza della Corte costituzionale

Lo studio degli strumenti di tutela a disposizione del debitore, pertanto, riveste una fondamentale importanza nella materia in esame, anche in considerazione del rilevante apporto offerto, in senso evolutivo, sia dalla giurisprudenza della Corte costituzionale che da quella di legittimità.

Appare utile una breve ricognizione diacronica della disciplina di cui si tratta, il tutto alla luce della necessaria premessa che, in origine, gli strumenti esecutivi regolati dal d.p.r. n. 602/1973 potevano trovare spazio solo in caso di pretese tributarie rimaste insoddisfatte.

In particolare, anteriormente alla riforma del 1999 (che invece ha esteso la possibilità di ricorrere all'esecuzione «esattoriale» o «tramite ruolo» anche per le entrate extra-tributarie), l'art. 54 – nella sua originaria formulazione – prevedeva tout court la inammissibilità delle opposizioni esecutive (fatta eccezione per quella disciplinata dall'art. 619 c.p.c.).

In dettaglio, mentre in materia di entrate patrimoniali l'art. 3 r.d. n. 639/1910 consentiva al debitore di proporre entro trenta giorni dalla notificazione della c.d. ingiunzione fiscale opposizione innanzi al conciliatore, al pretore o al tribunale in cui aveva sede l'Ufficio emittente, con espresso riconoscimento del potere di sospendere il procedimento esecutivo avviato, l'art. 54 cit. prevedeva che «la procedura esecutiva non può essere sospesa dall'esattore se la sospensione non sia disposta dall'Intendente di finanza ai sensi dell'art. 53 o dal pretore in seguito ad opposizione di terzo».

L'unico rimedio attingibile, quindi, aveva natura schiettamente amministrativa, come confermato dalla giurisprudenza di legittimità che ammetteva che, avverso le determinazioni dell'organo amministrativo preposto alla decisione dei ricorsi in materia, fosse data la tutela di annullamento innanzi al giudice amministrativo (Cass. civ., sez. un., 26 novembre 1993, n. 11717).

Per altro verso, il ricorso al giudice tributario avverso il ruolo (ossia il titolo alla base dell'intrapresa esecuzione) non sospendeva il procedimento esattoriale e, anzi, nel quadro del sistema processuale delineato dal d.p.r. n. 636/1972, concernente il contenzioso innanzi a tale giudice, mancava la previsione di un potere siffatto.

In definitiva, a parte la tutela esperibile in via amministrativa, il contribuente, che si fosse ritenuto leso dall'esecuzione esattoriale, poteva agire contro l'esattore dopo il compimento della esecuzione stessa, domandando il risarcimento dei danni per aver subito un'esecuzione illegittima.

La Corte costituzionale, investita della questione, ebbe a ritenere che l'art. 54 cit. non prevedesse una vera e propria clausola di solve et repete, atteso che era comunque riconosciuta una tutela giurisdizionale diretta (come detto innanzi al giudice amministrativo), ancorché condizionata all'esperimento di un ricorso amministrativo (Corte cost., 26 marzo 1992, n. 63).

La situazione muta sensibilmente già con la riforma del processo tributario - d.lgs. n. 546/1992 -, laddove: a) si è previsto che restassero escluse dalla giurisdizione tributaria le sole controversie riguardanti gli atti dell'esecuzione forzata successivi alla cartella di pagamento o, ove previsto, all'avviso di mora (art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992); b) si è riconosciuto al giudice tributario il generale potere di sospendere gli atti innanzi a lui impugnabili (art. 47 d.lgs. n. 546 del 1992).

Peraltro, ove fosse stato compiuto il pignoramento (in una delle forme di cui al citato d.p.r. n. 602/1973), data la insussistenza del richiamato potere sospensivo in capo al giudice tributario, continuava a sussistere un vulnus alla tutela del debitore.

Il Giudice delle leggi, investito nuovamente della questione, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale della normativa che riconosceva all'Ente autonomo acquedotto pugliese il potere di riscuotere coattivamente le proprie entrate avvalendosi della procedura di cui al d.p.r. n. 602/1973, con specifico riferimento all'art. 54 , che, nella versione a quel tempo vigente, espressamente escludeva la possibilità di proporre le opposizioni esecutive previste dagli artt. 615 e 617 c.p.c. (Corte cost., 13 luglio 1995, n. 318)

In particolar modo, è stata ritenuta irragionevole la esclusione della tutela cautelare sul rilievo che discipline analoghe, relative al recupero di crediti privatistici da parte dei gestori dei servizi pubblici essenziali, prevedevano una tale forma di tutela.

In altra occasione (Corte cost.,18 luglio 1997, n. 239), la Corte costituzionale si è pronunciata sulla questione di legittimità costituzionale sollevata con riferimento all'art. 17 l. n. 6/1981, nella parte in cui, attraverso il rinvio alle norme previste per la riscossione delle imposte dirette, avrebbe determinato la inapplicabilità, anche alle procedure di riscossione di particolari contributi previdenziali, dell'opposizione all'esecuzione interdetta al debitore nell'ambito delle «disposizioni sulla riscossione delle imposte sul reddito», appunto dall'art. 54 d.p.r. n. 602/1973.

Oltre che per ragioni analoghe a quelle prospettate con riferimento al caso sopra esaminato, questa volta era stata dedotta anche la irragionevolezza della estensione di privilegio, originariamente concepito a garanzia dei flussi fiscali dello Stato, a un sistema di prelievo funzionalmente diverso e in favore di soggetti che non presentano le medesime caratteristiche della pubblica amministrazione.

La Corte ha ritenuto la questione fondata con riferimento ad ambedue i parametri costituzionali richiamati.

In dettaglio, il Giudice delle leggi ha rilevato che « la carenza di ‘graduazione' dell'esecutività, nella disciplina legislativa in esame, (...) non solo appare discriminatoria ed irragionevole, in quanto impone al debitore un sacrificio assolutamente sproporzionato rispetto alle finalità ed alla natura dell'ente creditore, ma comporta altresì, anche in considerazione di taluni effetti di ‘irreversibilità' tipici del processo esecutivo, una inammissibile limitazione della tutela alla proponibilità di sole iniziative risarcitorie. Queste, infatti, possono corrispondere alla specificità ed all'intensità della tutela giurisdizionale dei diritti, postulata dall'art. 24 Cost., solo se inserite in un più ampio quadro di garanzie, quale appunto si delinea, come già rilevato, per le stesse entrate tributarie».

E, ancora, i n materia di contributi consortili, si è dubitato della legittimità costituzionale — con riferimento agli artt. 3, 24 e 113 Cost. — della disposizione contenuta nell'art. 21 comma 2 r.d. n. 215/1993 che rinviava alla normativa in materia di esazione delle imposte dirette e, quindi, all'art. 54 cit. laddove si escludeva la competenza del giudice ad emanare provvedimenti cautelari in materia di riscossione esattoriale di tributi.

La questione di legittimità costituzionale è stata ritenuta fondata sul rilievo che «è discriminatoria ed arbitraria, sotto il profilo della violazione dei mezzi di difesa giurisdizionale, la disciplina mediante rinvio alle norme che regolano la procedura di riscossione delle imposte dirette, disposta nei confronti di entrate di nature non tributaria» (Corte cost., 26 febbraio 1998, n. 26).

La riforma del 1999 e l'attuale quadro regolatorio

La giurisprudenza costituzionale sopra richiamata costituisce, sotto questo profilo, l'antecedente logico del d.lgs. n. 46/1999, a seguito della cui introduzione: a) nel caso in cui l'esecuzione fosse intrapresa per il recupero di crediti di natura extra-tributaria, è stata riconosciuta al debitore una tutela oppositiva «piena», ossia in tutto e per tutto corrispondente a quella data in caso di esecuzione «ordinaria» ai sensi degli artt. 615 e 617 c.p.c.; b) laddove l'esecuzione fosse intrapresa per il recupero di crediti di natura tributaria, l'art. 57 d.p.r. n. 602/1973 (nella formulazione allora introdotta) prevedeva: 1) l'inammissibilità delle opposizioni all'esecuzione diverse da quelle concernenti la impignorabilità del bene; 2) l'inammissibilità delle opposizioni agli atti esecutivi relative alla regolarità formale ed alla notificazione del titolo.

Esame dei rimedi a disposizione del debitore, in caso di crediti di natura extratributaria

Alla luce di quanto detto, sembra evidente che il sistema rimediale risultava, prima del più recente intervento della Corte costituzionale (per l'esame del quale v. infra), diversamente congegnato a seconda della natura del credito per la cui riscossione si procedesse in via esecutiva e, ancora, a seconda che venisse in rilievo un atto antecedente o successivo alla cartella (o all'avviso di mora, ove previsto).

In dettaglio, per i crediti di natura extra-tributaria, sono ammesse, senza limiti di sorta, tanto le opposizioni c.d. preventive che quelle c.d. successive.

Va precisato, con riferimento alle prime (cioè alle c.d. opposizioni a cartella esattoriale), che ove le stesse siano proposte in funzione «recuperatoria» - cioè per recuperare il mezzo di tutela dato dall'ordinamento in relazione al rapporto sottostante ove la cartella sia il primo atto portato a conoscenza del debitore -, occorrerà procedere:

1) osservando le forme e i termini di cui all'art. 7 d.lgs. n. 150/2011, nel caso (assai frequente nella pratica) in cui sia contestata l'omessa notifica del verbale di accertamento di violazioni del codice della strada e conseguente irrogazione di sanzione pecuniaria (Cass. civ., sez. un., 22 settembre 2017, n. 22080);

2) in base all'art. 6 d.lgs. n. 150/2011, qualora sia in discussione un profilo differente.

Sul punto va richiamato il precedente di legittimità che ha chiarito che «in base all'art. 6 d.lgs. n. 150/2011, si può qualificare la competenza del giudice di pace devoluta in base a un criterio che è prioritariamente per materia e solo in un momento logicamente successivo e in alcune ipotesi, connotato dall'elemento del valore; in base all'art. 7 d.lgs. n. 150/2011 può qualificarsi competenza per materia quella del giudice di pace per tutte le opposizioni a verbale di accertamento di violazione del codice della strada e gli stessi criteri di competenza vanno applicati anche con riferimento all'impugnativa del preavviso di fermo, in quanto azione di accertamento negativo» (Cass. civ., sez. un., 27 luglio 2018, n. 10261).

Partendo da tale premessa, la giurisprudenza successiva ha esplicitamente affermato che «in tema di sanzioni amministrative per violazione del codice della strada, la competenza del giudice di pace è per materia in ordine alle controversie aventi ad oggetto opposizione a verbale di accertamento ex art. 7 d.lgs. n. 150/2011: gli stessi criteri di competenza vanno altresì applicati con riferimento all'impugnativa del preavviso di iscrizione ipotecaria, in quanto azione di accertamento negativo; ne consegue che l'opposizione proposta, con unico atto, avverso un preavviso di iscrizione ipotecaria emesso per una pluralità di violazioni del codice della strada, non è attratta, in ragione dell'ammontare complessivo delle sanzioni, nella sfera della competenza per valore del tribunale e che, nel caso in cui le contravvenzioni siano state rilevate in luoghi differenti, la domanda di accertamento negativo deve essere separata in altrettante cause e va dichiarata la competenza degli uffici del giudice di pace del luogo di accertamento di ciascuna sanzione» (di recente v. Cass. civ., 26 marzo 2018, n. 7460 e, in precedenza, Cass. civ., 10 novembre 2015, n. 22782).

Al di fuori del caso delle opposizioni in funzione recuperatoria, il debitore ha a disposizione, come si anticipava, gli ordinari rimedi codicistici per dedurre fatti modificativi, impeditivi o estintivi della pretesa del creditore che siano venuti ad esistenza successivamente alla formazione del titolo (art. 615 c.p.c.) o eccepire la sussistenza di vizi concernenti la regolarità formale del procedimento (art. 617 c.p.c.).

Sempre in materia di crediti derivanti dalla irrogazione di sanzioni per violazione del codice della strada, e sulla scia di quanto già ritenuto da Cass. civ., sez. un., 22 settembre 2017, n. 22080, la giurisprudenza di legittimità ha opportunamente affermato che «qualora il ricorrente, con l'opposizione c.d. recuperatoria al verbale di contestazione dell'infrazione al codice della strada proponga anche censure relative alla cartella esattoriale o comunque concernenti fatti verificatisi successivamente al predetto verbale, le stesse — pur potendo essere in concreto formulate con un unico atto di opposizione — soggiacciono tuttavia ai termini previsti dagli artt. 615 c.p.c. e 617 c.p.c. Di conseguenza, i vizi afferenti il procedimento di notificazione della cartella di pagamento possono essere esaminati soltanto a condizione che il ricorso sia stato proposto nel termine di 20 giorni dalla notificazione della cartella medesima, mentre l'eccezione di prescrizione della pretesa sanzionatoria può essere fatta valere senza termine, in quanto trattasi di censura inquadrabile nell'ambito dell'art. 615 c.p.c.».

Per quanto concerne le opposizioni successive, cioè proposte dopo la notifica dell'avviso di vendita (nel caso dell'esecuzione esattoriale immobiliare) o del pignoramento (in caso di espropriazione mobiliare o di ordini di pagamento diretto ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/1973), le stesse – come si anticipava – sono ammissibili senza limiti di sorta.

Trattandosi però di procedimenti contenziosi a struttura bifasica necessaria (Cass. civ., 11 ottobre 2018, n. 25170), il debitore dovrà proporre ricorso al giudice dell'esecuzione e chiedere che questi adotti, all'esito della fase sommaria, i provvedimenti interinali del caso (artt. 624 e 618 c.p.c.) e poi (ove persista un interesse in tal senso) introdurre la fase di merito, da trattare secondo le regole del processo ordinario di cognizione.

(… segue) e in caso di crediti di natura tributaria

Per i crediti di natura tributaria, come già anticipato, l' art. 57 d.p.r. n. 602/1973 prevedeva, prima di una recente e rilevante pronuncia della Corte costituzionale, di cui si dirà più approfonditamente infra, delle limitazioni.

Non erano ammesse: 1) le opposizioni all'esecuzione diverse da quelle relative alla impignorabilità dei beni; 2) le opposizioni agli atti esecutivi dirette a far valere vizi formali o relativi alla notificazione del titolo.

In particolare: la deduzione di vizi formali

Relativamente a queste ultime, va rilevato che la disposizione in esame va a saldarsi con quelle conferenti del d.lgs. n. 546/1992, ed in specie con l' art. 19 di tale provvedimento normativo, ove sono indicati gli atti impugnabili innanzi al giudice tributario, tra cui rientrano (tra gli altri) la cartella di pagamento e l'avviso di mora.

Se è chiaro che le contestazioni relative a tali atti per «vizi propri» debbano esser fatte valere innanzi alle commissioni tributarie, più complessa si è rivelata la questione relativa alla individuazione del giudice fornito di giurisdizione laddove, in sede di impugnazione del pignoramento, siano dedotti non già «vizi propri» bensì «vizi derivati» dello stesso e, in specie, laddove il debitore adduca l'omessa notifica della cartella o dell'avviso di mora (ove previsto), sul presupposto che il pignoramento sia il primo atto della sequenza procedimentale portato a sua conoscenza (c.d. pignoramento a sorpresa).

La questione ha trovato soluzioni diversificate, sia nel dibattito dottrinale che nel formante giurisprudenziale.

In dottrina, va segnalata la tesi che ha proposto una lettura costituzionalmente orientata del sistema nel senso che «il collegamento con il limite interno per l'accesso al giudizio tributario può stabilirsi anche per il tramite di un atto non impugnabile», poiché il nesso «tra atti ipotizzato dalla disposizione [dell'art. 19 comma 3 d.lgs. n. 546/1992, n.d.s.] (l'uno adottato e non notificato, l'altro notificato) non può logicamente concernere atti che siano autonomamente impugnabili. Ove così fosse, infatti, solo l'atto notificato (e cioè il secondo) sarebbe impugnabile ed il suo vizio consisterebbe proprio nel non essere stato preceduto dalla notificazione dell'atto propedeutico; circostanza da sola sufficiente ad invalidarlo senza che il ricorrente sia costretto ad impugnare anche l'atto non notificato. Si ha, al contrario, la necessità di impugnare l'atto semplicemente adottato e non notificato, quando il termine per l'accesso alla tutela tributaria è eccezionalmente costituito da un atto non autonomamente impugnabile, che serve in questo caso da tramite per la sua conoscenza” [Renda, Il sistema delle tutele giurisdizionali nella fase della riscossione esattoriale (commento all'art. 57 d.p.r. n. 602/1973, in Arieta-De Santis-Didone (a cura di), Codice commentato delle esecuzioni civili, Torino, 2016, 193].

In giurisprudenza, si segnala un primo orientamento secondo cui «l'ammissibilità dell'opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell'art. 57 comma 1 lett. b) del d.p.r. n. 602/1973 dipende dall'atto impugnato e non dal vizio dedotto, sicché, mentre per il contribuente non può impugnare dinanzi al giudice ordinario la cartella di pagamento o l'avviso di mora, la cui cognizione è riservata al giudice tributario, può proporre opposizione ex art. 617 c.p.c. avverso il pignoramento oltre che per vizi suoi propri, anche per far valere la nullità derivata conseguente all'omessa notificazione degli atti presupposti e, cioè, della cartella di pagamento o della intimazione ad adempiere» (Cass. civ., 7 maggio 2015, n. 9246).

Alla stregua di tale orientamento, era indubbio: 1) che lo strumento da attivare fosse quello dell'opposizione agli atti esecutivi (da proporre ovviamente al giudice ordinario); 2) che tale domanda sfuggisse alla comminatoria di inammissibilità posta dall'art. 57 cit. proprio in quanto — come detto — ciò che conta a tali fini non è il vizio dedotto, ma l'atto impugnato.

La giurisprudenza più recente, a partire da Cass. civ., sez. un., 5 giugno 2017, nn. 13913 e 13916 (confermata da altre numerose pronunce successive, tra cui v. Cass. civ., sez. un., 23 ottobre 2018, n. 24965; Cass. civ., 23 marzo 2018, n. 7341; Cass. civ., 11 maggio 2018, n. 11481; Cass. civ., 4 aprile 2018, n. 8319; Cass. civ., 22 maggio 2018, n. 12608; Cass. civ., 22 maggio 2018, n. 12612; Cass. civ., 25 maggio 2018, n. 13123; Cass. civ., 19 ottobre 2018, n. 26378; Cass. civ., 28 novembre 2018, n. 30756; Cass. civ., 30 novembre 2018, n. 31035), ha invece ritenuto che «in materia di esecuzione forzata tributaria, l'opposizione agli atti esecutivi riguardante l'atto di pignoramento, che si assume viziato per l'omessa o invalida notificazione della cartella di pagamento (o degli altri atti presupposti dal pignoramento), è ammissibile e va proposta — ai sensi del d.lgs. n. 546/1992 art. 2 comma 1 secondo periodo, art. 19 d.p.r. n. 602/1973, art. 57 e art. 617 c.p.c. — davanti al giudice tributario».

Questo orientamento, benché ormai consolidato (e di recente ribadito anche da Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2020, n. 7822), è stato oggetto di severe critiche da parte di autorevole dottrina (per tutti v., in specie, Glendi, Le Sezioni Unite della Corte di cassazione «stravolgono» i confini tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria sul versante dell'esecuzione forzata, in Gazz. trib. — Riv. Giur. Trib., 2017, 10, 762 e ss.; Glendi, Disorientamenti giurisprudenziali al vertice sull'opposizione agli atti esecutivi, in Corr. Giur., 2018, 5, 677 e ss.; Carinci, La Consulta rimuove il divieto all'opposizione all'esecuzione: cade una (altra) specialità dell'esecuzione esattoriale, in Fisco, 2018, 27, 2642).

I rilievi critici si muovono lungo tre direttrici:

1) la giurisdizione si determina in base all'atto impugnato e alla situazione soggettiva che forma oggetto di giudizio e non in ragione del vizio dedotto, al quale l'art. 2 d.lgs. n. 546 del 1992, che individua la linea di confine tra giurisdizione tributaria ed ordinaria, non fa alcun riferimento;

2) ciò che rileva ai fini della determinazione della giurisdizione è il petitum sostanziale (l'impugnazione dell'atto cui è correlata la situazione giuridica che dallo stesso risulta incisa) piuttosto che la soggettiva prospettazione del vizio da parte del debitore;

3) il pignoramento non rientra tra gli atti autonomamente impugnabili davanti al giudice tributario.

A ciò va aggiunto che, nelle sentenze «capofila» di tale orientamento, resta sullo sfondo la (non secondaria) questione circa la qualificazione dell'azione con cui si facciano valere, innanzi al giudice tributario, «vizi derivati» dell'atto di pignoramento, e di quale sia, conseguentemente, il relativo regime giuridico.

Questione la cui soluzione, a ben vedere, è tutt'altro che scontata, se è vero che, nelle pronunce successive ai citati (e contestati) arresti delle Sezioni Unite, la Suprema Corte ha in alcuni casi parlato apertis verbis di opposizione agli atti esecutivi (Cass. civ., 4 aprile 2018, n. 11481), in altri — più cautamente e, a nostro avviso, opportunamente — di opposizione ex artt. art. 2 e 19 d.lgs. n. 546/1992 (Cass. civ., 20 aprile 2018, n. 9833; in questo senso di recente v. Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2020, n. 7822, sul cui esame si tornerà funditus appresso).

Ma se effettivamente si tratta di una impugnazione differita innanzi alle commissioni tributarie, i termini per proporla dovrebbero, a rigore, essere quelli previsti per la tutela d'annullamento esperibile innanzi a tale giudice, senza esclusione della sospensione feriale; nel mentre non è agevole conciliare la qualificazione sopra proposta con la natura bifasica delle opposizioni esecutive.

In ogni caso, la giurisprudenza delle Sezioni Unite (recentemente ribadita, come anticipato e come meglio si dirà) appare inappagante – a sommesso avviso di chi scrive - anche sotto il profilo della effettività della tutela.

Pur volendo considerare che si tratti di ius receptum, laddove il debitore abbia adito erroneamente il giudice ordinario, siccome i provvedimenti sulla giurisdizione sono adottati con sentenza (art. 279 comma 2 n. 1 c.p.c.), il giudice dell'esecuzione innanzi al quale si svolge la (necessaria) fase sommaria dell'opposizione dovrà: 1) rigettare l'istanza cautelare, perché prima facie non è munito di giurisdizione in relazione alla domanda; 2) assegnare alla parte il termine per l'introduzione del giudizio di merito, all'esito del quale (con sentenza) sarà declinata la giurisdizione; 3) solo successivamente l'azione potrà essere riassunta innanzi al giudice munito di giurisdizione ma, a questo punto, ben si potrebbe ipotizzare che l'esecuzione abbia già avuto corso (come nell'ipotesi in cui, all'ordine diretto di pagamento ex art. 72-bis cit. sia effettivamente seguito il pagamento da parte del terzo) con conseguente vanificazione della possibilità di ottenere la tutela cautelare.

(… segue) e l'opposizione all'esecuzione, con particolare riferimento alla sentenza Corte cost., 30 maggio 2018, n. 114

Con riguardo all'opposizione all'esecuzione, invece, si deve registrare un epocale arresto della Corte costituzionale che, facendo propri alcuni argomenti già messi in luce dalla dottrina (Scala, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, in Rass. Trib., 2008, 1299; Longo, in Commentario Consolo-Glendi, Padova, 2012, 1009), ha inciso sull'art. 57 d.p.r. n. 602/1973, dichiarandone l'incostituzionalità «nella parte in cui non prevede che, nelle controversie che riguardano gli atti dell'esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento o all'avviso di cui all'art. 50 del d.p.r. n. 602/1973, sono ammesse le opposizioni regolate dall' .» (in dottrina, v. Longo, La Corte costituzionale ridisegna il confine tra ricorso al giudice tributario e opposizione all'esecuzione, in Giusto proc. civ., 2018, 1065).

Più in dettaglio, secondo la Corte, diversamente da quanto accade relativamente all'opposizione agli atti esecutivi (v. supra), per quella diretta a far valere fatti estintivi (o modificativi o impeditivi) del diritto di procedere in via esecutiva la inammissibilità di cui all' art. 57 cit. si traduce in una «carenza di tutela giurisdizionale» non altrimenti recuperabile.

Difatti, questa «carenza di tutela giurisdizionale [non] sarebbe colmabile con la possibilità dell'opposizione agli atti esecutivi laddove la contestazione della legittimità della riscossione non si limiti alla regolarità formale del titolo esecutivo o degli atti della procedura. Una dilatazione dell'ambito di applicazione di tale rimedio processuale lascerebbe comunque un'ingiustificata limitazione di tutela giurisdizionale se non altro in ragione dell'esistenza di un termine di decadenza per la proponibilità dell'azione, che invece non è previsto in caso di opposizione all'esecuzione».

Ciò porta la Corte costituzionale a ritenere che «la pur marcata peculiarità dei crediti tributari [...] non è però tale da giustificare che, nelle ipotesi in cui il contribuente contesti il diritto di procedere a riscossione coattiva e sussista la giurisdizione del giudice ordinario, non vi sia una risposta di giustizia se non dopo la chiusura della procedura di riscossione ed in termini meramente risarcitori», con conseguente frontale contrasto con gli artt. 24 e 113 Cost.

A tali conclusioni il Giudice delle leggi è pervenuto sulla scorta di un ragionamento che può essere così sintetizzato:

- l'art. 2 d.lgs. n. 546/1992 ha fissato la linea di confine tra le giurisdizioni nella cartella e nell'eventuale successivo avviso di mora, nel senso che «fino a questo limite la cognizione degli atti dell'amministrazione, espressione del potere di imposizione fiscale, è devoluta alla giurisdizione del giudice tributario; a valle, la giurisdizione spetta al giudice ordinario e segnatamente al giudice dell'esecuzione»;

- per quanto quello sopra indicato sia un criterio di riparto della giurisdizione, «la sommatoria della tutela innanzi al giudice tributario e di quella innanzi al giudice (ordinario) dell'esecuzione deve realizzare per il contribuente una garanzia giurisdizionale a tutto tondo»;

- che tale tutela complementare ricomprende anche il potere cautelare di sospensione della riscossione, che il giudice tributario esercita ai sensi dell'art. 47 d.lgs. n. 546/1992 e il giudice ordinario (nella specie il giudice dell'esecuzione) ai sensi dell'art. 60 d.p.r. n. 602/1973.

(…segue) la giurisprudenza successiva

Successivamente all'importante presa di posizione della Corte costituzionale, il dibattito si è polarizzato intorno alla necessità di stabilire quali fatti estintivi della pretesa del creditore si pongono – per utilizzare le stesse parole del Giudice delle leggi – «a monte» del discrimen tra le giurisdizioni o «a valle» dello stesso, e cioè, in altri termini, quali di questi fatti vadano dedotti in sede di impugnazione innanzi al giudice tributario e quali in sede di opposizione all'esecuzione innanzi al giudice ordinario.

La dottrina (Longo, op. ult. cit.; Auletta, Pignoramento ex art. 72-bis d.p.r. n. 602/1973 e strumenti di tutela alla luce della più recente giurisprudenza, in www.inexecutivis.it) ha ritenuto che vadano dedotti innanzi al giudice ordinario (non potendo più essere utilmente fatti valere innanzi al giudice tributario):

1) la intervenuta sospensione o dell'esecuzione a seguito di provvedimento giudiziale ex art. 47 d.lgs. n. 546/1992;

2) la contestazione della direzione in concreto assunta dall'azione esecutiva (si immagini il caso in cui l'opponente sia il terzo datore di ipoteca ovvero il soggetto esecutato in virtù della sua contestata qualità di erede del debitore);

3) la violazione del beneficium excussionis da parte del socio (sul punto si rileva una certa oscillazione giurisprudenziale: nel senso che tale profilo andrebbe dedotto innanzi alle commissioni tributarie, v. Cass. civ., 27 febbraio 2017, n. 4959, nonché — più di recente, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale — Cass. civ., 27 settembre 2018, n. 23260);

4) il maturare della prescrizione.

Con riferimento specifico alla prescrizione, data anche la frequenza dei casi in cui il maturare della stessa sia eccepito dal debitore, va segnalato che la giurisprudenza, sia di merito che di legittimità (salvo quanto si dirà in appresso a proposito della più recente pronuncia in materia delle Sezioni Unite) [Cass. civ., sez. un., 14 aprile 2020, n. 7822], ha evidenziato, dopo l'epocale arresto del Giudice delle leggi, che:

- se la prescrizione è maturata prima della notifica della cartella di pagamento o (quando sia necessario) dell'avviso di mora, la stessa andrà eccepita innanzi al giudice tributario, in sede di impugnazione del primo atto successivo (la cartella o l'avviso di mora);

- se la prescrizione è maturata dopo la notifica della cartella di pagamento o (quando sia necessario) dell'avviso di mora, la stessa andrà eccepita innanzi al giudice ordinario, in sede di opposizione all'esecuzione (quanto alla giurisprudenza di legittimità v. Cass. civ., 7 maggio 2019, n. 11900; nell'ambito di quella di merito: Trib. Napoli Nord, 10 luglio 2018; Trib. Catania, 9 febbraio 2019; Trib. Napoli Nord, 22 marzo 2019).

In tal senso conduce, una lettura sistematica degli artt. 2 e 19 d.lgs. n. 546/1992 e 57 d.p.r. n. 602/1973, come risultante all'esito della pronuncia manipolativa della Corte costituzionale più volte ricordata; lettura sistematica condotta tenendo essenzialmente conto della ratio decidendi sottesa al ridetto pronunciamento e imperniata sulla necessità di stabilire, tra la giurisdizione tributaria e quella ordinaria, una relazione di complementarietà necessaria, tale per cui andranno dedotti innanzi al giudice ordinario tutti i fatti estintivi che, per essere maturati «a valle» della linea di demarcazione tra le giurisdizioni, non sono conoscibili dal giudice tributario.

La posizione delle Sezioni Unite della Corte di cassazione (sentenza 14 aprile 2020, n. 7822)

Di recente, sull'intricata materia è intervenuta una complessa pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di cassazione che, per un verso, si colloca in termini di continuità con gli orientamenti seguiti dalla medesima Corte a proposito dell'opposizione per vizi formali, e che, per altro verso, introduce ulteriori distinzioni (a nostro avviso non del tutto in linea con la lettura sistematica fornita dalla Corte costituzionale) a proposito dell'opposizione «di merito».

Relativamente al primo profilo, le Sezioni Unite affermano clare: a) che va data continuità alla giurisprudenza secondo cui, laddove vengano in rilievo crediti di natura tributaria e sia dedotta, in sede di impugnazione del pignoramento (sulla cui qualificazione v. infra), la mancata notifica di atti presupposti (come tali impugnabili, ove conosciuti, innanzi alla commissione tributaria), la giurisdizione appartiene al giudice tributario; b) che tale azione va qualificata ai sensi dell'art. 19 comma 3 d.lgs. n. 546 del 1992 e non ai sensi dell' art. 617 c.p.c. (questione che rileva sia per la individuazione del termine di decadenza che per quanto concerne l'applicazione della sospensione feriale dei termini, esclusa con riferimento esclusivo alle opposizioni agli atti esecutivi).

Relativamente al secondo profilo, la Suprema Corte muove dall'esame sistematico degli artt. 2 e 19 d.lgs. n. 546/1992 da cui potevano già evincersi (sembrerebbe di capire: anche prima della pronuncia della Corte costituzionale) i seguenti principi: a) appartengono alla giurisdizione tributaria: 1) le controversie inerenti a profili formali; 2) le controversie inerenti a «fatti costitutivi, modificativi o impeditivi della pretesa tributaria in senso sostanziale ove però manifestatisi fino alla notificazione della cartella o dell'intimazione di pagamento (…) se validamente avvenute e fino allo stesso atto esecutivo, se quella notificazione fosse mancata o fosse avvenuta in modo inesistente o invalido»; b) appartengono alla giurisdizione ordinaria: 1) le questioni inerenti alla forma dell'atto esecutivo; 2) le questioni inerenti «a fatti incidenti sulla pretesa sostanziale tributaria azionata in executivis successivi alla valida notifica della cartella di pagamento o dell'intimazione, o, è da precisare (...), successivi all'atto esecutivo che avesse assunto la funzione di mezzo di conoscenza della cartella o dell'intimazione ;», purché tali fatti fossero conseguenti “ad una valida notifica della cartella o dell'intimazione, non contestate come tali (restando, come si è detto, in caso contrario attribuita alla giurisdizione tributaria la relativa cognizione)».

Secondo le Sezioni Unite, tale perimetrazione del confine tra le giurisdizioni - riconducibile alla «contemplazione della sola norma dell'art. 2 del d.lgs. n. 546/1992» - portava ad escludere che i rimedi attivabili innanzi ai diversi plessi giurisdizionali fossero in qualche misura sovrapponibili e ciò onde evitare «qualsiasi possibilità che le due giurisdizioni potessero decidere con efficacia di giudicato le medesime questioni».

In questa prospettiva, «la proclamazione dell'art. 57 si sarebbe potuta intendere come relativa alla sola preclusione del rimedio dell'opposizione ex art. 615 c.p.c. per contestare la pretesa contenuta nel titolo esecutivo e manifestata con la cartella o l'intimazione validamente notificata oppure, nel caso di mancanza, inesistenza o nullità della loro notificazione, con il primo atto esecutivo, in quanto tali contestazioni erano e sono riservate alla giurisdizione tributaria».

Tuttavia, proseguono le Sezioni Unite, la impossibilità di una simile lettura dell'art. 57 cit. «è stata condivisa dalla Corte costituzionale con la recente sentenza n. 114/2018».

La Suprema Corte, pertanto, passa all'esame delle implicazioni di tale pronuncia, sebbene alla luce delle premesse sopra svolte, affermando che il fatto estintivo deducibile in sede di opposizione all'esecuzione deve rilevare di per sé, cioè a prescindere dalla necessità di un esame dei profili afferenti alla notifica della cartella (o dell'avviso di mora).

E così:

- se il fatto estintivo è venuto in rilievo prima della notifica della cartella, dello stesso deve occuparsi il giudice tributario (in ciò la pronuncia appare perfettamente in linea con il quadro risultante a seguito della pronuncia della Corte costituzionale);

- se il fatto estintivo è venuto in rilievo dopo la notifica della cartella, dello stesso deve occuparsi il giudice ordinario, sempreché per eccepire il fatto estintivo il debitore non debba assumere come rilevante la mancanza, l'inesistenza o la nullità della notifica della cartella di pagamento.

Quest'ultima specificazione è assai rilevante, in quanto – a noi pare - conducente ad un risultato interpretativo diverso da quello desumibile dall'architettura concettuale alla base della decisione del Giudice delle leggi, sopra commentata.

L'esempio paradigmatico è quello della prescrizione.

Proprio riguardo a tale aspetto, le Sezioni Unite precisano che «se essa [la prescrizione, n.d.s.] si assume verificata perché la notifica della cartella o dell'intimazione mancò, fu nulla o fu eseguita in modo esistente e, quindi, non si poté verificare un effetto interruttivo del corso della prescrizione, il preteso fatto estintivo ‘prescrizione' suppone, per essere apprezzato, l'accertamento di detti vizi della notifica e, quindi, si risolve in una censura il cui esame risulta riservato alla giurisdizione tributaria tramite l'impugnazione della cartella o dell'intimazione, in quanto conosciute per il tramite ed in forza dell'atto esecutivo che ne rivela l'esistenza».

In questa evenienza, la conseguenza è drastica: l'opposizione ai sensi dell'art. 615 c.p.c. non è data .

Altrimenti detto, e per sintetizzare, per la Corte di Cassazione a Sezioni Unite, laddove il primo atto conosciuto sia costituito dal pignoramento, la prescrizione dovrebbe (almeno nella stragrande maggioranza dei casi) essere sempre dedotta innanzi al G.T., poiché la deduzione di tale fatto estintivo normalmente si accompagna all'affermazione che non vi è stata la notifica della cartella che qui rileverebbe come fatto interruttivo.

Questa affermazione sembra porsi in contrasto con altro recente arresto delle stesse Sezioni Unite, che, nella peculiare materia dell'accertamento dello stato passivo, ha affermato che «qualora (...) il curatore eccepisca la prescrizione del credito tributario maturata successivamente alla notificazione della cartella di pagamento, che segna il consolidamento della pretesa fiscale e l'esaurimento del potere impositivo, viene in essere un fatto estintivo dell'obbligazione tributaria di cui deve conoscere il giudice delegato in sede di verifica dei crediti e il tribunale in sede di opposizione allo stato passivo e di insinuazione tardiva, e non il giudice tributario» (Cass. civ., sez. un., 24 dicembre 2019, n. 34447); nonché con la giurisprudenza di legittimità e di merito successive alla pronuncia della Corte costituzionale prima esaminata (v. supra).

Oltre alla divisata discontinuità con la pregressa giurisprudenza, vi sono ulteriori profili che rendono problematica l'applicazione delle regole di riparto della giurisdizione sopra individuate:

1) l'accertamento in relazione alla circostanza che una notifica sia mancata o sia stata fatta in modo inesistente o viziato potrebbe esser condotto dal giudice anche incidenter tantum.

Sono le stesse Sezioni Unite, a evidenziare che «la conclamata esistenza di due giurisdizioni con un confine individuato con riferimento ad un certo momento di vita della pretesa tributaria, sebbene variabile in ragione della realizzazione o meno in modo valido della notifica della cartella o dell'intimazione di pagamento, esclude qualsiasi possibilità che le due giurisdizioni potessero decidere con efficacia di giudicato le medesime questioni».

Proprio questa premessa (che appare poi disattesa nel successivo sviluppo della motivazione) avrebbe consentito di ritenere non precluso al giudice ordinario l'accertamento della ritualità della notifica, laddove (come nel caso della prescrizione) lo stesso sia effettuato senza efficacia di giudicato;

2) che la circostanza che la notifica sia avvenuta o meno (ai fini della prescrizione) ben può trovare ingresso nel processo a seguito delle difese svolte dall'opposto.

Si immagini il caso in cui il ricorrente si limiti a dedurre genericamente la prescrizione e l'opposto alleghi la intervenuta notifica della cartella come fatto interruttivo della prescrizione.

In questo caso, evidentemente, si darebbe la stura ad una asimmetria tra due vicende processuali vertenti sul medesimo oggetto, solo in considerazione della circostanza che un determinato fatto sia stato dedotto da una parte piuttosto che da un'altra.

Infine, secondo le Sezioni Unite, laddove venga fatto valere, innanzi al giudice ordinario, un fatto estintivo rilevante di per sé, che andava eccepito innanzi al giudice tributario, occorre concludere nel senso che «la domanda ex art. 617 o 615 c.p.c. risulta solo manifestamente infondata in iure sulla base della sua stessa prospettazione», con conseguente esclusione della translatio la quale «non sarebbe giustificata perché, quando risulta compiuto un atto esecutivo, la controversia appartiene alla giurisdizione tributaria se esso costituisce (...) l'occasione per impugnare per ragioni formali o sostanziali la pretesa tributaria siccome espressa negli atti preesecutivi che si assumono non conosciuti».

Tale assunto, in primo luogo, sembra collidere con la constatazione che, per poter dichiarare inammissibile una opposizione, il giudice investito della stessa deve, prioritariamente, considerarsi fornito di giurisdizione; in secondo luogo, appare arduo sostenere che il giudice investito della causa debba, prima di deciderla (dichiarandola inammissibile), effettuare l'accertamento della insussistenza della giurisdizione tributaria (cioè di un altro giudice) sul punto.

Riferimenti

  • Auletta, Pignoramento esattoriale, in De Stefano-Giordano, a cura di, Il pignoramento nel suo aspetto pratico, Milano, 2020, 785 e ss.;
  • Auletta, Pignoramento ex art. 72-bis, d.P.R. n. 602 del 1973 e strumenti di tutela alla luce della più recente giurisprudenza, in www.inexecutivis.it;
  • Basilavecchia, Riscossione delle imposte, in Enc. Dir., Milano, 1989, XL, 1179;
  • Carinci, La Consulta rimuove il divieto all'opposizione all'esecuzione: cade una (altra) specialità dell'esecuzione esattoriale, in Fisco, 2018, 27, 2642
  • Costantino, Le esecuzioni forzate speciali. Lineamenti generali, Milano, 1984
  • Glendi, Disorientamenti giurisprudenziali al vertice sull'opposizione agli atti esecutivi, in Corr. Giur., 2018, 5, 677 e ss.;
  • Glendi, Le Sezioni Unite della Corte di cassazione “stravolgono” i confini tra giurisdizione tributaria e giurisdizione ordinaria sul versante dell'esecuzione forzata, in Gazz. trib. — Riv. Giur. Trib., 2017, 10, 762 e ss.;
  • Glendi, Natura giuridica dell'esecuzione forzata tributaria, in Dir. Prat. Trib., 1992, I, 2240;
  • Longo, in Commentario Consolo-Glendi, Padova, 2012, 1009;
  • Longo, La Corte costituzionale ridisegna il confine tra ricorso al giudice tributario e opposizione all'esecuzione, in Giusto proc. civ., 2018, 1065;
  • Renda, Il sistema delle tutele giurisdizionali nella fase della riscossione esattoriale (commento all'art. 57, d.P.R. 29.9.1973, n. 602), in Arieta-De Santis-Didone (a cura di), Codice commentato delle esecuzioni civili, Torino, 2016, 193;
  • Scala, La tutela del contribuente nella riscossione coattiva, in Rass. Trib., 2008, 1299
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