La qualificazione di amministratore di fatto

28 Dicembre 2020

Per individuare un soggetto come amministratore di fatto, è necessario provare l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, ancorchè non di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, o quantomeno l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.
Massima

Per individuare un soggetto come amministratore di fatto, è necessario provare l'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica o alla funzione, ancorchè non di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, o quantomeno l'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale.

Il caso

La Corte di Cassazione Penale, con la sentenza in commento, ha chiarito in presenza di quali presupposti è possibile individuare l'amministratore di fatto di una società.

Nel caso di specie, la Corte d'appello, in riforma della pronuncia di primo grado, aveva condannato l'imputato per i reati di frode fiscale continuata e bancarotta fraudolenta patrimoniale commessi nella gestione di una Srl, fallita nel corso del 2014.

la Corte territoriale aveva ritenuto l'imputato responsabile dei reati contestatigli in qualità di amministratore di fatto della fallita in relazione alla distrazione di materiali e servizi dalla stessa acquistati e fatturati in favore di ditta individuale a lui intestata.

Avverso la sentenza l'imputato ricorreva quindi per cassazione, deducendo, per quanto di interesse, il difetto della specifica confutazione, in violazione dell'obbligo di motivazione, delle argomentazioni già esposte dal giudice di primo grado per escludere in capo all'imputato la qualifica di amministratore di fatto, desunta dalla Corte territoriale in maniera apodittica, in ragione della mera contabilizzazione a carico della società dei beni e servizi asseritamente destinati ai cantieri della sua ditta individuale.

La questione

All'imputato era stata contestata la responsabilità per i reati di frode fiscale continuata e bancarotta, nella sua qualità di amministratore di fatto, in concorso con la moglie, amministratrice di diritto della società.

Il giudice di primo grado aveva ritenuto non essere stata provata però tale qualifica, assolvendo pertanto l'imputato.

Nel ribaltare il verdetto di primo grado, la Corte territoriale - benchè sollecitata dal pubblico ministero nell'atto d'appello a non limitarsi esclusivamente a verificare l'attribuibilità all'imputato della qualifica di amministratore di fatto della fallita, ben potendo egli rispondere dei reati contestatigli anche in qualità di concorrente extraneus - si era concentrata esclusivamente sulla prova della stessa qualifica, ritenendo raggiunta la prova dello stabile coinvolgimento dell'imputato nella gestione della società

e, conseguentemente, la sua responsabilità concorsuale in qualità di intraneus nella commissione dei delitti per cui si procedeva.

Conclusione che, come denunciato dal ricorrente, non era stata sostenuta da idonea motivazione, non essendosi i giudici d'appello fatti carico dell'obbligo di confutare gli argomenti posti alla base della decisione riformata.

Le soluzioni giuridiche

Secondo la Suprema Corte il ricorso era fondato.

Affermano infatti i giudici di legittimità che la sentenza impugnata si limitava a richiamare apoditticamente le dichiarazioni del curatore fallimentare e l'informativa dell'Agenzia delle Dogane, senza tenere però conto della argomentata svalutazione operata dal G.u.p. delle conclusioni raggiunte, tanto dal primo, quanto dalla seconda, soprattutto in riferimento all'irrilevanza, stante la struttura della società, dei ruoli "operativi" svolti dall'imputato.

La Corte territoriale aveva altresì enfatizzato il fatto che l'imputato fosse stato l'effettivo destinatario delle operazioni soggettivamente inesistenti e della distrazione, omettendo però di spiegare le ragioni per cui tale circostanza, nel contesto dato, sarebbe stata di per sé sintomatica dell'esercizio in modo continuativo e significativo dei poteri tipici inerenti alla qualifica od alla funzione, ancorchè non di tutti i poteri propri dell'organo di gestione, ma quantomeno dell'esercizio di un'apprezzabile attività gestoria, svolta in modo non episodico o occasionale, in grado di giustificare l'attribuzione della qualifica di amministratore di fatto (ex multis Sez. 5, Cass., n. 35346 del 20/06/2013).

In altri termini, rilevava la Cassazione, non era in dubbio che l'essere stato l'imputato - come detto coniuge dell'amministratore di diritto - il destinatario dei beni oggetto delle imputazioni poteva essere valorizzato come indice del suo coinvolgimento quale concorrente nella consumazione dei reati addebitatigli, ma ciò non era comunque in grado, di per sé, di esaurire la prova dell'assunzione della qualifica dalla quale i giudici del merito avevano poi fatto dipendere l'affermazione della sua responsabilità per i reati contestati.

Osservazioni

A prescindere dalla specifica fattispecie, relativa, come visto alla prova delle responsabilità penali dell'amministratore di fatto, giova anche evidenziare qualche osservazione in tema di responsabilità per le sanzioni amministrative.

L'amministratore di fatto, a determinate condizioni, risponde infatti, in solido con la società delle sanzioni amministrative pecuniarie conseguenti alle violazioni tributarie accertate a carico della stessa società.

Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario sono infatti, in generale, esclusivamente a carico della persona giuridica, anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, ma tale principio non può però ritenersi operante anche nell'ipotesi di società artificiosamente costituita, dovendo comunque sussistere una differenza tra trasgressore e contribuente, non presente nel caso in cui la persona fisica sia esclusivo beneficiario delle violazioni contestate (cfr., Cass., Ord., n. 1904 del 28/01/2020).

Il principio secondo cui «Le sanzioni amministrative relative al rapporto tributario proprio di società o enti con personalità giuridica, ex art. 7 del d.l. n. 269 del 2003 (conv. con modif. in L. n. 326 del 2003), sono esclusivamente a carico della persona giuridica anche quando sia gestita da un amministratore di fatto, non potendosi fondare un eventuale concorso di quest'ultimo nella violazione fiscale sul disposto di cui all'art. 9 del d.lgs. n. 472 del 1997, che non può costituire deroga al predetto art. 7, ad esso successivo, che invece prevede l'applicabilità delle disposizioni del d.lgs. n. 472 ma solo in quanto compatibili» (Cass., Sez. 5, Ordinanza n. 25284 del 25/10/2017) non può dunque ritenersi operante anche nell'ipotesi di società artificiosamente costituita.

Il citato art. 7 intende infatti regolamentare le ipotesi in cui vi sia una differenza tra trasgressore e contribuente, e, in particolare, l'ipotesi di un amministratore di una persona giuridica che, in forza del proprio mandato, compie violazioni nell'interesse della persona giuridica medesima, ma non nel caso in cui la persona fisica sia esclusivo beneficiario delle violazioni contestate, nel qual caso «non sussiste detta differenza, atteso che quest'ultimo è, al tempo stesso, trasgressore e contribuente, e la persona giuridica è una mera fictio, creata nell'esclusivo interesse della persona fisica» (Cass., n. 19716 del 2013; conf., Cass., n. 5924 del 2017, e Cass., Ordinanza n. 10975 del 18/04/2019).

Un'ultima osservazione, infine, in tema di individuazione della qualità di amministratore di fatto, oggetto specifico anche della sentenza in commento.

Secondo la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. n. 18924 del 20.01.2017), determina in ogni caso la condizione di amministratore di fatto l'atteggiarsi come referente dell'ente nei momenti decisivi e operativi della vita della compagine sociale, anche considerato che la prova per presunzioni può essere raggiunta anche grazie ad un solo elemento, se lo stesso sia ritenuto attendibile alla luce del complessivo compendio probatorio (cfr. Cass. n. 21619 del 23.10.2015).

Tale solo elemento, del resto, ben può essere rappresentato anche dalle dichiarazioni del prestanome (il formale legale rappresentante) che, per scagionarsi, riveli l'identità dell'amministratore di fatto, non essendo ex se inattendibili le dichiarazioni che svelano il vero "dominus" della società.

Ciò che dunque in questi casi rileva è la circostanza che il titolare di fatto abbia svolto un'attività gestoria.

La rilevanza probatoria degli elementi presuntivi si atteggerà però diversamente a seconda che sia da provare la responsabilità penale o amministrativa dello stesso soggetto.

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