Violazione dell'obbligo di disclosure e deficit informativo: tutto ciò che non dovrebbe accadere nel concordato

29 Dicembre 2020

Sussiste la legittimazione a proporre opposizione all'omologazione del concordato preventivo ex art. 180 l. fall. anche qualora il creditore sia titolare di un credito di percentuale inferiore al quorum deliberativo, essendo all'uopo sufficiente che si tratti di soggetto dissenziente.
Massima

Sussiste la legittimazione a proporre opposizione all'omologazione del concordato preventivo ex art. 180 l. fall. anche qualora il creditore sia titolare di un credito di percentuale inferiore al quorum deliberativo, essendo all'uopo sufficiente che si tratti di soggetto dissenziente.

In sede di concordato preventivo tutti i creditori, affinché possano consapevolmente esprimersi sulla proposta, hanno diritto di essere adeguatamente informati sulle modalità di amministrazione della società e sugli eventuali illeciti commessi dagli amministratori.

La disclosure da parte del debitore deve essere compiuta in modo chiaro e completo; all'uopo, il ricorso e l'attestazione devono contenere un'esposizione completa delle vicende della società, delle cause del dissesto e della condotta degli amministratori, senza che il debitore possa selezionare i fatti da comunicare e sostituirsi ai creditori nella loro valutazione.

L'art. 186, comma 2, lett. b), l. fall., nel prevedere che la relazione del professionista deve attestare che la prosecuzione dell'attività di impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori non riduce il termine di confronto al fallimento, sicché l'attestatore deve prendere in considerazione tutte le alternative concretamente possibili al concordato con continuità aziendale.

Il caso

Contro l'omologazione di una proposta concordataria approvata ad ampia maggioranza, proponevano opposizione taluni creditori, facendo valere differenti motivi di contestazione.

Da un lato, si lamentavano plurime e rilevanti carenze informative sia nella domanda di accesso alla procedura, e relativo corredo documentale obbligatorio, e sia nella relazione ex art. 172 l. fall., tali non solo da integrare la fattispecie di cui all'art. 173 l. fall., ma pure da condizionare l'esercizio del voto e dunque, più in generale, la legittimità della procedura.

Gli altri opponenti si dolevano invece della collocazione delle proprie ragioni di credito.

Tutte le opposizioni venivano rigettate dal Tribunale di Treviso, secondo il quale le pur rilevate lacune informative dovevano ritenersi insignificanti, anche alla stregua della giurisprudenza formatasi a seguito delle modifiche apportate all'istituto, dal momento che le principali operazioni oggetto di censura figuravano menzionate, nei loro elementi essenziali, in seno alla domanda ed alla relazione di attestazione, né i commissari giudiziali avevano sollevato riserve.

Il concordato preventivo veniva così omologato, con esemplare condanna al pagamento delle spese di soccombenza e, nei confronti di un impugnante, al risarcimento del danno per responsabilità processuale.

Gli opponenti proponevano reclamo davanti alla Corte d'Appello di Venezia, reiterando le argomentazioni già svolte e contestando le motivazioni poste a fondamento del decreto di omologa.

Per le ragioni sinteticamente riassunte nella massima, e che verranno di seguito illustrate, la Corte d'Appello accoglieva tutti i motivi di reclamo vertenti sulle carenze informative che avevano caratterizzato l'iniziativa concordataria, riteneva ammissibili ancorché infondati i restanti gravami e rigettava pertanto la domanda di concordato, con le inerenti statuizioni in ordine al pagamento delle spese processuali ed alla (riformata) condanna per lite temeraria.

Le questioni giuridiche

Nella vicenda di cui al provvedimento annotato, che si contraddistingue certamente per l'entità e la gravità delle condotte denunciate dai reclamanti e sanzionate dalla Corte d'Appello di Venezia, ma soprattutto per la straordinaria difformità delle decisioni assunte dai giudici di merito, non si pongono questioni giuridiche contrastanti, o che in passato abbiano formato oggetto di differenti orientamenti giurisprudenziali.

Come si evince anche dai precedenti citati, non constano infatti arresti di segno opposto in ordine alla nozione ed alla rilevanza degli atti di frode nell'ambito della procedura concordataria.

Ciò che caratterizza la fattispecie, piuttosto, è la diversità di lettura delle medesime circostanze, se non la sensibilità stessa rispetto alle situazioni emerse, che hanno informato le decisioni.

Ed invero, il percorso motivazionale attraverso il quale il Tribunale di Treviso aveva respinto le opposizione prende le mosse dai condivisi, ed ormai consolidati, principi elaborati dalla giurisprudenza di legittimità successivamente alle riforme che hanno interessato l'istituto concordatario ed in particolare, per quanto qui rileva, a proposito del requisito soggettivo e della attitudine degli atti di frode, laddove accertati (o comunque emersi successivamente alla ammissione), non solo a provocare di per sé l'arresto della procedura, ma anche a condizionare l'esercizio consapevole ed informato del diritto di voto.

Ci si riferisce, più precisamente, alla valenza decettiva, sotto il profilo testé indicato, della rappresentazione offerta con la domanda di concordato e la documentazione che necessariamente la accompagna, in relazione tanto ai fatti occultati, e poi accertati dal commissario giudiziale, quanto alla loro parziale, se non fuorviante o maliziosa, esposizione.

Per comune insegnamento giurisprudenziale, infatti, una tale condotta integra la fattispecie di cui all'art. 173 l. fall., quantomeno nella clausola generale che sanziona “gli altri atti di frode”, perché suscettibile di pregiudicare il consenso informato dei creditori sulla proposta concordataria e sulla sua convenienza (in termini, tra le altre, Cass. 26 giugno 2018, n. 16856; Cass. 29 luglio 2014, n. 17191; Cass. 18 aprile 2014, n. 9050; App. Torino, 19 settembre 2019).

In giurisprudenza è ugualmente diffusa l'affermazione secondo cui, qualora gli atti di frode vengano individuati ed accertati dal commissario giudiziale, la violazione dell'obbligo di ‘disclosure' da parte del debitore sussiste in re ipsa, essendo evidente l'occultamento (ovvero la falsa o lacunosa rappresentazione) nel ricorso, e nella documentazione ad esso allegata, dei fatti contemplati dall'art. 173 l. fall. (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25165; Cass. 26 giugno 2014, n. 14552).

Va da sé peraltro che, laddove l'organo commissariale ometta di rilevare le condotte e di compiere gli accertamenti e gli approfondimenti ad esso demandati, ciò non comporta ovviamente l'assenza di atti di frode nella accezione sopra indicata.

In altri termini, se è pacifico che la scoperta di una condotta sanzionabile ex art. 173 l. fall. da parte del commissario giudiziale presuppone che non sia stata menzionata negli atti del ricorrente, non è altrettanto scontato che, laddove gli accertamenti difettino, debba escludersi l'esistenza degli atti di frode.

Proprio la malintesa interpretazione degli arresti dianzi riportati ha contribuito a determinare la difformità delle due decisioni, giacché il Tribunale di Treviso ha ritenuto che le condotte e le omissioni segnalate non avessero compromesso l'esercizio consapevole del voto, prestando affidamento alle relazioni dell'attestatore e dei commissari giudiziali (che poco o nulla avevano eccepito in ordine alle operazioni oggetto di puntuale doglianza), mentre la Corte d'Appello, censurando a più riprese il comportamento e le conclusioni di questi ultimi, ha ravvisato la natura gravemente decettiva, se non apertamente fraudolenta, dell'iniziativa concordataria.

Altra questione diversamente risolta, sulla quale non si rinvengono precedenti di segno opposto, ma che risulta di grande interesse per gli operatori, riguarda il contenuto (recte, la profondità) e le modalità con le quali deve essere assolto l'obbligo di ‘disclosure' in capo al debitore.

Ad avviso del Tribunale di Treviso, infatti, è sufficiente che il debitore fornisca i dati che consentono di inquadrare i fatti, senza essere tenuto ad esporre anche le conseguenze di carattere giuridico ed economico delle condotte che hanno preceduto l'accesso alla procedura concorsuale.

Di tutt'altra opinione è stata la Corte d'Appello di Venezia la quale, incalzata dalle incisive allegazioni delle reclamanti, ha viceversa affermato non solo che la ‘disclosure' deve avvenire in modo chiaro e completo, ma pure che l'adeguatezza del corredo informativo, a cominciare dalla relazione di attestazione, si misura attraverso la capacità di risultare apprezzabile e comprensibile dalla generalità dei creditori (del tutto conforme Cass. 8 novembre 2017, n. 26429, secondo cui “rientrano tra gli atti di frode rilevanti ai fini della revoca dell'ammissione alla procedura di concordato preventivo anche i fatti non adeguatamente e compiutamente esposti in sede di proposta concordataria o nei suoi allegati, indipendentemente dal voto espresso dai creditori in adunanza e, quindi, anche ove questi ultimi siano stati resi edotti di quell'accertamento; anche la inserzione formale di singole operazioni in contabilità, nonché la loro conversione in atti diversamente apprezzabili nella procedura liquidatoria alternativa, se non riprese ed adeguatamente illustrate in sede di ricorso di concordato, allorché il giudice di merito ne riscontri l'obiettiva portata decettiva”).

Sotto questo profilo, va sottolineato che nel caso di specie la ricostruzione delle operazioni denunciate è stata possibile grazie alla conoscenza diretta delle vicende sociali ed alle caratteristiche soggettive delle banche reclamanti le quali, proprio per la loro veste di operatori qualificati, possedevano i mezzi e gli strumenti necessari allo svolgimento delle indagini.

Di qui il deficit informativo ripetutamente censurato dalla corte veneziana.

Altra questione meritevole di segnalazione concerne l'oggetto ed i limiti della attestazione allorquando si versi in ipotesi di concordato con continuità aziendale.

In particolare, il giudice del reclamo ha ritenuto che la disposizione di cui all'art. 186, secondo comma, lett. b), l. fall., a norma della quale la relazione del professionista deve attestare che la prosecuzione dell'attività di impresa è funzionale al miglior soddisfacimento dei creditori, imponga che l'attestatore stesso prenda in considerazione tutte le alternative possibili alla soluzione concordataria avuto riguardo al caso concreto e dunque, nella fattispecie, dovesse estendersi agli scenari prospettabili in conseguenza sia dell'amministrazione straordinaria, sia dell'esercizio provvisorio.

Infine, pur ribadendo il consolidato principio in forza del quale, in ambito concordatario, le questioni attinenti alla collocazione dei crediti sono sottoposte alla cognizione esclusiva del giudice ordinario, la Corte d'Appello di Venezia ha tuttavia affermato, ancora una volta in contrasto con la decisione di prime cure, che laddove la proposta concordataria preveda la suddivisione dei creditori in classi, il Tribunale sia tenuto ad affrontare incidentalmente anche la natura privilegiata o chirografaria delle ragioni sottostanti (si veda Cass. 16 aprile 2018, n. 9378, citata nel provvedimento annotato; conformi Cass. 7 marzo 2017, n. 5689; Cass. 26 luglio 2012, n. 13285).

Osservazioni

Come si è detto, la Corte d'Appello ha ritenuto ampiamente decettiva, sotto molteplici profili, la rappresentazione offerta dalla debitrice con la domanda di accesso alla procedura e la documentazione ad essa allegata.

Sulla sola scorta di quanto si ricava dalla lettura del provvedimento annotato (nel quale figurano però testualmente riportati ampi stralci del ricorso introduttivo e della relazione di attestazione, oltre che degli atti di parte), si deve peraltro osservare che, nella fattispecie, il catalogo delle condotte censurabili degli organi sociali risultava così ampio ed articolato da giustificare, ad avviso dello scrivente, l'applicazione diretta, e non soltanto quale conseguenza della violazione dell'obbligo di ‘disclosure', dell'art. 173 l. fall.

Nello specifico, sono emersi:

- assunzione di debito per finanziamento facente capo alla controllante;

- pagamento alla controllante, nel periodo immediatamente precedente all'accesso alla procedura concorsuale, di crediti postergati ex lege;

- pagamenti preferenziali;

- incasso di crediti già ceduti;

- distribuzione di riserve eseguita allorquando la situazione di crisi appariva già conclamata;

- rinuncia ad ingente credito commerciale in favore della controllante;

- false informazioni agli obbligazionisti.

La gravità di tali condotte, non adeguatamente portate a conoscenza dell'intero ceto creditorio, investe certamente l'operato del professionista che ha attestato il piano concordatario.

Come rimarcato in numerosi passaggi del decreto di accoglimento dei reclami, tuttavia, le molteplici carenze informative coinvolgono anche l'organo commissariale, che non le ha rilevate, ovvero le ha trattate senza il necessario approfondimento.

Richiamato quanto sopra esposto circa l'intensità delle condotte degli amministratori, e ribadito che lo stesso Tribunale di Treviso si era attenuto alle risultanze della relazione di cui all'art. 172 l. fall., occorre osservare che nel caso di specie l'omessa segnalazione non solo ha condizionato l'esercizio consapevole del diritto di voto dei creditori, ma ha interferito altresì con l'omologazione del concordato, poi revocata esclusivamente grazie alla pervicacia delle banche reclamanti.

Sotto questo profilo, è noto che il giudizio di omologazione rappresenta l'ultima sede processuale nella quale gli atti di frode possono essere sanzionati (salvo, naturalmente, che le relative condotte non si traducano in motivi di annullamento, secondo quanto previsto, con elencazione ritenuta tassativa, dall'art. 138 l. fall.).

Mutuando una massima particolarmente aderente e significativa della giurisprudenza di merito (Trib. Novara 14 giugno 2013, in Foro pad. 2013, 484), “il parere del commissario ex art. 180 l.f., quale sviluppo conclusivo della relazione ex art. 172 l.f., deve avere per oggetto la fondatezza della proposta concordataria, lo stato di realizzazione del piano e le prospettive future. In particolare, per non ridursi a un mero ‘doppione' della relazione ex art. 172 l.f., il parere anzidetto deve riguardare gli aspetti successivi all'adunanza dei creditori che possano assumere rilievo ai fini dell'omologazione, gli eventuali fatti rilevanti ex art. 173 l.f. nonché – nel caso di suddivisione in classi – ogni elemento utile per la valutazione dell'eventuale cram down”.

Quanto poi alla funzione informativa, si riporta il seguente arresto della Corte regolatrice (Cass. 25 febbraio 2015, n. 11921), che enfatizza l'importanza della relazione proprio in dipendenza dei profili privatistici che l'istituto concordatario è venuto ad assumere (“la relazione particolareggiata che il commissario giudiziale deve redigere ai sensi dell'art. 172 l.f. costituisce il principale strumento cognitivo posto a disposizione dei creditori ai fini di una consapevole espressione del voto sulla proposta concordataria, la cui importanza risulta fortemente accresciuta, nel sistema vigente, per effetto della sottolineatura dei profili privatistici del concordato, la quale ha comportato un ridimensionamento del sindacato spettante al tribunale in sede di omologazione, in particolare attraverso l'esclusione del potere di controllare la convenienza della proposta. Il contenuto della relazione non può dunque essere limitato all'esposizione degli elementi già offerti dal professionista nominato dal debitore nella relazione di cui all'art. 161, comma 3, della citata legge, della quale costituirebbe altrimenti un inutile duplicato”).

Infine, allargando lo sguardo oltre i rilievi di omessa ‘discovery', pare solo opportuno aggiungere che il commissario giudiziale è sempre tenuto, già in seno alla relazione particolareggiata di cui all'art. 172 l. fall., ad informare i creditori in ordine alle prospettive che scaturiscono dagli scenari alternativi, e dunque in primis dalla liquidazione fallimentare.

Tra esse vanno certamente annoverati i possibili risultati delle azioni revocatorie fallimentari e di quelle aventi ad oggetto la responsabilità degli organi sociali.

A tal fine, e pur con tutte le riserve che si impongono avuto riguardo agli esiti dei giudizi di cognizione, occorre valutare la sussistenza dei presupposti di cui all'art. 67 l. fall. ed accertare preventivamente, qualora siano state rilevate operazioni censurabili, la solvibilità dei componenti degli organi sociali.

Tale onere si traduce in autentico obbligo, in vista del procedimento di omologazione, allorquando la proposta concordataria preveda la suddivisione dei creditori in classi e debba conseguentemente farsi luogo al raffronto previsto dall'art. 180, comma 4, l. fall.

Conclusioni

Per quanto è dato conoscere della vicenda processuale, il provvedimento annotato risulta senz'altro condivisibile e figlio della corretta interpretazione dei principi elaborati dalla giurisprudenza, a proposito degli atti di frode, successivamente al venir meno del requisito di meritevolezza quale condizione per l'accesso alla procedura concordataria.

Anche il capo della decisione avente ad oggetto l'affermato onere del tribunale di verificare, nell'ambito del giudizio di omologazione, i criteri di formazione delle classi, e di inserimento al loro interno dei creditori, appare corretta.

Va da sé che la sede primaria e principale di tale sindacato è rappresentata dal decreto di ammissione alla procedura.

Come s'è anticipato, tuttavia, il giudizio di omologazione costituisce l'ultima occasione nella quale vagliare sotto ogni profilo la legittimità, e la convenienza (nei limitati casi sopra indicati), dell'iniziativa concordataria.

E d'altro canto, il singolo creditore interessato ad una diversa collocazione delle proprie ragioni dispone altro rimedio che proporre, com'è avvenuto nel caso di specie, l'opposizione di cui all'art. 180 l. fall.

Guida all'approfondimento

Oltre ai precedenti citati nel testo, si vedano Cass. 10 ottobre 2019, n. 25458; Cass. 14 giugno 2018, n. 15695; Cass. 14 febbraio 2014; Cass. 15 ottobre 2013, n. 23387.

Tra la vasta letteratura si segnalano la bussola di L. Martino, Atti di frode, in questo portale; A. Penta, Le condotte distrattive poste in essere prima della domanda di ammissione alla procedura di concordato, in Fall. 2014, 1264; F. Rolfi, Sui criteri di formazione delle classi nel concordato preventivo, in Fall. 2018, 1417; G. La Croce, La ‘confessio' salvifica degli atti in frode ai creditori. Un equivoco pericoloso, denso di antinomie, contrasti costituzionali e violazioni Cedu, ivi, 2015, 304.

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