Si vola irlandese, si paga italiano (forse)

04 Gennaio 2021

Esaminate le richieste di copertura assicurativa e previdenziale per il personale di una compagnia aerea irlandese, di stanza in Italia, la Corte di cassazione, attraverso il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea chiede a quest'ultima se...

Esaminate le richieste di copertura assicurativa e previdenziale per il personale di una compagnia aerea irlandese, di stanza in Italia, la Corte di Cassazione, attraverso il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea chiede a quest'ultima se la nozione di «persona occupata prevalentemente nel territorio dello stato membro nel quale risiede» contenuta nell'art. 14 punto 2 lett. a) ii) del Reg. CEE n. 1408/1971 può interpretarsi analogamente a quella di «luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività», contenuta nel Reg. CE n. 44/2001, con riferimento al settore dell'aviazione e del personale di volo.

Questo il contenuto del rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, effettuato con l'ordinanza interlocutoria n. 29236/20, depositata il 21 dicembre, ai sensi dell'art. 295 TFUE.

C'era una volta INPS, INAIL e Ryanair. La controversia ha per oggetto l'obbligo della compagnia aerea irlandese, Ryanair Dac, di assicurare secondo al legislazione italiana i dipendenti (oltre 200) di stanza presso l'aeroporto di Orio al Serio (BG), quale personale viaggiante. I giudizi di merito vedevano agire in giudizio INPS e INAIL, ciascuno per i contributi di propria competenza, ma entrambi compatti nel chiedere l'applicazione della legislazione italiana in quanto legge dello Stato membro in cui i lavoratori effettivamente prestavano la propria attività, con un significativo criterio di prossimità. Il Giudice di merito però aveva ritenuto infondate le pretese degli Istituti, accertando come tutti i dipendenti in esame fossero stati assunti con contratto di lavoro irlandese, gestito in concreto dall'Irlanda, che la prestazione lavorativa si svolgeva in Italia per soli 45 minuti al giorno, essendo il resto dell'attività svolta su aeromobili di nazionalità irlandese. In ogni caso, la compagnia aerea non aveva in Italia né succursali né rappresentanze permanenti che sole avrebbero giustificato l'obbligo assicurativo in Italia.
La Corte di Cassazione approfondisce la questione, cercando di individuare la legislazione di sicurezza sociale applicabile in relazione ai lavoratori dipendenti di società con sede in Irlanda e componenti di equipaggi di voli, anche internazionali, con base di servizio in Italia.

È bene evidenziare sin da ora che l'ordinanza interlocutoria in commento rappresenta un tentativo di interpretazione poiché la stessa è rimessa, tramite rinvio pregiudiziale, alla CGUE.

Il criterio dell'occupazione prevalente. La Suprema Corte prende le mosse dall'art. 14 punto 2 del Reg. CEE n. 1408/1971 che sviluppa due diversi criteri di collegamento tra il personale viaggiante e la legislazione di sicurezza sociale: i) il lavoratore occupato in una succursale o in una rappresentanza permanete di una società che ha sede in uno Stato membro diverso da quello in cui è sita la succursale o la rappresentanza, è soggetto alla legislazione dello Stato membro nel cui territorio tale succursale o tale rappresentanza si trova; ii) il lavoratore prevalentemente occupato nel territorio dello Stato membro in cui risiede è soggetto alla legislazione di tale Stato anche se l'impresa che lo occupa non ha sede, né succursale, né rappresentanza permanente in tale territorio.

Si tratta quindi di verificare altrettante condizioni: i) determinare se Ryanair abbia sede o rappresentanza permanente in Italia, da intendersi come forma di stabilimento (secondario) con carattere di stabilità e continuità, garantito da un'organizzazione di mezzi (materiali ed umani) che resta comunque autonoma rispetto allo stabilimento principale; ii) individuare il luogo in cui il personale viaggiante adempie principalmente ai suoi obblighi, considerato che il personale viaggiante, per definizione e natura, si sposta in continuazione.
Ebbene, diversamente da quanto deciso nei giudizi di merito, la Corte di Cassazione si concentra sul secondo criterio di collegamento, ossia sull'occupazione prevalente avvalorando una serie di circostanze (indici) emersi nei giudizi di merito. In particolare si rileva che, presso l'aeroporto di Orio al Serio, vi era (è) una “base operativa” della compagnia, fissata proprio per gestire ed organizzare, turno per turno, le prestazioni dei lavoratori; tale base era dotata di tutta la strumentazione necessaria per la gestione dell'attività aziendale e del personale (pc, telefoni, scaffalature etc); proprio a tale base tornava il personale temporaneamente non viaggiante per eseguire tutte le operazioni preliminari e successive alla prestazione (e per coordinarsi con il supervisor, che gestiva gli equipaggi organizzandone i turni.

Siffatta organizzazione rende debole il criterio di collegamento della nazionalità dell'aeromobile (avvalorato dai Giudici di merito) e mostra la migliore prossimità del criterio dell'occupazione prevalente, ove per prevalente potrebbe intendersi il luogo in cui si realizzano gli assetti essenziali della prestazione lavorativa: Detto criterio, peraltro, è quello che meglio consentirebbe il controllo degli organi preposti al rispetto delle misure di sicurezza sociale, la loro piena operatività e la migliore fruizione delle prestazioni sociali da parte degli interessati. In altri termini, per stabilire quale sia la legislazione di sicurezza sociale applicabile al personale viaggiante, si potrebbe considerare il luogo ove il lavoratore adempie la parte sostanziale delle proprie obbligazioni nei confronti del datore di lavoro.
La soluzione parrebbe a portata di mano, senonché questa nozione di occupazione prevalente è quella elaborata da giurisprudenza della GCUE in relazione all'art 19 Reg CE n. 44/2001 sulla giurisdizione, riconoscimento ed esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale. Si chiede quindi se è possibile interpretare la nozione di «persona occupata prevalentemente nel territorio dello Stato membro in cui risiede» come quella di «luogo in cui il lavoratore svolge abitualmente la prestazione», rendendo così uniforme l'interpretazione di criterio di collegamento che rappresenta all'ennesima potenza l'UE ed il lavoro al suo interno.

(Fonte: Diritto e Giustisiza)

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