L’importanza dell’indicazione delle fonti consultate

Miriam Marotta
04 Gennaio 2021

In caso di mancato riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria, il giudice di merito è tenuto ad indicare la fonte consultata posta alla base della decisione di diniego, in modo tale da assicurare il rispetto dei requisiti di aggiornamento e precisione di cui all'art. 8 co. 3 d.lgs. n. 25/2008.

È quanto si legge nell'ordinanza n. 29260/20 della prima sezione civile della Corte di cassazione, depositata il 22 dicembre.

Il caso

Il Tribunale e la Corte d'appello di Brescia respingevano la domanda di O.S., cittadino nigeriano, proposta per ottenere la protezione internazionale attraverso il riconoscimento della protezione sussidiaria ovvero, in via sussidiaria, la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari.
O.S. proponeva ricorso in cassazione assumendo la violazione e falsa applicazione dell'art. 8 d.lgs. n. 25/2008 e dell'art. 14 d.lgs. n. 251/2007 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. perché le Corti avrebbero negato il riconoscimento della protezione sussidiaria omettendo di verificare le effettive situazioni esistenti in Nigeria. La Corte di cassazione accoglie il ricorso.

La protezione sussidiaria e il permesso di soggiorno «umanitario»

Ai sensi dell'art. 2 lett. g) d.lgs. n. 251/2007, può richiedere la protezione sussidiaria «il cittadino straniero che non possiede i requisiti per essere riconosciuto come rifugiato ma nei cui confronti sussistono fondati motivi di ritenere che, se ritornasse nel paese di origine, o, nel caso di un apolide, se ritornasse nel paese nel quale aveva precedentemente la dimora abituale, correrebbe un rischio effettivo di subire un grave danno come definito dal presente decreto e il quale non può o, a causa di tale rischio, non vuole, avvalersi della protezione di detto paese».
Per una migliore comprensione della protezione sussidiaria è d'uopo ricordare che il rifugiato è un cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole, avvalersi della protezione di tale Paese. Il permesso di soggiorno per scopi umanitari, o meglio, la c.d. tutela o protezione umanitaria, può essere richiesto, invece, da persone che vivono oggettive e gravi situazioni personali, senza possedere i requisiti per poter ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato e neppure quelli per ottenere la protezione sussidiaria (Cass. civ., 23 febbraio 2018, n. 4455).
Il permesso di soggiorno per motivi umanitari (art. 8 d.lgs. n. 25/2008), nel dettaglio, viene concesso quando ricorrono «seri motivi di carattere umanitario». Suddetti motivi non sono tipizzati: occorrerà quindi fare riferimento al diritto internazionale, ma prima ancora alla Carta Costituzionale, al fine di valutare la violazione o il timore della violazione dei diritti umani fondamentali.

Le cosiddette C.O.I. (Country of Origin Information)

Secondo l'art. 8 d.lgs. n. 25/2008 «ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati, elaborate dalla commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'UNHCR, dall'EASO, dal Ministero degli affari esteri anche con la collaborazione di altre agenzie ed enti di tutela dei diritti umani operanti a livello internazionale, o comunque acquisite dalla commissione stessa. La commissione nazionale assicura che tali informazioni, costantemente aggiornate, siano messe a disposizione delle commissioni territoriali e siano altresì fornite agli organi giurisdizionali chiamati a pronunciarsi su impugnazioni di decisioni negative». La disposizione de qua deve essere letta in combinato disposto con l'art. 35-bis comma 9 del medesimo decreto il quale prevede che per la decisione il giudice si avvale anche delle informazioni sulla situazione socio-politico-economica del Paese di provenienza elaborate dalla commissione nazionale sulla base dei dati forniti dall'UNHCR, dall'EASO e dal Ministero degli affari esteri.

Ciò significa che le Country of Origin Information (o C.O.I.) assumono un ruolo centrale nell'istruzione e decisione della causa: riconoscere o meno la protezione internazionale o sussidiaria, infatti, deve derivare anche e comunque dall'analisi delle notizie sul Paese di origine (o di transito, vedi Cass. civ., n. 7873/2020 già commentata) del richiedente. Solo così, infatti, si rispetta il disposto dell'art. 8 d.lgs. n. 25/2008 nella parte in cui parla di «informazioni precise e aggiornate».

Nel caso di specie la domanda di protezione internazionale ed umanitaria viene respinta sulla scorta della inesistenza di una situazione di violenza nel Paese di origine di O.S., non risultando credibile e dirimente il coinvolgimento del richiedente e della sua famiglia in un attentato perpetrato da terroristi appartenenti a Boko Haram e in occasione del quale erano rimasti uccisi i suoi genitori, entrambi gestori di un ristorante. Il Tribunale di Brescia prima, e la Corte d'appello poi, infatti, basavano il loro diniego sulla scorta della incapacità di O.S. di indicare il luogo preciso dell'attacco terroristico, ed in particolare del luogo preciso in cui era stato posizionato l'ordigno esplosivo, limitandosi ad indicare la mancata sussistenza di una situazione di violenza diffusa, senza indicare alcuna fonte a suffragio di tale conclusione.

La Corte di cassazione accoglie il ricorso proprio per tale ragione: il giudice di merito è tenuto ad indicare la fonte consultata in modo tale da assicurare il rispetto dei requisiti di aggiornamento e precisione di cui all'art. 8 co. 3 d.lgs. n. 25/2008.

*fonte:www.dirittoegiustizia.it

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