Ammesso il ravvedimento per le dichiarazioni fraudolente: il fisco si adegua alle modifiche in sede penale

Sara Mecca
05 Gennaio 2021

Il nuovo articolo 13, comma 2, del D.Lgs. n. 74/2000 - come modificato dalla L. n. 157/2019 - prevede che attraverso il ravvedimento operoso sia possibile conseguire la non punibilità anche per i reati di dichiarazione fraudolenta mediante fatture o altri documenti per operazioni inesistenti e con altri artifizi, previsti rispettivamente dagli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 74/2000, come già avveniva da qualche anno per l'infedele e omessa dichiarazione.Da ciò deriva che è ammessa implicitamente la possibilità di ravvedere le dichiarazioni fraudolente, contenenti false fatture o perpetrate mediante altri artifizi. Le modifiche normative introdotte al regime penale coinvolgono invero anche la disposizione sulla regolarizzazione delle dichiarazioni e, di conseguenza, l'Amministrazione finanziaria ha mutato orientamento rispetto a quanto sino a quel momento sostenuto. Hanno infatti confermato la possibilità del ravvedimento sia l'agenzia delle Entrate, sia la Guardia di Finanza nel corso del Telefisco 2020.Tale nuova posizione è importante poiché in contrasto con quanto sostenuto finora dagli Uffici, ma che ormai non appare più conforme alla nuova disciplina.
Il ravvedimento operoso

Il ravvedimento operoso, disciplinato dall'art. 13 del D.Lgs. n. 472/1997, è un istituto che consiste nella possibilità per il contribuente di procedere spontaneamente alla regolarizzazione delle omissioni o degli errori commessi in sede di dichiarazione, con una modulazione della riduzione delle sanzioni amministrative in funzione del momento in cui si effettua il ravvedimento.

La Legge di stabilità 2015 (Legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha apportato rilevanti modifiche all'istituto in parola.

In particolare, nell'ottica di incentivare il massimo adempimento spontaneo da parte dei contribuenti, si è assistito ad un ampliamento dei limiti temporali e procedurali per poter accedere al ravvedimento: per i tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate, infatti, è ora possibile ravvedersi oltre il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione e non operano più le preclusioni consistenti nell'avvenuta contestazione delle violazioni, negli intervenuti accessi, ispezioni e verifiche o ulteriori attività amministrative di accertamento.

Pertanto, l'istituto in questione non è più inibito dall'inizio di un controllo fiscale ma esclusivamente dalla notifica di un atto impositivo.

Ulteriori modifiche sono state poi introdotte dal D.Lgs. n. 158/2015.

In particolare, ad oggi, la sanzione è ridotta a:

  • un decimo del minimo, nei casi di mancato pagamento del tributo o di un acconto, se esso viene eseguito nel termine di trenta giorni dalla data della sua omissione;
  • un nono del minimo, se la regolarizzazione avviene entro novanta giorni dalla data dell'omissione o dell'errore, ovvero se la regolarizzazione delle omissioni e degli errori commessi in dichiarazione avviene entro novanta giorni dal termine per la presentazione della dichiarazione in cui l'omissione o l'errore è stato commesso;
  • un ottavo del minimo, se la regolarizzazione degli errori e delle omissioni, anche se incidenti sulla determinazione o sul pagamento del tributo, avviene entro il termine per la presentazione della dichiarazione relativa all'anno nel corso del quale è stata commessa la violazione ovvero, quando non è prevista una dichiarazione periodica, entro un anno dall'omissione o dall'errore;
  • un settimo del minimo, se la violazione è sanata entro il termine per la presentazione della dichiarazione successiva all'anno in cui la violazione è stata commessa ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, entro due anni dall'omissione o dall'errore;
  • un sesto del minimo, se la violazione è sanata oltre il termine per la presentazione della dichiarazione successiva all'anno in cui la violazione è stata commessa ovvero, quando non è prevista dichiarazione periodica, oltre due anni dall'omissione o dall'errore;
  • un quinto del minimo, se la violazione è sanata dopo PVC;
  • un decimo del minimo di quella prevista per l'omissione della presentazione della dichiarazione, se questa viene presentata con ritardo non superiore a novanta giorni ovvero ad un decimo del minimo di quella prevista per l'omessa presentazione della dichiarazione periodica prescritta in materia di imposta sul valore aggiunto, se questa viene presentata con ritardo non superiore a trenta giorni.
Ravvedimento e riflessi penali tributati

La possibilità di regolarizzare le violazioni commesse attraverso l'istituto del ravvedimento operoso, anche dopo che siano state constatate ed entro termini di gran lunga maggiori rispetto a quelli previsti nella precedente versione della norma, può avere dei risvolti anche sotto il profilo penale.

In particolare, gli articoli 13 e 13-bis del D.Lgs. n. 74/2000 sui reati tributari prevedono delle specifiche cause di non punibilità per alcuni illeciti in caso di estinzione del debito tributario, anche tramite ravvedimento.

Per i reati di omesso versamento delle ritenute, dell'Iva (artt. 10-bis e ter) e per quello di indebita compensazione con crediti non spettanti (art. 10-quater, comma 1), è previsto che il contribuente possa beneficiare della non punibilità qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, estingua il debito tributario, comprese sanzioni ed interessi, mediante integrale pagamento degli importi dovuti.

Può eseguire il pagamento avvalendosi dei diversi istituti deflativi previsti nell'ordinamento tributario, quali l'adesione all'accertamento, procedure conciliative ovvero il ravvedimento operoso.

È verosimile che, nella maggior parte dei casi, il pagamento avverrà con ravvedimento o con sanzione ridotta a seguito di avviso bonario.

Anche per i delitti di dichiarazione infedele (art. 4) ed omessa dichiarazione (art. 5) è prevista una causa di non punibilità se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo. In tale ipotesi, tuttavia, è necessario che l'autore del reato non abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali nei suoi confronti.

Rispetto ai delitti di omesso versamento e indebite compensazioni, quindi, per i quali è del tutto irrilevante l'eventuale avvio di una verifica, deve trattarsi di un adempimento spontaneo eseguito cioè su iniziativa del contribuente.

Estinzione del debito tributario e reati di dichiarazione fraudolenta

La disciplina del ravvedimento e dei profili penali è stata ampliata dal D.L. fiscale n. 124/2019. In particolare, in sede di conversione in legge del predetto decreto, è stata prevista la possibilità di ottenere una causa di non punibilità anche per i reati di dichiarazione fraudolenta tramite fatture false e tramite altri artifizi (artt. 2 e 3), in caso di estinzione del debito tributario.

In sostanza, se il contribuente regolarizza la dichiarazione contenente le fatture false o gli altri artifizi prima di avere avuto formale conoscenza di qualsiasi attività di controllo o procedimento, non è punibile ai fini penali.

Così, la non punibilità già prevista dall'articolo 13, comma 2, del D.Lgs. 74/2000, per i reati di dichiarazione infedele e omessa presentazione è stata estesa anche alle dichiarazioni fraudolente. Essa scatterà allorché i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, siano estinti con l'integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso, sempre che la regolarizzazione intervenga prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali.

A quest'ultimo riguardo, mentre la “formale conoscenza” di un'indagine preliminare è ricavabile dal Codice di procedura penale, le altre situazioni saranno date o dalla fisica presentazione degli organi accertatori presso il luogo del contribuente con contestuale consegna dell'atto che legittima l'acceso, l'ispezione, la verifica, ovvero dalla notifica o comunicazione di un qualsiasi atto posto ad inizio dell'accertamento fiscale; un requisito da valutare con riferimento al singolo indagato/imputato, non rilevando l'eventuale conoscenza formale acquisita da soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o concorrenti nel reato.

La presentazione della dichiarazione corretta deve avvenire, quindi, prima dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Tale circostanza fa sorgere qualche perplessità. Infatti, è ormai pacifico che il ravvedimento possa essere eseguito anche successivamente alla consegna del Pvc contenente la constatazione delle violazioni, con la conseguenza che disciplina amministrativa e disciplina penale si trovano in contrasto.

Inoltre, sorgono seri dubbi sull'interesse concreto del contribuente di sanare la propria posizione illecita benché non veda alcun rischio conseguente alla violazione commessa. In sintesi, è difficile che vi sia un comportamento di “ravvedimento” da omessa/infedele/fraudolenta dichiarazione non “sollecitato” dalla conoscenza di accertamento.

Era certamente preferibile che la causa di non punibilità, dal lato penale, avesse seguito le previsioni previste dal lato amministrativo che, per l'appunto, consentono di ravvedere le dichiarazioni fino alla conoscenza formale della constatazione della violazione.

Di sicuro avrebbe comportato un sostanziale abbattimento del numero dei procedimenti penali pendenti ed incentivato il pagamento delle imposte.

Ravvedimento per le dichiarazioni fraudolente

L'attuazione della nuova causa di non punibilità si basa sul ravvedimento della dichiarazione contenente false fatture ovvero connotata da altri artifizi.

L'Agenzia delle Entrate e la Guardia di finanza avevano sempre escluso la possibilità di effettuare il ravvedimento per questo tipo di violazioni.

In particolare, con la circolare n. 180 del 1998, il Ministero delle Finanze, Dipartimento Entrate Accertamento, aveva chiarito che non era possibile ricorrere al ravvedimento operoso per regolarizzare infedeltà dichiarative riconducibili a condotte fraudolente, quali l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

Ciò era giustificato dal fatto che la norma sul ravvedimento (art. 13, D.Lgs. n. 472/1997) prevede la regolarizzazione di “errori e di omissioni” e tali non possono essere considerati le registrazioni di fatture per operazioni inesistenti.

In occasione, poi, di Telefisco 2018, l'Agenzia delle Entrate aveva ribadito, richiamando la predetta (datata) circolare, che in caso di dichiarazione fraudolenta tramite fatture false non fosse possibile accedere all'istituto del ravvedimento operoso, precluso in caso di infedeltà dichiarative riconducibili a condotte fraudolente, quali l'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti.

La posizione era stata peraltro confermata anche dalla Guardia di Finanza che, nella circolare nr. 1/2018, aveva ritenuto che dovesse essere esclusa l'applicazione del ravvedimento alle ipotesi di frode a mezzo di fatture per operazioni inesistenti e alle altre fattispecie fraudolente previste in ambito penale tributario.

Ora, anche a seguito delle modifiche introdotte in sede penale, tale posizione risultava “antistorica”, ancorata ad un'interpretazione datata e, soprattutto, superata dall'evoluzione normativa. Tant'è che, all'indomani della conversione in legge del D.L. fiscale era stata evidenziata dalla dottrina la necessità che l'Amministrazione finanziaria mutasse il proprio orientamento.

Così, in occasione del Telefisco 2020, è stato posto un apposito quesito relativo, per l'appunto, alla possibilità di ritenere ormai superate - alla luce del nuovo articolo 13 del D.Lgs. 74/00 secondo il quale attraverso il ravvedimento operoso è possibile la non punibilità anche dei reati di dichiarazione fraudolenta - le indicazioni contenute nella circolare n. 180/97 che escludevano il ravvedimento per le fatture false.

L'Agenzia delle Entrate ha risposto positivamente al quesito, affermando che occorre ora tenere conto delle novità legislative, ammettendosi di conseguenza – anche con specifico riferimento alle fattispecie di dichiarazione fraudolenta – la facoltà del ravvedimento operoso.

L'amministrazione ricorda, poi che:

  1. la causa di non punibilità scatta soltanto se l'interessato non abbia avuto formale conoscenza, prima della regolarizzazione, dell'avvio di attività di controllo ovvero di procedimenti penali;
  2. le violazioni prodromiche devono essere regolarizzate singolarmente senza possibilità di applicare il cumulo giuridico. Si pensi al caso di utilizzo in dichiarazione fraudolenta di fatture false rilevanti ai soli fini Iva. Il contribuente dovrà regolarizzare sia l'infedele dichiarazione annuale, sia l'indebita detrazione dell'imposta, ma a tal fine dovrà calcolare le sanzioni tributarie per ogni singola violazione senza poter cumulare le medesime, come avviene, al contrario, in ipotesi di accertamento da parte dell'Ufficio.

In conclusione

Nel corso di Telefisco 2020, l'Agenzia delle Entrate ha pertanto preso definitivamente atto del fatto che, in esito alle novità apportate dal D.L. n. 124/2019 convertito, anche per le dichiarazioni fraudolente è divenuto possibile ottenere la non punibilità in sede penale per il tramite del ravvedimento operoso, ciò comportando implicitamente la possibilità di ravvedere tali tipologie di dichiarazioni.

Occorre dare atto di un altro problema che potrebbe porsi con riferimento alla possibilità di ravvedere ed ottenere una causa di non punibilità in sede penale per le false fatturazioni.

Infatti, analoga causa di non punibilità non è prevista per il soggetto che emette le false fatture, creando, in caso di ravvedimento da parte dell'utilizzatore dei documenti fittizi, un evidente disallineamento: da un lato, quest'ultimo presenta una dichiarazione integrativa espungendo dai costi le false fatture e non è più perseguibile penalmente, dall'altro, l'emittente delle medesime fatture non può regolarizzare alcunché, con il rischio che il primo, di fatto, denunci la violazione del secondo.

Tale incongruenza è stata evidenziata in un quesito alla GdF la quale, sempre nel corso del Telefisco 2020, ha rilevato che in concreto, per accedere all'effetto premiale, il contribuente deve presentare una dichiarazione integrativa, emendata degli elementi fraudolenti, e versare gli importi dovuti, comprensivi di imposte, interessi e sanzioni. Tuttavia, non è tenuto a dichiarare in modo puntuale i motivi per cui ha inteso rettificare in aumento il proprio reddito.

Quindi, in base alle notizie rese disponibili, in prima battuta, all'Amministrazione finanziaria, la dichiarazione integrativa non ha ricadute dirette e immediate nei confronti dell'emittente delle fatture, permanendo in capo agli organi di controllo l'onere di dimostrare la responsabilità penale di quest'ultimo, per violazione dell'articolo 8 del D.Lgs. n. 74/2000.

Nonostante le rassicurazioni fornite dalla Guardia di Finanza circa l'assenza di qualsivoglia obbligo in capo a colui che regolarizza le fatture false ricevute di indicare l'emittente dei documenti, sussiste il concreto rischio di una denuncia implicita del soggetto che ha emesso le fatture. Ed anche la sua successiva identificazione non appare particolarmente complicata da parte dell'amministrazione finanziaria o di un Pm.

Ove, infatti, per qualsiasi ragione, l'Agenzia delle Entrate o la Guardia di finanza dovessero controllare l'annualità per la quale la dichiarazione integrativa è stata presentata, le falsità, per quanto “rimediate”, emergerebbero, e la posizione dell'emittente sarebbe inevitabilmente compromessa.