Alternatività del risarcimento diretto (anche in fase preprocessuale) pena l'improponibilità della domanda

07 Gennaio 2021

L'esperimento della richiesta di risarcimento diretto nei casi indicati dalla legge non è obbligatorio, ma alternativo e non cumulabile con il sistema ordinario. La scelta tra le due vie deve avvenire sin dalla fase stragiudiziale, riverberandosi tale attività nella configurazione della condizione di proponibilità della domanda giudiziale prevista dall'art. 145 c.d.a.

La questione: risarcimento diretto e sistema ordinario sono alternativi sin dalla fase stragiudiziale? L'attrice è un'autocarrozzeria cessionaria del credito risarcitorio vantato da altro soggetto a seguito di un incidente stradale occorso tra l'auto di questi (una Fiat Iveco) e una Lancia Y; essa conviene in giudizio (tra gli altri) la compagnia assicuratrice della Lancia Y, premesso di avere formulato la richiesta, in via stragiudiziale, nei confronti delle compagnie assicuratrici di entrambi i veicoli.
La convenuta eccepisce l'improponibilità della domanda per violazione, avvenuta in fase stragiudiziale con l'invio della lettera di costituzione in mora (ex art. 145 d.lgs. n. 209/2005, il Codice delle assicurazioni private o c.d.a.) ad entrambe le compagnie, della norma che prevede alternatività tra i due sistemi, quello del risarcimento diretto (di cui all'art. 149 c.d.a.) e quello del sistema ordinario (di cui all'art. 148 c.d.a.).
La sentenza in esame si concentra sull'analisi di tale questione preliminare ritenendola fondata.

Alternatività tra risarcimento diretto e sistema ordinario, le norme e la lettura della Corte Costituzionale. Prima di entrare nel vivo dell'analisi, il giudice offre un quadro delle norme in materia di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli a motore per cui vige l'obbligo dell'assicurazione della responsabilità civile.
Innanzitutto, l'art. 2054 c.c., dedicato alla disciplina della responsabilità per i danni prodotti dalla circolazione di veicoli senza guida di rotaie, prevede l'obbligo di risarcimento in capo al conducente, «se non prova di avere fatto tutto il possibile per evitare il danno». Lo stesso articolo 2054 c.c. prevede anche la responsabilità del proprietario del veicolo, in solido col conducente, «se non prova che la circolazione del veicolo è avvenuta contro la sua volontà».
Per assicurare l'effettività della tutela verso il danneggiato, l'ordinamento ha imposto ai proprietari l'obbligo di assicurazione della responsabilità civile per la circolazione dei veicoli (c.d. R.C.A.) e, inoltre, previsto per il danneggiato la possibilità di un'azione diretta verso la compagnia assicuratrice del veicolo responsabile - in deroga alla regola generale per cui il danneggiato deve agire verso il danneggiante e non verso chi ne assicura la responsabilità, dato che il rapporto di assicurazione, di tipo contrattuale, non ha effetti verso i terzi.
Con il d.lgs. n. 209/2005 la disciplina (contenuta nella previgente l. n. 990/1969) è stata innovata con l'introduzione, nei casi indicati dall'art. 149 c.d.a., accanto alle norme dell'assicurazione obbligatoria e dell'azione verso l'assicuratore del responsabile, della procedura di risarcimento diretto, attivata verso l'assicuratore del veicolo utilizzato dal danneggiato (detto, con riferimento all'ipotesi più frequente, «l'assicuratore del danneggiato»).
Tale seconda via, secondo il Giudice di Pace di Palermo, era stata introdotta come obbligatoria ed escludente quella ordinaria (che continuava a valere nei casi diversi dall'art. 149) ed era regolata dall'art. 148 c.d.a. Lo si desume, Egli osserva, dal testo della legge, secondo cui “i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato” (v. art. 149 c.d.a.), nonché dallo scopo perseguito dalla norma, che era quello di ridurre i costi della gestione dei sinistri e dei primi assicurativi, anche attraverso l'eliminazione del diritto al rimborso delle spese legali per la fase stragiudiziale, laddove l'assistenza dell'avvocato scelto dal danneggiato era sostituita dall'assistenza tecnica della stessa compagnia; punto questo della riduzione dei costi, osserva il Giudice, anche riconosciuto dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 180 del 2009.

Non obbligatorietà del risarcimento diretto secondo la lettura costituzionalmente orientata. Quella sentenza respinse la questione di costituzionalità per violazione degli artt. 3, 24, 76 e 111 Cost. – sollevata dal Giudice di Pace di Palermo – che sostanzialmente era incentrata sulla obbligatorietà del risarcimento diretto.
Per quel che qui rileva, si badi, la Corte non ravvisava nel testo delle norme un obbligo, ma una facoltà, per il danneggiato; né riteneva che il fine della riduzione dei costi - la cui presenza, seppure la relativa argomentazione non esauriva le finalità della norma, era ritenuta pur condivisibile - fosse perseguito dalle norme per il tramite dell'obbligatorietà del risarcimento diretto. Inoltre, una lettura costituzionalmente orientata della norma portava ad inquadrare tale seconda via come posta accanto e in alternativa a quella ordinaria, dunque in un'ottica di ampliamento delle possibilità di tutela previste per il danneggiato, considerato soggetto debole, e non come l'unica percorribile.
La stessa Corte osservò che l'interpretazione da Essa accolta poneva vari problemi interpretativi, la cui soluzione, si disse, “esula dai limiti del giudizio costituzionale, non potendo che essere demandata agli interpreti”. Tra tali problemi interpretativi, osserva il Giudice di Palermo, vi è il dubbio circa l'alternatività e la cumulatività delle dette azioni.

Alternatività e non cumulatività delle richieste risarcitorie diretta e ordinaria. Si tratta cioè di capire se il danneggiato può contestualmente rivolgersi ad entrambe le compagnie - quella del responsabile del danno, oltre che direttamente al responsabile e quella del danneggiato - e questo sin dalla fase stragiudiziale, il cui esperimento è posto dall'art. 145 come condizione di proponibilità della domanda.
Per il Giudice la soluzione è nell'attenta lettura del precedente citato della Corte Costituzionale, la sentenza n. 180 del 2009, che il Giudice definisce la «fonte sostanziale della interpretazione dell'art. 149 c.d.a. come prevedente uno strumento di tutela in aggiunta a quelli già previsti dal codice civile e dall'art. 148 c.d.a.».
Tre gli aspetti ritenuti rilevanti dal Giudice.
Primo, il Collegio ha rilevato la diversità di modalità di tutela prevista dai due strumenti, diversità che ben può condurre il danneggiato a reputare più conveniente quella del risarcimento diretto.
Secondo, “sembra” che per la Corte i due rimedi siano alternativi tra loro e non cumulabili; in particolare, il Giudice richiama l'espressione “possibilità di opzione per l'azione di responsabilità tradizionale, e per l'azione diretta contro l'assicuratore del responsabile civile e soprattutto l'espressione ove si afferma «il carattere alternativo, e non esclusivo, dell'azione diretta nei soli confronti del proprio assicuratore».
Terzo, solo il ritenuto carattere alternativo delle azioni può essere compatibile con la ratio dell'istituto del risarcimento diretto, che consiste nella esigenza di tutela del contraente assicurato, «anche tramite la riduzione dei costi relativi alla gestione dei sinistri, e quindi dei premi» (GdP di Palermo n. 2458/2020).
Tale ultimo argomento depone per il Giudice in maniera definitiva verso la soluzione dell'alternatività delle due vie: egli osserva che ammettere la cumulatività dei due rimedi contrasterebbe con tale scopo (i costi di gestione del sinistro raddoppierebbero, sia in fase stragiudiziale che in fase giudiziale).
Infine, osserva il Giudice, la stessa lettera della norma porta alla soluzione dell'alternatività, laddove prevede che «i danneggiati devono rivolgere la richiesta di risarcimento all'impresa di assicurazione che ha stipulato il contratto relativo al veicolo utilizzato» e che «il danneggiato può proporre l'azione diretta di cui all'art. 145, comma 2, nei soli confronti della propria impresa di assicurazione»; l'univocità del testo, per il Giudice è tale che, se non vogliamo ritenere la via del risarcimento diretto come obbligatoria (Egli appartiene all'Ufficio che sollevò la suddetta questione di costituzionalità e i riferimenti letterali dell'obbligatorietà erano quelli appena citati), certamente non possiamo ammetterne la cumulabilità.
Dunque, il danneggiato non può agire contestualmente verso la compagnia del danneggiante e verso la propria compagnia.

Alternatività del risarcimento diretto: risvolti nella fase stragiudiziale. Giunti a tale conclusione, ci si deve chiedere quali sono i risvolti quanto alla fase stragiudiziale. Tale alternatività, cioè, afferma il Giudice, si riverbera “nella configurazione della condizione di proponibilità della domanda risarcitoria”. Insomma, il mancato rispetto dell'alternatività impedisce la configurazione della condizione di proponibilità della domanda. L'alternatività impone cioè una scelta sin da quella fase, non potendosi percorrere entrambe le vie e dunque mettere in mora contemporaneamente entrambe le compagnie.
Tale assunto si fonda per giudice sulle seguenti considerazioni.
Osserva il Giudice che l'art. 145 c.d.a. prevede due distinte e diverse procedure a seconda del tipo di richiesta risarcitoria, così disciplinando la condizione di procedibilità in maniera diversa (quanto al termine passivo della richiesta, alle modalità di presentazione di essa e di liquidazione del danno e alla rimborsabilità delle spese dell'assistenza legale).
L'art. 145 infatti al comma 1 prevede: «1. Nel caso si applichi la procedura di cui all'art. 148, l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all'impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all'art. 148».
Mentre al comma 2 prevede: «2. Nel caso in cui si applichi la procedura di cui all'art. 149 l'azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto alla propria impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, inviata per conoscenza all'impresa di assicurazione dell'altro veicolo coinvolto, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti dagli artt. 149 e 150».
Inoltre, prosegue il Giudice, la stessa alternatività era già pensata dalle norme che, secondo la Sua prospettazione, prima dell'intervento della Corte Costituzionale (con la cit. sentenza n. 108/2009) prevedevano l'obbligatorietà del risarcimento diretto (e, osserva sempre il Giudice, il passaggio dal risarcimento diretto all'ordinario era - aggiungiamo: è - ammesso solo nel caso di assenza dei presupposti, ex d.P.R. n. 254/2006); dunque, mai poteva aversi una contemporanea messa in mora delle due compagnie.
«Eliminata, ad opera della sentenza n. 108/2009” (G.d.P. n. 2458/2020) l'obbligatorietà, tale distinzione resta “salvo a scardinare la coerenza del sistema normativo in esame».
Ed invero, evidenzia il Giudice, le due compagnie, non rispondono del danno in via solidale, ma alternativa; in particolare l'assicuratore del danneggiato risponde dei danni in luogo e per conto di quello del responsabile (v. art. 149, comma 3 c.d.a.).
D'altronde una diversa conclusione cozzerebbe, divenendo inaccettabile, con lo spirito di fondo delle norme in questione (secondo una loro interpretazione sistematica e teleologica). Se contattate entrambe, entrambe le compagnie sarebbero tenute a formulare un'offerta, sarebbero sanzionate in caso di ritardo nell'offerta o di ingiustificato rifiuto della stessa, dovrebbero istruire la pratica di gestione del sinistro, con i relativi costi circa l'espletamento delle perizie per la liquidazione del danno.

Alternatività del risarcimento diretto e fase processuale. L'alternatività, osserva il giudice, prosegue nella fase processuale: se la messa in mora e la gestione del sinistro è stata eseguita da una delle due imprese, solo questa può essere convenuta nel giudizio, perché è questa che è stata posta nella condizione di evitarlo, mentre per l'altra manca la condizione di proponibilità. Il che significa che le due azioni “non sono intercambiabili,” e che la scelta operata in fase stragiudiziale “determina la concentrazione delle azioni risarcitorie alternative in quella” concretamente prescelta, secondo il brocardo «electa una via, non datur recursus ad alteram».
Con tale motivazione, in un giudizio preceduto da una fase stragiudiziale nella quale la richiesta è stata posta verso entrambe le compagnie, la domanda viene dichiarata improponibile.

*Fonte: dirittoegiustizia.it

Vuoi leggere tutti i contenuti?

Attiva la prova gratuita per 15 giorni, oppure abbonati subito per poter
continuare a leggere questo e tanti altri articoli.