E’ costituzionalmente legittimo il divieto di azioni esecutive nei confronti di enti del S.S.N. durante l’emergenza Covid?

12 Gennaio 2021

Il Tribunale di Napoli ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 117 comma 4 d.l. n. 34/2020 - conv. in l. n. 77/2020 - che vieta di «intraprendere» o «proseguire» azioni esecutive nei confronti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale e, per l'effetto, rimette gli atti alla Corte Costituzionale...
Massima

Deve ritenersi rilevante e non manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 117 comma 4 del d.l. n. 34/2020, convertito in l. n. 77/2020, in relazione all'art. 24 Cost., atteso che il «sacrificio» posto a carico dei creditori degli enti del servizio sanitario nazionale (sotto forma di improcedibilità delle azioni esecutive dagli stessi già promosse) non appare «bilanciato» con la previsione di un sistema di effettiva tutela equivalente, ed all'art. 111 Cost., per violazione del principio di parità delle armi tra le parti, in quanto, con la disposizione censurata, il legislatore ha finito per introdurre una fattispecie di ius singulare che - pur originata da comprensibili preoccupazioni legate all'emergenza epidemiologica in corso - ha determinato uno sbilanciamento fra due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli delle condanne giudiziarie subite.

Il caso

Nel corso di una procedura espropriativa - promossa nei confronti di una Azienda Ospedaliera - in forza di titolo esecutivo costituito da una sentenza di condanna al pagamento a titolo di risarcimento dei danni conseguenti a malpractice medica, il terzo pignorato (quale tesoriere dell'Asl) ha reso la dichiarazione di quantità, evidenziando al riguardo che - ai sensi dell'art. 1 del d.l. n. 9/1993, convertito in l. n. 67/1993 - l'azienda esecutata aveva dotato e trasmesso delibere di quantificazione delle somme impignorabili, nonché precisando come, nel periodo temporalmente rilevante, non si sarebbero determinati saldi creditori eccedenti l'importo delle somme oggetto della quantificazione ai fini dell'impignorabilità.

Tuttavia, a fronte di una situazione di potenziale sussistenza dei presupposti per la pronuncia dell'ordinanza di assegnazione, in ragione del fatto vi era stata l'allegazione di un pagamento per titoli diversi da quelli «vincolati» e non era stata fornita prova del rispetto dell'ordine cronologico dell'esecuzione di siffatti pagamenti a cura dell'azienda ospedaliera (stante la mancata costituzione di quest'ultima nel relativo giudizio), il Tribunale partenopeo - sul rilievo dell'idoneità dell'art. 117 comma 4 del d.l. n. 34/2020 ad incidere sulla perdurante vigenza del vincolo del pignoramento e, di qui, a precludere la pronuncia dell'ordinanza di assegnazione - ha sollevato la questione di legittimità della norma in questione.

In particolare, il giudice di merito ha osservato che - sebbene il legislatore non abbia omesso di prevedere strumenti idonei ad assicurare il soddisfacimento delle ragioni dei creditori degli enti del servizio sanitario nazionale - l'effettività di un siffatto meccanismo, al fine di assicurare la tutela delle ragioni dei crediti colpiti dal divieto di azioni esecutive, è dubbia, tenuto conto: a) il sistema contemplato dal legislatore non è automaticamente collegato al divieto di azioni esecutive, bensì si risolve nell'approntamento di un mero canale finanziario ulteriore in favore delle regioni; b) conseguentemente, non vi è alcun obbligo ma una mera facoltà per l'amministrazione regionale interessata di avvalersi dell'anticipazione di liquidità in questione, occorrendo in particolare una deliberazione ad iniziativa della Giunta regionale da adottarsi entro un termine prefissato (deliberazione che in alcun modo configura un atto dovuto); c) infine e soprattutto, non è contemplata una tutela generalizzata per qualsivoglia credito già azionato esecutivamente, potendo l'anticipazione essere destinata all'estinzione unicamente di determinate tipologie di debiti (ovverosia, quelli «relativi a somministrazioni, forniture, appalti e a obbligazioni per prestazioni professionali»), con la conseguenza per cui - ad esempio - per un credito quale quello azionato nel caso di specie (si ribadisce, un'obbligazione a titolo di risarcimento danni) non sarebbe ipotizzabile alcuna forma di tutela equivalente.

La questione

La questione posta dalla ordinanza in esame è quella della legittimità costituzionale dell'art. 117 comma 4 del d.l. n. 34/2020 essenzialmente rispetto al principio di effettività della tutela giurisdizionale di cui all'art. 24 Cost. ed a quello della parità delle armi tra le parti, sancito dall'art. 111 Cost.

Le soluzioni giuridiche

L'art. 117 comma 4 del d.l. n. 34/2020 stabilisce che «al fine di far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del Covid - 19 nonché per assicurare al Servizio sanitario nazionale la liquidità necessaria allo svolgimento delle attività legate alla citata emergenza, compreso un tempestivo pagamento dei debiti commerciali, nei confronti degli enti del Servizio Sanitario Nazionale di cui all'art. 19 del d. lgs. n. 118/2011, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive. I pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni agli enti del proprio Servizio Sanitario Regionale effettuati prima della data di entrata in vigore del presente provvedimento non producono effetti dalla suddetta data e non vincolano gli enti del Servizio sanitario regionale e i tesorieri, i quali possono disporre, per le finalità dei predetti enti legate alla gestione dell'emergenza sanitaria e al pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo. Le disposizioni del presente comma si applicano fino al 31 dicembre 2020».

Nella prima parte, la disposizione de qua introduce espressamente una causa di improcedibilità per le esecuzioni promosse nei confronti degli enti del Servizio sanitario nazionale dopo la data di entrata in vigore della norma (vale a dire dopo il 19 maggio 2020).

Nella seconda parte, invece, l'art. 117 cit. prevede che tanto i pignoramenti quanto le prenotazioni a debito effettuate prima del 19 maggio 2020 sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni agli enti del S.S.N. non producano alcun vincolo per questi ultimi che, quindi, potranno disporre delle somme con una mera richiesta al proprio Tesoriere, purché esse siano destinate a fronteggiare l'emergenza Covid ed a pagare i debiti.

Il terzo periodo integra l'orizzonte temporale della norma, applicabile sino al 31 dicembre 2020.

Nelle prime applicazioni giurisprudenziali, la norma in commento ha indotto i giudici di merito a ritenere che la novella introduca una condizione che preclude la procedibilità e la proseguibilità dell'azione esecutiva in via definitiva fino alla fine dell'anno e non già delle mere cause di sospensione con possibilità, dunque, di riassumerle e continuarle successivamente al 31 dicembre 2020 (Trib. Napoli 23 settembre 2020; Trib. Napoli 13 luglio 2020, in www.inexecutivis.it).

In particolare, tale conclusione è fondata su una serie di argomentazioni.

In primo luogo per il tenore letterale della legge che non ha alluso genericamente a «sospensioni delle procedure» o a fattispecie analoghe, ma ha chiaramente affermato l' «impossibilità di intraprendere o continuare azioni esecutive», nonostante in altri decreti emergenziali nelle parti volte a tutelare l'economia delle fasce deboli abbia fatto ricorso a misure più blande e temporanee, ad esempio sospendendo le procedure esecutive immobiliari per sei mesi e quelle di rilascio degli immobili condotti in locazione fino al 1 settembre 2020 (rispettivamente, art. 54-ter e 103 comma 6 del d.l. n. 18/2020, come innovati in sede di conversione dalla l. n. 27/2020).

Al riguardo si è osservato che quando il legislatore ha voluto introdurre cause temporanee di improcedibilità delle azioni a tutela del credito, lo ha fatto espressamente (come nella legge fallimentare per il concordato preventivo o nel c.d. codice antimafia per il sequestro penale preordinato alla confisca) tanto da porre la procedura esecutiva in uno stato di quiescenza destinato o alla definitiva chiusura o alla sua ripresa, decorso il termine di sospensione.

Di contro, l'art. 117 del decreto crescita esclude lo stato di dormienza con conseguente possibilità di riattivazione della procedura esecutiva mobiliare in danno del S.S.N., giacché il termine finale del 31 dicembre 2020 va inteso come orizzonte temporale dell'efficacia della disposizione (correlata allo stato di emergenza Covid-19) e non come intervallo temporale di sospensione o improcedibilità temporanea delle azioni esecutive pendenti, perché questo colliderebbe con le finalità dell'intero impianto normativo di liberare pienamente le risorse economiche del S.S.N. e renderle disponibili per la gestione della pandemia.

La ratio delle predette disposizioni emergenziali, infatti, è sempre quella di «far fronte alle esigenze straordinarie ed urgenti derivanti dalla diffusione del Covid-19 nonché per assicurare al Servizio sanitario nazionale la liquidità necessaria allo svolgimento delle attività legate alla citata emergenza, compreso un tempestivo pagamento dei debiti commerciali».

Obiettivo che non sarebbe efficacemente raggiunto se il rimedio delineato dall'art. 117 fosse inteso come una sospensione temporanea fino al 31 dicembre 2020 delle procedure esecutive pendenti, con conseguente possibilità di riattivazione dell'iter e di assegnazione delle somme allo spirare del termine, perché ciò non renderebbe possibile liberarle totalmente presso il Tesoriere (che sarebbe tenuto a rispettare il vincolo dell'accantonamento imposto dalla notifica del pignoramento) e, dunque, consentire al S.S.N. di impiegarle su mera richiesta.

Svincolo definitivo che non potrebbe essere garantito solo dalla già vigente previsione dell'art. 35 comma 8 lett. b) del d.l. n. 66/2014, convertito con modificazioni dalla l. n. 89/2014, che inserendo il comma 5-bis nell'art. 1 del d.l. n. 9/1993, ha previsto la libera disponibilità per le A.S.L. delle somme pignorate «Al fine di garantire l'espletamento delle finalità di cui al comma 5, dalla data della predetta comunicazione il tesoriere è obbligato a rendere immediatamente disponibili le somme di spettanza dell'ente indicate nella deliberazione, anche in caso di notifica di pignoramento o di pendenza di procedura esecutiva nei confronti dell'ente, senza necessità di previa pronuncia giurisdizionale. Dalla data di adozione della deliberazione l'ente non può emettere mandati a titoli diversi da quelli vincolati, se non seguendo l'ordine cronologico delle fatture così come pervenuto per il pagamento o, se non è prescritta fattura, dalla data della deliberazione di impegno».

Tanto perché la disponibilità di tali somme non è totale, ma correlata a alle sole finalità degli impegni debitori deliberati ragion per cui gli enti del S.S.N. non potrebbero impiegare liberamente le risorse per la gestione della pandemia e il pagamento dei debiti al di fuori dei casi contemplati dal comma 5-bis.

Inoltre, deve evidenziarsi che la disposizione in esame, intanto, siccome dettata per finalità di interesse generale, ha natura cogente ed imperativa e dunque, va applicata anche d'ufficio, ossia pure in assenza di specifiche eccezioni di parte.

I giudici amministrativi, da parte loro, hanno ritenuto che l'art. 117 è da ritenersi applicabile anche ai giudizi di ottemperanza promossi innanzi al giudice amministrativo, rientrando ormai pacificamente l'azione ex art. 112 c.p.a. nel novero delle azioni esecutive (Tar Reggio Calabria, 31 luglio 2020, n. 480).

Osservazioni

La questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Napoli rischia di far ritornare attuale la questione già vissuta con la l. n. 220/2010, articolo 1 comma 51 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2011 -), che aveva disposto l'impignorabilità dei crediti delle Aziende Sanitarie.

Difatti, come noto, la Corte Costituzionale fu chiamata a pronunciarsi sulla legittimità costituzionale di detta disposizione legislativa, dichiarando illegittima tale norma che, nel prevedere «nelle regioni già commissariate in quanto sottoposte a piano di rientro dai disavanzi sanitari, non possono essere intraprese o proseguite azioni esecutive nei confronti delle aziende sanitarie locali o ospedaliere sino al 31 dicembre 2012 ed i pignoramenti e le prenotazioni a debito sulle rimesse finanziarie trasferite dalle regioni alle aziende sanitarie, effettuati prima della data di entrata in vigore del d.l. n. 78/2010, non producono effetti sino al 31 dicembre 2012 e non vincolano gli enti del servizio sanitario regionale», si poneva in contrasto con l'art. 24 Cost. in quanto, in conseguenza della norma censurata, erano vanificati gli effetti della tutela giurisdizionale già conseguita dai numerosi creditori delle aziende sanitarie procedenti nei giudizi esecutivi e, inoltre, il legislatore statale aveva creato una fattispecie di ius singulare che determina lo sbilanciamento fra le due posizioni in gioco, esentando quella pubblica, di cui lo Stato risponde economicamente, dagli effetti pregiudizievoli della condanna giudiziaria, con violazione del principio della parità delle parti di cui all'art. 111 Cost. (Corte Cost. n. 186/2013).

Si osserva che la Corte Costituzionale ha dichiarato che un intervento legislativo, che di fatto svuoti di contenuto i titoli esecutivi giudiziali conseguiti nei confronti di un soggetto debitore, possa ritenersi giustificato da particolari esigenze transitorie solo se sia limitato a un ristretto arco temporale.

In secondo luogo, il legislatore aveva previsto l'estinzione delle procedure esecutive iniziate e la contestuale cessazione del vincolo pignoratizio, con la conseguenza, paradossale, che i creditori esecutanti avrebbero dovuto definitivamente accollarsi anche le spese di esecuzione già affrontate.

Da ultimo, è stato rilevato che, ancora una volta, il legislatore ha imposto una compressione della tutela giurisdizionale già conseguita dai creditori con l'ottenimento di titoli esecutivi, anche passati in giudicato, senza però prevedere alcun meccanismo certo, quantomeno sotto il profilo di ordinate procedure concorsuali garantite da adeguata copertura finanziaria, in ordine alla soddisfazione delle posizioni sostanziali sottostanti ai titoli esecutivi inutilmente azionati.

Per tali ragioni, la Corte costituzionale ha ritenuto fondata, perché in contrasto con l''art. 24 e 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale della norma de qua, in entrambe le versioni e ha, pertanto, ripristinato il diritto dei creditori di agire in executivis per la soddisfazione dei loro diritti.

In particolare, la Corte ha sottolineato che la compromissione del diritto del creditore del Servizio Sanitario Nazionale, a mezzo del provvedimento legislativo che inibisca il recupero coattivo delle somme, sia controbilanciato da disposizioni di carattere sostanziale che, a loro volta, garantiscano, anche per altra via che non sia quella della esecuzione giudiziale, la sostanziale realizzazione dei diritti oggetto delle procedure estinte.

Nel sollevare la questione di legittimità, il Tribunale di Napoli avanza più di un dubbio sulla legittimità della «nuova impignorabilità», non potendosi ritenere soddisfatto il bilanciamento richiesto dalla Corte Costituzionale nella laconica affermazione contenuta nella norma censurata laddove prevede che gli enti «possono disporre, per le finalità legate alla gestione dell'emergenza sanitaria e al pagamento dei debiti, delle somme agli stessi trasferite durante il suddetto periodo».

Sotto altro aspetto, l'art. 117 comma 4, si pone inoltre in aperto contrasto con altre norme, contenute anche nel medesimo «Decreto Rilancio», volte ad incentivare e velocizzare i pagamenti dei debiti delle Pubbliche Amministrazioni.

L'art. 115 prevede in particolare l'istituzione di un «fondo di liquidità per il pagamento dei debiti commerciali degli enti territoriali», mentre l'art. 116 prevede, in favore degli enti locali, delle regioni e delle province autonome, una «anticipazione di liquidità» per far fronte al pagamento di crediti certi, liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2019.

Tra l'altro la norma non distingue neanche il titolo del credito azionato, con la conseguenza che rientrano nella sospensione anche le azioni esecutive aventi ad oggetto, ad esempio, crediti di natura retributiva.

Si osserva, comunque, che lo stesso Tribunale Campano, con ordinanza del 13 luglio 2020, ha ritenuto di non sollevare la questione di legittimità costituzionale dell'art. 117 comma 4 del d.l. n. 34/2020, richiamando gli orientamenti ed i principi di diritto affermati dalla Consulta con riferimento a pregresse novelle recanti cause di impignorabilità in danno degli enti del S.S.N. (come nel caso previsto dall'art. 1 comma 51 della l. n. 220/2010, modificato dall'art. 17 comma 4 lett. e) del d.l. n. 98/2011, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 111/2011, e poi dall'art. 6-bis comma 2, lett. a) e b), del d.l. n. 158/2012, convertito, con modificazioni, dalla l. n. 189/2012, a tutela dell'erario delle Regioni commissariate).

Invero, sebbene tale improcedibilità non sia bilanciata da altre misure a tutela delle posizioni sostanziali dei creditori procedenti, è dirimente la speciale ratio sottesa all'art. 117 che non volge al risanamento delle finanze in pregiudizio dei privati, bensì a garantire in un particolare contesto emergenziale la disponibilità delle risorse finanziarie necessarie a gestire la pandemia e, quindi, a garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza oltre quelli aggiuntivi derivanti dal virus, sicché «non si rinviene una modalità di esenzione, per la parte pubblica, dal rispondere economicamente degli effetti giudiziari di una condanna giudiziaria (con violazione dell'art. 111 Cost.), ma di una presa di posizione legislativa nel ritenere prevalente la tutela della salute e nell'approntare i mezzi per affrontare l'emergenza epidemiologica in corso (art. 2 Cost.).

A ciò occorre aggiungere il carattere temporaneo della compressione dei diritti sostanziali dei creditori procedenti (fino al 31 dicembre 2020), che potranno essere azionati a decorrere dal 1° gennaio 2021 con esclusione di qualsivoglia perenzione dovuta al decorso del tempo (art. 2945 c.c.).

Peraltro, il richiamato art. 117, nel suo complesso, fissa delle priorità legate alla gestione dell'emergenza sanitaria e al pagamento dei debiti, ma non esclude il pagamento di debiti pregressi, tanto da prevedere anche il ricorso a forme di anticipazioni di liquidità, per le Regioni «i cui enti del Servizio sanitario nazionale a seguito della situazione straordinaria di emergenza sanitaria derivante dalla diffusione dell'epidemia da COVID-19 non riescono a far fronte ai pagamenti dei debiti certi liquidi ed esigibili maturati alla data del 31 dicembre 2019 relativi a somministrazioni, forniture, appalti e a obbligazioni per prestazioni professionali» (comma 5).

La norma di cui al comma 4 dell'art. 117 non prevede né potrebbe prevedere alcun «meccanismo di risanamento che canalizzi in una unica procedura concorsuale le singole azioni esecutive, con meccanismi di tutela dei diritti dei creditori» (Corte Cost. n. 186/2013) poiché la disciplina in esame non si pone il fine immanente di risanare l'ente sanitario o proporre un piano di rientro dal disavanzo sanitario stesso, ma quello di liberare risorse necessarie per lo svolgimento delle attività legate alla citata eccezionale e dirompente emergenza sanitaria (ivi compreso quello di pagare i partners commerciali che forniscano gli enti delle dotazioni necessarie); di talché la previsione di una procedura concorsuale conseguirebbe palesemente il risultato opposto a quello esplicitato dal legislatore.

Di conseguenza, non si rinviene una modalità di esenzione, per la parte pubblica, dal rispondere economicamente degli effetti giudiziari di una condanna giudiziaria (con violazione dell'art. 111 Cost.), ma di una presa di posizione legislativa nel ritenere prevalente la tutela della salute e nell'approntare i mezzi per affrontare l'emergenza epidemiologica in corso (art. 2 Cost.).

Al riguardo deve osservarsi che è stato ritenuto non costituzionalmente illegittimo l'art. 159 del d.lgs. n. 267/2000, nella parte in cui non consente la pignorabilità delle somme di competenza degli enti locali da parte di chi vanta crediti riconducibili al pagamento degli stipendi, al pagamento delle rate dei mutui e all'esercizio di servizi indispensabili (Corte Cost. n. 223/2020).

Secondo, il Giudice delle Leggi lo scopo dell'impignorabilità prevista dalla norma non sarebbe quello di tutelare i creditori «qualificati» quanto piuttosto quello di garantire la funzionalità dell'ente locale.

In quest'ottica, essa è diretta a evitare che l'aggressione, da qualsiasi creditore provenga, di una riserva essenziale di denaro possa giungere a impedire, fino in ipotesi a determinarne la paralisi, l'espletamento di determinate funzioni istituzionali ritenute dal legislatore essenziali alla vita stessa dell'ente.

L'impignorabilità, spiega la sentenza, è in sostanza destinata a operare allorquando il saldo attivo presso l'istituto tesoriere sia di ammontare inferiore o eguale all'entità delle somme quantificate con la delibera semestrale dell'ente locale. In siffatto contesto, è evidente come l'aggressione individuale, ancorché basata su un credito qualificato potrebbe comunque condurre alla decurtazione anche significativa o, addirittura, all'azzeramento delle risorse finanziarie dell'ente stesso, così compromettendone la funzionalità.

Tale soluzione era stata fatta propria anche dalla Corte di cassazione per la quale il vincolo di impignorabilità di cui all'art. 159 comma 2 del T.U.E.L. è «finalizzato ad evidenti esigenze pubblicistiche di tutela della funzionalità degli enti locali» (n. 31661/2018).

L'infondatezza della censura dal punto di vista della violazione del principio di ragionevolezza conduce a respingere anche quella relativa alla presunta discriminazione tra creditori protetti e ordinari.

Si è chiarito, ha concluso la Corte, che i pignoramenti, tanto da parte degli uni, quanto da parte degli altri, potrebbero minare la funzionalità della pubblica amministrazione locale, con la conseguenza che l'equiparazione operata dalla norma trova adeguata giustificazione nell'esigenza di non vanificare lo scopo che essa persegue.

Del resto, tale percorso motivazionale potrebbe essere riproposto anche per l'art. 117 del d.l. n. 34/2020 «c.d. Decreto Rilancio», che appunto introduce un'articolata forma di tutela per le finanze del Servizio Sanitario Nazionale, onde non distrarne l'impiego per fronteggiare l'emergenza Covid - 19.

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